`Ingannevole è il cuore più di ogni cosa` di J.T. Leroy • Tainted Love

Innocente, insondabile e disturbante, il bambino sofferente e vittima di soprusi è sempre stato uno dei feticci favoriti della società moderna, capace di suscitare un investimento emotivo e una morbosità di gran lunga più pervasive di quanto qualsiasi adulto sarebbe mai in grado di fare. Non è un caso, infatti, che il bambino abusato occupi un posto sempre più rilevate nell’ambito della cronaca nera, così come nelle discipline artistiche: si pensi, per esempio, agli sfortunati protagonisti dickensiani oppure ai languidi volti dipinti da Margaret Keane. La letteratura e il cinema indipendenti americani, in particolare, negli ultimi 15 anni hanno dato ampia prova di ciò, accumulando rappresentazioni sempre più esplicite del fanciullo martire, spesso speculando sull’umiliazione e sulla degradazione di determinate realtà con l’intento di fornire una rappresentazione anti-idilliaca dell’infanzia, talvolta ai limiti della satira o del sadismo.

Gli anni Duemila, tuttavia, sono stati un tempo eccezionale per l’arte americana anche per un altro motivo, di gran lunga meno mirabile o stimolante: le bufale letterarie. Anche in questo ambito i casi sono innumerevoli, a partire dall’autobiografia best seller `A Million Little Pieces` di James Frey, in cui l’autore avrebbe completamente inventato certi avvenimenti a suo dire realmente accaduti, fino al più recente caso di `Love and Consequences` , nel quale il racconto di Margaret B. Jones come figlia di un trafficante di droga è risultato completamente fittizio. Tuttavia, la più stravagante, la più stellata e anche la più decadente truffa letteraria de nos jours, ha visto come protagonista proprio la figura di uno di quei “bambini sperduti” tanto cari all’arte postmoderna, utilizzata per costruire ad arte un’autobiografia di lacrime e di sangue, capace di portare a fatturazioni stellari e di sommuovere completamente l’universo indie a stelle e strisce: si tratta J.T. Leroy e del “suo” `Ingannevole è il cuore più di ogni cosa`.

Nel 1999, la casa editrice indipendente Bloomsbury pubblica un romanzo intitolato `Sarah`, il racconto di un ragazzo che, abbandonato dalla madre, è costretto a trascorrere la sua adolescenza come operaio del sesso, fingendo di essere donna e vivendo nel costante terrore di essere scoperto. Un libro potente, lirico, capace di coniugare temi trasgressivi ed estasi religiosa, scritto con l’innegabile dolcezza di un bambino mai cresciuto e con un tocco di realismo magico in grado di alleggerire tutta la narrazione. Stordisce la critica il mondo dipinto da quelle pagine, poiché dimostra una compiutezza e una peculiarità che poco avrebbero a che spartire con quell’anima dannata di Jeremiah ‘Terminator’ LeRoy, il giovane autore, sieropositivo, figlio emotivamente danneggiato di una prostituta da autogrill, che nel suo talento letterario è capace di riversare tutta la propria impetuosa infanzia passata nelle strade di San Francisco, in un turbine di degrado, masochismo e sofferenze senza limiti.
Un vero prodigio questo J.T. tanto che, fin da subito, molti iniziano a dubitare della sua reale esistenza, indentificandolo con il suo dichiarato mentore, Dennis Cooper, di cui LeRoy viene ritenuto un mero pseudonimo. D’altronde i punti di incontro fra i due autori sono innumerevoli, soprattutto a livello di tematiche letterarie: basti pensare alla figura della madre di J.T., Sarah, angelica e marcescente al pari di Ziggy, il protagonista della sconvolgente opera di Cooper. Eppure una voragine li separa a livello stilistico: tanto la scrittura di Dennis Cooper è dinamica, moderna, allucinata, quanto lo stile di LeRoy è inaspettatamente sontuoso, ricercato, quasi classico. E’ proprio questo innegabile talento autoriale, capace di combinare registri e toni e di padroneggiare magistralmente una scrittura tagliente ed evocativa, che alimenta per lungo tempo la leggenda della sua inesistenza, accresciuta ulteriormente dalla reticenza stessa dello scrittore che comunica essenzialmente attraverso il suo sito internet e non osa svelarsi in pubblico. Grande è la sorpresa, dunque, quando dietro al velo dell’anonimato si rivela nient’altro che un ragazzino spaurito, tremante, con il viso di una bambina.

LeRoy si presenta agli occhi della gente con il volto coperto da due grandi occhiali scuri e una vaporosa parrucca bionda sulla testa, timido e balbettante, sempre sfuggente davanti agli sguardi altrui. Un’operazione orchestrata ad arte, pensano in molti; eppure questo sarà un dubbio destinato a diventare assolutamente irrilevante davanti alla potenza delle pagine di quello che sarà il secondo libro pubblicato da J.T., `Ingannevole è il cuore più di ogni cosa`, in grado di portare il lettore ancora più a fondo nella psicologia della sua anima tormentata, scavando all’interno di una vita lacerata e priva di qualsivoglia contrappunto di redenzione.
Di nuovo il cuore del racconto di LeRoy batte a San Francisco, lungo le strade dove i giovani vagano a raccogliere i pezzi delle proprie esistenze in frantumi. Le persone, infatti, non si trasferiscono a San Francisco per salire la scala aziendale come accade a Manhattan, oppure per cercare fortuna come a Hollywood; a San Francisco si giunge per scegliere un nuovo nome, per prendere droghe e andare fuori di testa con il sesso, per mettere in piedi band, zines o siti web, non certo per trovare la salvezza attraverso il successo o la carriera.

E’ nelle viscere di questo bizzarro mondo che vive Sarah, la madre di J.T., che dopo aver partorito il figlio a 14 anni e aver tentato di scaricarlo nel gabinetto, ritorna appena a maggiorenne a riprenderselo per portarlo via con sé. Sarah è un personaggio allucinante, ai limiti del grottesco, eppure anche incredibilmente affascinante, magnetico e provocante . E’ una madre molto spesso crudele, folle, capace di atti di estrema spietatezza e, poco dopo, di straordinario amore, che fornisce droghe a Jeremiah come se fossero caramelle e allo stesso tempo tenta di proteggerlo da quel mondo che ha finito irrimediabilmente per corrompere anche lei, la figlia di un reverendo. La figura di Sarah è cesellata nei minimi particolari dalla penna del figlio, capace in un pagina di detestarla visceralmente e di adorarla come una Madonna in quella successiva, trasfigurata dagli occhi di un bambino che non può fare a meno di amare colei che lo ha messo al mondo. Da un fidanzato violento a quello successivo, attraverso una galleria di canaglie, tossicodipendenti, camionisti e ogni altro cattivo ragazzo che la periferia di una metropoli è in grado di offrire, Sarah e J.T. dormono lungo le strade, pranzano negli autogrill e rubano nei supermercati per sopravvivere, sviluppando un indissolubile rapporto di simbiosi che costituirà al contempo la loro reciproca salvezza e rovina. Anche nelle scene in cui Sarah non sarà presente, infatti, la sua presenza incomberà sulla vita di Jeremiah come la vera forza trainante della sua vita, destinata in qualsiasi momento a ripiombare di nuovo su di lui per trascinarlo nell’inferno della strada da cui proviene.

Dubbi, perplessità, molte contraddizioni emergono dalla storia, un monte di chiacchiere che diventa subito dopo un monte di denaro, ma la parabola esistenziale di J.T. LeRoy, qualunque sia effettivamente, sparisce dietro le disperate pagine di `Ingannevole è il cuore più di ogni cosa`, pagine in cui realtà e mitologia underground si mischiano, simboli religiosi e riferimenti personali si generano e si accumulano; capitoli intensi, originali, scritti dannatamente bene, sputati fuori dalla penna di J.T. su consiglio dell’analista che lo strappa dalla strada, a comporre un libro di indubbio spessore, angosciante, sordido, eppure a tratti anche ironico, sfarzoso e coinvolgente.

Così verità e astuzie promozionali si intrecciano indissolubilmente, mentre nel frattempo il giovane LeRoy diventa sempre più l’idolo delle rockstar e di una certa anca di celebrità indie: è ospite fisso nella villa di Carrie Fisher, Winona Ryder afferma di averlo conosciuto ancora prima che fosse pubblicato, mentre Liv Tyler diventa sua intima confidente ed amica; Madonna gli invia letture della Cabala, Shirley Manson dei Garbage si ispira a Sarah per la sua `Cherry Lips`, mentre Asia Argento – con la quale si ipotizza addirittura una relazione sentimentale – decide di trarre un film da `Ingannevole è il cuore più di ogni cosa`. Per i critici letterari e i suoi colleghi scrittori, J.T. è un precocissimo talento letterario, in grado di attingere infiniti spunti narrativi dalla propria infanzia da white-trash, quasi fosse una miniera d’oro; alcuni osano addirittura paragonare la sua aura mistica a quella di Andy Warhol che, come lui, indossava parrucche, occhiali da sole oversize e raramente si concedeva al pubblico. Riviste patinate lo richiedono per farne una copertina, gli stilisti fanno a gara per vestirlo e i direttori dei magazine ucciderebbero per avere un racconto firmato da lui; in breve, per sei anni J.T. LeRoy diventa la più richiesta, la più alla moda e la più luminosa rivelazione letteraria del momento e, senza dubbio, la più intrigante di tutte.

Sarebbe davvero tutto perfetto, se improvvisamente non emergesse un piccolo particolare capace di compromettere quella che sembrerebbe una storia di peccato e redenzione al limite del cinematografico. Jeremiah ‘Terminator’ LeRoy, infatti, il bambino prodigio, il figlio della strada capace di riscattare la propria infanzia crudele attraverso il proprio straordinario talento… non esiste. I suoi libri sono in realtà stati scritti da Laura Albert, una donna quarantenne cresciuta nella generazione punk, scrittrice porno e dipendente di una linea erotica, ma che non ha mai vissuto per le strade di San Francisco o lavorato come prostituta adolescente. Allo stesso modo, il ragazzino spaurito dai capelli biondi è in realtà una ragazza, Savannah Knoop, la cognata appena ventenne della Albert, scelta per impersonare LeRoy in pubblico quando richiesto. E’ proprio su istruzioni della Albert, infatti, che Savannah lega una fascia elastica intorno al proprio seno, indossa occhiali e parrucca e si presenta come J.T., tenendo conferenza stampa, festeggiando e viaggiando a suo nome, facendo letture, acquisti e ingannando tutti; è sempre la stessa Savannah colei che intrattiene tutte le amicizie che sarebbero in realtà rivolte a J.T., arrivando perfino a vivere una storia d’amore con Asia Argento. Ovunque vada, tuttavia, Savannah è costantemente accompagnata dalla stessa Laura Albert, che si propone sotto l’identità di Speedie, colei che insieme a suo marito avrebbe contribuito a salvare J.T. dalle strade, diventando così la sua nuova famiglia. Questo piccolo trucco permette vera autrice dei romanzi di supportare la Knoop quando è necessario, parlando al suo posto attraverso telefono ed email, e colmando eventuali lacune nella sua conoscenza riguardo al personaggio.
Per sei anni la recita funziona alla perfezione: le persone, conquistate dalla personalità e dalla storia di LeRoy, non si preoccupano di fare troppe domande. Un giornalista che trascorre del tempo con J.T. e Speedie a Londra, in occasione di un tour promozionale, comprende che probabilmente qualcosa non va, eppure non si dà pena di indagare troppo a fondo: d’altronde, gioverebbe a qualcuno? Però, inevitabilmente, l’affaire J.T. LeRoy ha una data di scadenza, al termine della quale la bomba è destinata a scoppiare distruggendo tutto intorno a sé.

Nell’ottobre 2005, Stephen Beachy, un giornalista del New York Magazine, è il primo a ipotizzare l’inesistenza di J.T. LeRoy, dietro al quale, a suo dire, si nasconderebbe proprio la mente dell’insospettabile Speedie; poco dopo, Warren St. John pubblica sul New York Times i suoi sospetti riguardo Savannah Knoop come alter ego fisico del personaggio. Infine, il colpo letale, come spesso accade, è scagliato dall’interno: Geoffrey Knoop, fratellastro di Savannah e compagno della Albert, racconta tutto ciò che sa in una lunga intervista nel febbraio 2006, affermando come proprio la farsa di LeRoy sia il motivo della sua separazione con la moglie. E’ così che il colossale impero costruito dalla Albert crolla: molte sono le dichiarazioni di sconcerto, milioni sono le telefonate fatte e le email inviate, mentre già nel 2007 l’autrice si trova in tribunale, citata in giudizio per frode nei confronti del direttore cinematografico che aveva acquistato i diritti per trarre un film da `Sarah`.

Molti anni sono passati dallo smascheramento di J.T. LeRoy, eppure, comunque si scelga di visualizzare la vicenda – senza dubbio crudele, egoista e prolungata allo stremo -, non si può non ammettere come il tutto sia stato gestito in maniera assurdamente geniale. Quasi inimmaginabili, infatti, sono il coraggio e la sfacciataggine serviti ad una sola donna per fingersi un giovane transessuale abusato fin dall’infanzia, sostenendo una rappresentazione credibile per più di 10 anni, facendo centinaia di telefonate e inviando altrettante email e fax, nel costante timore di cadere in contraddizione con se stessa. Tutti coloro che hanno conosciuto direttamente Laura Albert hanno affermato come solo lei fosse la persona in grado di poterlo fare, tanto da non rimanere troppo sorpresi al momento della rivelazione. Quello di J.T. LeRoy è stato spettacolo veramente incredibile, soprattutto alla luce del fatto che il merito per tale truffa stellare va unicamente ad una mamma punk rock di San Francisco, che per vivere nient’altro faceva se non scrivere porno di terza mano e fare sesso telefonico.

In verità, sbucciando via tutte le polemiche nate dalla vicenda e analizzando più a fondo la vita dell’autrice, si scopre come i romanzi firmati sotto lo pseudonimo di J.T. LeRoy, per quanto mera fiction, non si discostino molto dalla realtà in cui Laura Albert è stata costretta a vivere fin dall’infanzia. Cresciuta a Brooklyn insieme alla sorella e alla madre divorziata, infatti, già all’età di quindici anni la Albert viveva per suo conto, crescendo per le strade e aderendo al movimento punk rock che all’epoca imperversava a New York. Ragazzina ebrea circondata da skinhead, in una scena culturale dominata quasi esclusivamente da uomini, per Laura Albert non vi era possibilità di essere debole o emotiva. Già a quel tempo lavorava come operatrice di una linea erotica e fu proprio lì che iniziò a creare altre identità, impersonando chi i suoi clienti preferivano sentire, barattando favori in cambio di qualche soldo.

Risale agli anni ’80 il trasferimento a San Francisco, la Mecca del movimento punk statunitense, capace di partorire dai suoi sobborghi band del tenore dei Dead Kennedys, dei Flipper, degli Avengers o delle Nuns. Come già negli anni ’50 avevano fatto i figli della beat generation, gli hippie negli anni ’60 e i gay nei ’70, i giovani degli eighties dovevano infatti compiere il proprio pellegrinaggio nella città per sperare di poter trovare il proprio posto nella street scene. All’incrocio della strada fra quello che diverrà il ground zero di Wired e del boom dei servizi multimediali, si trovava l’A-Hole, aperto tutta la notte, luogo di ritrovo per un serraglio di punk rocker, studenti d’arte, occupanti abusivi, squilibrati e fuggiaschi, fra cui si trovava la stessa Albert. E’ qui che, infatti, che Laura inizierà a farsi chiamarsi Speedie, ed è sempre qui che incontrerà Geoffrey Knoop e la sorella Savannah, con cui deciderà di fondare nel 1993 la band Daddy Don’t Go.
Gli amici di quel tempo ricordano come Laura Albert, a differenza del compagno sempre cordiale e rilassato, conservasse tutta la fretta e l’energia di una newyorkese; timida, insicura e misteriosa, la Albert si dedicava alla sensibilizzazione della gente comune nei confronti dei lavoratori del sesso, affermando come nella sua adolescenza da ragazza sfruttata e vittima dell’ideologia maschilista, ella avesse sviluppato un sesto senso per coloro che facevano dell’abuso la propria scelta di vita, spacciandola ai più come un tentativo di fornire conforto o incoraggiamento.

Allo stesso tempo, dentro di lei un’altra voce stava maturando, la voce di un giovane ragazzo fragile e disperso, un sopravvissuto, a suo pari, ad una vita incredibilmente dura. Laura Albert si sentiva più confortevole nei panni di quel ragazzino che decise di chiamare “Terminator”: le telefonate erotiche erano più facili da fare fingendosi lui, così come il chiedere consiglio a qualche autore per i pezzi che stava scrivendo.
Le sembrava, infatti, che i ragazzi avessero una vita più semplice e che fossero in grado di riscuotere un successo maggiore di quanto lei non avesse mai fatto. Nessuno infatti l’aveva mai chiamata con nomignoli affettuosi come facevano con quello che ormai aveva tutte le sembianze di J.T.; se la interpellavano in qualche modo usavano espressioni come “Ciacciabomba” o “Befana” o altri nomignoli sconci che le facevano voglia di scappar via di corsa. Per questo quando era ancora una ragazzina Laura desiderava essere un maschio, arrivando a chiamare i propri amici al telefono e assumendo l’identità di adolescenti sbandati a cui affidava storie di proprie invenzione, che poi usava appuntarsi sul margine delle pagine dei giornali o su tovaglioli di carta.
E’ così che J.T. LeRoy, la livida figura di quel bambino sperduto e abbandonato da tutti, divenne per Laura Albert la metafora della propria sofferenza. Ella decise poi di donargli una voce, scrivendo come lui, avendo successo grazie a lui e poi di nuovo cadendo in pezzi insieme a lui. Tutta la truffa LeRoy, infatti, non ha nulla del piano premeditato, calmo e coerente, ma assomiglia più a una dolorosa estensione organica della vita della sua stessa autrice: «E’ come se avessi avuto una sorta di complicato macchinario nella mia stanza e guardassi ad esso senza sapere come utilizzarlo. Così decisi di salirci sopra e, per qualche strana ragione, tutto funzionò alla perfezione».

Laura Albert cercò di prendere le redini dell’inaspettata fortuna che gli era piombata fra le mani, spingendola fino al limite delle sue possibilità. Nel frattempo, ella continuava inesorabilmente ad imbattersi in figure tenebrose, le stesse che avevano cercato di sfruttarla e corromperla fin dall’infanzia e che adesso volevano impossessarsi anche di J.T.: scrittori in carriera che lo osservavano con i segni dei dollari nei propri occhi, celebrità che miravano a succhiare da lui un po’ di glamour per poi portarlo sotto lo proprie ali danarose, manager e produttori decisi ad abusare a tutti i costi di quel piccolo ragazzo fragile. E’ così che J.T. LeRoy, una volta smascherato, contribuì a fare un altro piccolo grande miracolo, rivelando – questa volta per davvero – tutta la bruttezza e il marciume accumulatosi attorno a lui. E’ risaputo, infatti, che a volte è necessaria una bugia per rivelare al mondo una verità ancora più grande.

Ad oggi, il futuro di Laura Albert è quantomeno incerto. Senza dubbio l’autrice si è garantita una menzione d’onore nella nutrita galleria di bufale letterarie, prendendo comodamente posto a fianco dei 25 giornalisti del New York Newsday che nel 1969 scrissero il romanzo erotico `Naked Came the Stranger`,. oppure di Vicki Fraginals, che, a suo pari, si mascherò da madre adottiva di un presunto 14enne malato di HIV e precocissimo autore di bestseller. Per ora, però, la Albert si ritrova sola nel proprio appartamento di San Francisco, trascorrendo ciò che rimane della propria esistenza circondata da fantasmi, libri, giornali e dai resti di una carriera vissuta indirettamente.
«Vedo J.T. come un elaboratissimo nom de plume, una specie di George Sand del ventunesimo secolo» afferma John Strausbaugh, autore del New York Press. E come dargli torto? La vera storia di J.T. LeRoy, infatti, non è quella di un bambino disperato, maltrattato e sfruttato fin dalla nascita, ma quella ancora più straordinaria di una donna di mezza età senza alcuna prospettiva come autrice che, reinventando sé stessa nei panni di ragazzino effemminato, è stata in grado di ottenere un successo grandioso.

Molti amici, fra cui Steven Blush, sono orgogliosi di ciò che Laura Albert ha fatto e della colossale beffa che ha saputo gestire per anni. L’editor Eric Wilinski, che assistette alla truffa fin dall’inizio, vede addirittura un aspetto positivo in tutto ciò: «I ragazzi spiantati e fuggitivi che ho incontrato in Haight Street si sentono assolutamente in debito con me per aver pubblicato i libri di J.T.». Per quanto, infatti, l’identità di LeRoy sia fittizia, il dolore e il degrado rappresentato nei suoi libri sono stati in grado di trovare negli anni il riscontro di una realtà autentica, fatta di ragazzi e ragazze che, grazie a lui, hanno saputo trovare un portavoce per le proprie sofferenze.
Dunque, alla fine di tutto, chiudendo l’ultima pagina di questa bizzarra storia fatta di verità mascherate da bugie, inganni svelati e sogni di gloria infranti, giunge spontaneo chiedersi cosa veramente meriterebbe la nostra insindacabile condanna. Cosa, infatti, appare a noi come più squallido e deplorevole? J.T. LeRoy e la sua spericolata madre letteraria, o tutto il resto di noi? Ciò che è certo è che nessuno quanto Laura Albert è stato in grado di dimostrare e l’ipocrisia e la crudeltà di una società e del suo star-system, capaci in pochi anni di plasmare il culto di una pura illusione e poco dopo di gettarla nell’abisso da cui proveniva, senza più alcun sentimento se non quello di un’indefinita condanna e il desiderio di ricercare una nuova icona da poter idolatrare.
«Ingannevole è il cuore
più di ogni cosa e incurabile!
Chi lo può conoscere?»
Geremia, 17,9