`Life is Strange` (Dontnod Entertainement) • Pass in Time

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Nel Settembre 2004, l’University of Southern California si apprestava ad intraprendere quello che, a tutti gli effetti, si sarebbe dimostrato un deciso passo verso il futuro. Il celebre istituto, infatti, in collaborazione con Electronic Arts, decise di istituire un Master che permettesse ai propri studenti di sperimentare cosa significasse davvero realizzare un videogioco, partendo dal game design fino ad arrivare alla progettazione vera e propria. Un’esperienza decisamente innovativa per l’epoca, e forse anche azzardata, ma che avrebbe in seguito dato i suoi frutti, diventando di fatto uno dei progetti più ambiziosi mai intrapresi dall’UCS. A presiedere all’inaugurazione vennero quindi chiamati due fra i registi più celebri di Hollywood, Steven Spielberg e Robert Zemeckis, al fine di rimarcare agli studenti cosa l’industria dell’intrattenimento si sarebbe aspettata da loro.

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Interrogato sulla possibilità di una fusione fra il mondo videoludico e la realtà cinematografica, Steven Spielberg si dimostrò scettico: certo, la creazione di un videogioco presupponeva una buona capacità narrativa, ma in nessun modo questa poteva essere paragonata a quella di un film. Nella maggioranza dei casi, infatti, gli sviluppatori si limitavano ad offrire al giocatore un generico riassunto della trama, che dopo l’inizio dell’avventura finiva per essere relegata in secondo piano, appannaggio delle sfide rappresentate dai singoli livelli. Nessun particolare pathos era quindi presupposto alla storia e non c’era nulla che potesse ricordare a chi giocava cosa ci fosse alla base di un’azione o dietro al conseguimento di un determinato obiettivo. La nuova grande sfida che si presentava ai giovani programmatori, quindi, non era solo quella di realizzare comparti tecnici più avanzati o meccaniche di gioco originali, ma anche di narrare una storia che fosse coerente in ogni sua parte, riconciliando il giocatore con il suo ruolo all’interno del videogioco, che era tanto quello di spettatore quanto di fautore degli eventi narrati.

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Ad oltre un decennio di distanza dalle parole che Steven Spielberg pronunciò in quella sera di settembre, molte cose nel mondo dell’intrattenimento videoludico sono cambiate. Innanzitutto, la mole dei budget investiti è aumentata drasticamente, al punto che la creazione di un singolo titolo può arrivare a coinvolgere anche diverse centinaia di persone fra artisti, compositori e sviluppatori, tutti accomunati dal desiderio di offrire ai propri giocatori un’esperienza emotiva e sensoriale il più possibile unica e coinvolgente. I videogames, dunque, nati inizialmente con il puro scopo di divertire, hanno subito quella che a tutti gli effetti può dirsi una metamorfosi, trasformandosi in ciò che, agli occhi di alcuni, sembra essere la naturale evoluzione del linguaggio cinematografico. Alla narrazione come mezzo estetico ed espressivo, infatti, il gioco aggiunge la componente dell’interazione, tramite la quale non solo lo spettatore è in grado di proiettarsi all’interno di un mondo alternativo, ma anche di rivestire i panni di un personaggio di cui governare azioni e scelte, decretandone, infine, il destino ultimo. Da questa prospettiva le potenzialità offerte dal mondo videoludico sono pressoché infinite, al punto da prospettare la nascita di ancora nuove forme di intrattenimento, capaci in futuro di raggiungere livelli di realismo e di coinvolgimento mai visti.

Parlando di videogames e di interazione narrativa, è a questo punto impossibile non ricordare un titolo che nel 2015 è stato capace di generare un vero e proprio movimento d’opinione, riuscendo nell’ardua impresa di sovvertire il legame emotivo che un giocatore è in grado di sviluppare fra sé e la storia rappresentata: `Life is Strange`.

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Tutto inizia con una piccola casa di produzione videoludica francese, la Dontnod Entertainement, che, ormai sull’orlo del collasso, decide di tentare un’ultima e rischiosissima impresa: pubblicare un’avventura grafica a cinque episodi da srotolare nell’arco di un anno, una sorta ibrido fra un videogioco e una serie tv, che possa conquistare il pubblico e rivoluzionare a suo modo il genere di riferimento. La storia che gli sviluppatori scelgono di rappresentare è, non a caso, una di quelle che punta al massimo coinvolgimento emotivo: viaggi nel tempo, persone scomparse, omicidi e perversioni fotografiche, il tutto mentre il giocatore ha la possibilità di entrare in profondità nella vita e nei sentimenti di due amiche d’infanzia riunite – l’aspirante fotografa Max Caulfield e l’anima ribelle Chloe Price. Il primo episodio di `Life is Strange` – questo il titolo definitivo dell’opera – esce così in sordina, ma un rapidissimo passaparola lo porta ben presto sotto i riflettori della community di videogiocatori online, che lo testa e lo promuove a pieni voti. La strategia della serialità inizia quindi a dare i suoi frutti, al punto da generare un vero e proprio fenomeno di massa che, nell’arco di un  solo anno, porterà il titolo a diventare una sorta di cult e a conquistare il premio come ““Miglior gioco votato al cambiamento” ai Games Awards.

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Ovviamente, quello delle avventure grafiche ad episodi non è certo un genere inventato dalla Dontnod Entertainement e neppure inaugurato da `Life is Strange`: la Telltale Games, ad esempio, ne ha fatto un marchio di fabbrica ormai da tempo, ottenendo ad ogni nuova uscita un roboante successo di pubblico e di critica. Si tratta tuttavia di una tipologia videoludica molto particolare e piuttosto difficile da gestire, che necessita di un’attenta pianificazione della trama fin dal principio, in modo da mantenere vivo l’interesse dei giocatori nel lungo arco di tempo che intercorre fra la pubblicazione di un capitolo e l’altro. La scelta di intraprendere un progetto così imponente, quindi, non sembrava certo quanto di più saggio uno studio sommerso dai debiti potesse fare. Eppure, col senno di poi, nessun’altra tipologia di gioco sarebbe stata in grado di catturare l’immaginario collettivo al pari di `Life is Strange`.

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I vantaggi di pathos e di attesa che una struttura episodica è in grado di fornire sono, a tal proposito, pressoché evidenti a chiunque: ai giocatori viene innanzitutto lasciato il tempo di respirare, di pensare e di assorbire la narrazione pezzo per pezzo, e, contemporaneamente, di speculare su ciò che potrebbe accadere dopo. In questo senso, nessuna teoria è meno valida delle altre, al punto che talvolta sono gli stessi sviluppatori a stimolare la raccolta di nuove idee e suggerimenti, utili poi per  indirizzare il successivo corso della narrazione. Allo stesso tempo, il formato “a capitoli” permette di sperimentare con il racconto e la sua rappresentazione, inserendo cliffhangers brutali o disseminando il gioco di pause ellittiche, grazie alle quali il giocatore è portato a fermarsi e a riflettere, addentrandosi sempre di più nelle pieghe del meccanismo identificativo. In questo senso, `Life is Strange` sfrutta perfettamente tutte queste componenti, al punto che nessun capitolo può dirsi uguale ad un altro, riuscendo, al contrario, ad impiegare una traiettoria ogni volta inedita e originale, rendendo così l’intera esperienza di gioco sempre più completa e coinvolgente.

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Alla luce di tutto questo, è davvero difficile riassumere brevemente la trama di `Life is Strange` senza risultare in qualche modo approssimativi o banali. Alle prime battute, per di più, la sinossi potrebbe apparire piuttosto scoraggiante: Maxine Caulfield, la protagonista delle vicende, è una timida e riflessiva aspirante fotografa diciottenne che, dopo cinque anni di permanenza a Seattle con la famiglia, decide di ritornare nella propria cittadina natale in Oregon per frequentare l’università locale. Ad Arcadia Bay si trova infatti la Blackwell Academy, un’istituzione centenaria di prestigio internazionale, nota per sfornare ogni anno nuove promesse nel campo delle scienze e delle arti. Per Max, quindi, aver ottenuto la borsa di studio per l’accademia è un sogno che si avvera, tanto più che il corpo insegnanti annovera fra le sue file Mark Jefferson, fotografo di fama mondiale e uomo dal fascino indiscusso. Non vi è quindi nulla che possa realmente distinguere Max dall’essere un’adolescente come tante, amante dei selfie, libera pensatrice e alquanto impacciata nei rapporti sociali. Eppure, il primo incontro che il giocatore avrà con lei sarà assolutamente fuori dall’ordinario.

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`Life is Strange` prende infatti le mosse da uno scenario apocalittico, un bosco flagellato da una pioggia sferzante e da un vento rabbioso, in cui Max si risveglia senza ricordare nulla. Il primo compito del giocatore sarà quindi quello di condurla al sicuro presso un promontorio su cui brilla un faro, raggiunto il quale diverrà chiaro come all’origine della tempesta vi sia un gigantesco tornado che minaccia di investire proprio Arcadia Bay. Max è incredula, ma il suo terrore durerà poco: tempo un battito di ciglia ed ecco che lo scenario cambia nuovamente, catapultando la ragazza nella sua classe, in una giornata di sole, durante l’usuale lezione del professor Jefferson. E’ stato quindi tutto un sogno? Forse. Eppure dietro sembra esserci qualcosa di gran lunga più profondo e spaventoso. Nulla infatti ad Arcadia Bay è come sembra e `Life is Strange`, come da titolo, mira a ricordarcelo costantemente.

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Sebbene  la visione della tempesta continui a perseguitare Max per tutta la durata del gioco, molti altri saranno in realtà i misteri in grado di catalizzare le attenzioni tanto della ragazza  quanto del giocatore. Innanzitutto vi è l’enigma che avvolge la figura di  Rachel Amber, la popolare studentessa della Blackwell Academy scomparsa sei mesi prima, il cui bellissimo volto tappezza le pareti della città sopra annunci di riconoscimento. Poi c’è il brutto incidente capitato a Kate Marsh, ragazza modello e dalla fede incrollabile, che è stata tuttavia ripresa in atteggiamenti intimi durante una festa e che ora vede il suo video pubblicato online. Ma l’episodio che definitivamente cambierà la vita di Max sarà quando, nascosta nel bagno della scuola, assisterà  all’omicidio della sua ex migliore amica, Chloe Price, colpita a morte da una pallottola. L’assassino è Nathan Prescott, figlio problematico della famiglia più potente della città, il quale però non ha neppure il tempo di rendersi conto del suo gesto; Max, infatti, disperata allunga una mano nel tentativo di salvare Chloe e, come per miracolo, il suo atto porta il tempo a riavvolgersi su se stesso, conferendole così il potere di salvare la misteriosa ragazza dai capelli blu.

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Ciò che accade dopo l’inaspettato incontro fra le due protagoniste costituisce la vera forza e bellezza di una storia che è tanto più interessate quanto più è capace di addentrarsi nelle dinamiche della vita quotidiana di due ragazze sull’orlo dell’età adulta. E’ infatti questo il frangente in cui `Life is Strange` diventa, forse, uno dei giochi più intelligenti ed emotivamente destabilizzanti degli ultimi anni, quando ha sufficiente fiducia in sé e nei suoi personaggi per lasciare che il giocatore possa identificarsi completamente in loro, vivendo attraverso i loro occhi i problemi reali di un mondo reale, che spesso sa essere molto più crudele di qualsiasi creazione fantastica. In questa peregrinazione fra i piccoli e i grandi drammi della vita, tuttavia, il giocatore non sarà mai solo, ma verrà condotto per mano proprio da Max e Chloe, due splendide e memorabili protagoniste virtuali e, al contempo, due caratteri tanto umani da riuscire a spezzare il cuore.

Improvvisamente dotata del miracoloso e inspiegabile potere di riavvolgere il tempo per brevi periodi, Max, nonostante tutto, continua a vedersi come un’innocua “ragazza da parete. Scoprire di poter cambiare le azioni del proprio passato prossimo, infatti, può essere un assoluto trauma per un’adolescente abituata a stare sempre in disparte  in silenzio, a sedere in fondo alla classe e a partecipare solo se forzatamente chiamata in causa. Max, in realtà, dentro di sé nasconde molto più di quanto voglia far trasparire, e questo appare evidente al giocatore fin dal primo momento, quando, con `To All of You` di Syd Matters nelle cuffie, sarà portato a condurla per i corridoi della scuola ad esplorare la realtà circostante attraverso i suoi occhi. E’ infatti già a partire da queste prime considerazioni interiori che apparirà chiaro come, dietro alla facciata di assoluta riservatezza, Max nasconda l’anima di un’osservatrice acuta e spigliata, matura a sufficienza per capire l’essenza di chi gli sta intorno, ma indipendente al punto da non farsene influenzare.

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Parlando con un qualsiasi sceneggiatore di videogames, in particolare se impegnato nella realizzazione di giochi in cui sono le scelte dell’utente a guidare l’andamento della narrazione, si può evincere come sia fondamentale creare un protagonista dalle tonalità medie, non troppo estremo da escludere la personalità del giocatore, ma neppure anonimo al punto da risultare noioso. Affinché un personaggio venga quindi percepito come fluido, naturale e coerente, vi è la necessità che qualsiasi scelta egli sarà portato a compiere venga riconosciuta come l’espressione della volontà di chi lo guida, ma anche come la naturale estensione di tutto ciò che è accaduto prima. Tale necessità spesso può portare gli sviluppatori a generare protagonisti che, al pari di Max, arrivano a percepirsi in scala di grigi rispetto ad un variamente colorato mondo circostante, ma che sono comunque capaci di offrire al giocatore un efficace alter ego con cui interfacciarsi. D’altronde, abbiamo tutta una partita da trascorrere in compagnia del nostro avatar e, per farlo, occorre possedere motivi sufficienti per scoprire sempre qualcosa in più sulla sua personalità e sui personaggi che lo circondano.

E’  così che le peculiari caratteristiche di Max e la sua capacità di tornare indietro nel tempo arriveranno, fin da subito, a costituire quella che è la meccanica principale del gioco, oltre che uno dei suoi insindacabili punti di forza. Chi, d’altronde, non ha mai desiderato di possedere il potere di riavvolgere una conversazione finita male, oppure di prevedere la domanda del professore durante un’interrogazione? Questa aspirazione, questa preghiera universale, diventa così il seme formativo da cui si dipanano le vicende, portando tutte le sfide, i personaggi e gli ambienti ad oscillare intorno ad essa.

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L’eternamente curiosa ma esitante Max si ritrova così a collaudare gli effetti di una rete di sicurezza e a sperimentare in ogni situazione diversi approcci e strategie, per poi riavvolgere le proprie azioni qualora i risultati non siano quelli aspettati. E anche se un elemento del suo subconscio arriva spesso a ricordarle il lato potenzialmente oscuro e manipolatore di un tale comportamento, per la maggior parte del tempo il modo in cui Max utilizza il suo potere è determinato solo dalla volontà di essere onesta e di aiutare gli altri. D’altro canto, lo sviluppo che Max sperimenterà nel corso del gioco, nutrendo via via sempre più fiducia nelle proprie scelte e nelle proprie capacità, anche quando queste saranno messe a dura prova, rispecchierà esattamente il nostro sviluppo come giocatori. Da identità anonime e senza alcuna conoscenza del mondo circostante, dei suoi personaggi o dei sistemi ad esso sottesi, ci trasformeremo infatti in individui decisi e consapevoli, in grado di rispecchiare la nostra maturità in quella di una protagonista plasmata dalle sue stesse scelte.

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In realtà, a ben vedere, Max è molto più di una tabula rasa su cui il giocatore può proiettarsi, anche se chiaramente dotata di caratteristiche funzionali a questo scopo. Il grigiore che sembra caratterizzarla inizialmente, infatti, è solo una maschera dietro alla quale ella arriva a trincerarsi nel tentativo di trovare un proprio posto nel mondo. Max ne è perfettamente consapevole, così come è conscia del fatto che la società le richieda di essere sempre intraprendente e sicura di sé per poter avere successo. In realtà, la sua scelta di sedersi in fondo alla classe e di non mettersi in mostra, non  implica per forza una mancanza di coraggio o di intelligenza, che anzi Max dimostra costantemente di possedere quando le circostanze lo richiedono. Non significa neppure che ella rifiuti la popolarità o il riconoscimento altrui, ma semplicemente come non sia disposta a scendere a compromessi pur di ottenerli. I suoi poteri, quindi, le offriranno da un lato la possibilità di incidere il proprio posto nel mondo e di sfruttare le conoscenze ottenute per un proprio tornaconto, ma sarà infine la sua quintessenza incrollabile ad impedirle di abusarne. E’ così che, anche quando tutto nella realtà circostante sembrerà sfuggire ad ogni controllo, Max rimarrà sempre un punto di riferimento per chiunque, la calma nell’occhio del ciclone. Per quanto infatti le circostanze la costringeranno a compiere scelte sempre più spietate e terrificanti, la sua personalità e la sua integrità morale saranno sempre un terreno solido a cui aggrapparsi, un faro luminoso in cui rifugiarsi per non essere spazzati via.

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E’ a questo punto difficile immaginare un personaggio più stimolate e interessante da abbinare alla calma e razionale Max dell’esplosiva e trascinante Chloe Price.  Fin dalla sua prima apparizione nel gioco si può dire infatti che Chloe funzioni e conquisti alla perfezione, e non solo perché si tratta di una giovane punk dai capelli blu e sull’orlo di una crisi di nervi. Chloe Price funziona soprattutto perché è vera e sconvolgente, e perché è un’ulteriore complicazione nella vita di Max, ma, allo stesso tempo, un sostegno da cui è impossibile staccarsi. Chloe e Max hanno infatti una storia in comune che le lega fin dalla loro infanzia, fatta di vividi e gioiosi ricordi intorno ai quali continuano ad orbitare, nonostante il trasferimento di Max a Seattle, cinque anni prima, le abbia portate a mettere da parte il loro rapporto. E’ così che nel momento in cui le due ragazze  si ritroveranno ad intrecciare di nuovo le loro esistenze, oltre a dover venire a patti con il rancore e il reciproco senso di colpa, esse saranno portate a ritrovare anche quella parte di se stesse perduta nel tempo, quella che ha legato la loro vita da bambine e che è ancora profondamente in grado di unirle.

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Tuttavia, Chloe non è solo l’incarnazione in colori primari di un tempo più felice e più semplice; per quanto, infatti, possa apparire come una forza della natura, un ciclone di libertà, di vita e di movimento, ella dimostra di possedere un carattere altrettanto iroso, egoista e vendicativo.  L’irrefrenabile entusiasmo che caratterizzava Chloe fin dall’infanzia, infatti, pur riemergendo talvolta nei suoi momenti più spensierati, è stato corrotto dal tempo e dagli eventi, ossidato dal furioso desiderio di auto proteggersi arrivato al punto tale da oscurare la sua vera essenza. La morte del padre William e la successiva scomparsa di Rachel Amber –  la ragazza con la quale, in assenza di Max, era riuscita ad instaurare un rapporto autentico di amore e complicità – hanno infatti completamente minato la sua capacità di avere fiducia nel prossimo, portandola di conseguenza a scagliarsi contro tutto e tutti. La sua bussola morale è allo stesso modo completamente impazzita, al punto che più di una volta Max sarà costretta a contrastare i suoi peggiori impulsi, quelli che la porteranno a trafugare denaro per pagare i debiti dello spacciatore, oppure a ricorrere a una pistola rubata per risolvere tutti i suoi problemi.

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Spesso ci si ritrova a parlare della resilienza di coloro che sono stati costretti dalla vita a superare numerose difficoltà, notando con approvazione come, nonostante tutto, essi siano rimasti sostanzialmente fedeli a se stessi. La realtà, tuttavia, è molto spesso un’altra, ovvero che le tragedie e i traumi cambiano profondamente le persone, portandole ad essere qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato. Nel caso di Chloe, non solo la sua allegria giovanile e il suo perenne entusiasmo vengono compromessi, ma tutto ciò faceva di lei una ragazza giudiziosa e solare viene progressivamente minato e distrutto dalla rabbia perenne e da un dolore accumulato senza valvole di sfogo. Dopo la partenza di Max, solo Rachel Amber era di fatto stata in grado di scalfire il guscio di risentimento e di diffidenza che Chloe aveva costruito attorno a sé, offrendole al contempo una via di fuga dalla propria quotidianità, dal nuovo matrimonio dalla madre e da una casa infestata dai ricordi del padre. Ma anche Rachel improvvisamente esce dalla vita di Chloe, svanendo nel nulla, ed è questo il momento in cui Max fa la sua ricomparsa, ritrovando un’amica completamente cambiata e alle prese con un nuovo lutto da elaborare.

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La perdita di Rachel viene infatti vissuta da Chloe come un ulteriore tradimento, un nuovo motivo per avercela con un mondo che è stato capace di procurarle solo dolore. Ella sceglie quindi di non dimenticare e di coltivare la sua rabbia, circondandosi di ricordi che costantemente alimentano il suo rancore. Questo è evidente già a partire dalla sua camera da letto, un rifugio tappezzato di poster e di immagini ritagliate dalle riviste, ma sui cui muri campeggiano anche numerose scritte-promemoria della sua condizione: «Tutti mentono, nessuna eccezione»; «Pensa come un uomo»; «Devi solo lasciare andare»; «Non riesco a dormire».

La camera da letto di Chloe, tuttavia, non è il solo luogo capace di esercitare una trazione tossica sulla sua personalità. Allo stesso modo, ella è solita frequentare il campus della Blackwell Academy, da cui è stata espulsa mesi prima, ma dove fa costantemente ritorno, che sia per affiggere i manifesti di riconoscimento di Rachel, oppure per organizzare quello che sarà il suo “fatale” appuntamento con Nathan Prescott. Infatti, sebbene Chloe non possa più frequentare l’accademia, sembra quasi che questa sia rimasta il centro del suo mondo esterno e delle sue relazioni, un luogo in cui sentirsi – ironicamente –  al sicuro e in cui  poter ritrovare le tracce di un passato ancora piacevole.

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E poi c’è lo spazio pubblico-privato più caro a Chloe, la discarica, dove lei e Rachel erano solite a ritirarsi dal mondo esterno nei momenti in cui il dolore e la rabbia rischiavano di soverchiarle. La discarica di Arcadia Bay, tuttavia, non è solo un luogo di rifugio per Chloe, oppure una metaforica porta aperta verso un’altra realtà – la ferrovia passa infatti proprio in quei pressi, offrendo una potenziale via di fuga per chiunque voglia allontanarsi dalla cittadina. La discarica, in realtà, è anche un ambiente che circonda Chloe con i suoi segnali di morte. Non è solo lì, infatti, che è sepolto il corpo di Rachel Amber – come si scoprirà procedendo nella narrazione -, ma è sempre quello il luogo in cui vengono gettati tutti gli oggetti rotti e dimenticati, i mobili fracassati e le finestre infrante, e soprattutto i veicoli arrugginiti che sembrano dominare pericolanti l’intero paesaggio. Questo fatto diventerà ancora ancora più significativo nel momento in cui il giocatore scoprirà che William, il padre di Chloe, ha perso la vita proprio a causa di un incidente d’auto. Eppure non sembra essere solo la morbosità a far ritornare ogni giorno Chloe alla discarica; questo cimitero di macchine, infatti, è in fondo anche il simbolo della loro disfatta, il posto in cui esse non potranno più nuocere a nessuno, e il luogo in cui Chloe, soprattutto, ha la possibilità di dominarle e di rivalersi su di loro, colpendole, distruggendole e rendendole il proprio trofeo di caccia.

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Tuttavia, a eccezione di questi pochi luoghi vissuti da Chloe come un rifugio dal suo dolore, il resto della cittadina è percepito dalla ragazza sostanzialmente come un nemico. Tanto Arcadia Bay è  infatti accogliente per Max – c’è una nuova vita da iniziare, un’amica a cui riconnettersi e un’accademia in grado di far emergere il suo talento -, quanto per Chloe, che non si è mai allontanata, essa ha assunto le sembianze di tutto ciò che odia: «Questo luogo merdoso si è preso tutti quelli che ho mai amato… Mi piacerebbe lanciare una bomba su Arcadia Bay e guardarla andare fottutamente in pezzi».

Chloe ha dunque intrapreso la strada di coloro che, più volte visitati dalla tragedia, invece di percepire ogni disgrazia come qualcosa di scollegato, come una serie di eventi incontrollabili che hanno casualmente intersecato la sua vita, ha deciso di concentrarsi sul solo fattore comune in grado di unirli, lei stessa, concludendo erroneamente che la correlazione equivale alla causa. Da qui la sua rabbia, il suo dolore e la sua voglia di fuggire, quasi come se, privando il mondo dalla propria presenza, ella potesse ottenere anche il potere di spezzare quella maledizione che, inesorabile, sembra gravare su tutti coloro che ama.

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Essere un adolescente è senza dubbio qualcosa di molto complicato, soprattutto se ci si ritrova bloccati nel perimetro di una provincia priva di prospettive, capace di intrappolare nelle sue maglie anche l’aspirazione stessa di poter essere qualcosa di diverso. Non è così un caso che la Dontnod, a fianco della trama principale, decida di fondare la propria rappresentazione proprio su questo aspetto, esplorando sotto diversi punti di vista quell’impalpabile confine di vita che separa l’infanzia dall’età adulta.

Accanto alla vicenda portante di Max e Chloe, dunque, il giocatore avrà modo di interagire con una lunga serie di personaggi secondari, i quali, dotati ciascuno di un proprio distinto arco narrativo, contribuiranno ad incorniciare e ad arricchire ulteriormente l’intera esperienza di gioco. Se ad un primo sguardo, tuttavia, il parterre di caratteri secondari potrà sembrare solo una parata di stereotipi, procedendo man mano con la narrazione ciascuno di essi si rivelerà essere qualcosa di completamente diverso, assumendo una profondità e una consistenza narrativa assolutamente reali e credibili. Aggirarsi per la Blackwell Academy sarà quindi come tuffarsi a capofitto in una stampa di Rorschach dei propri anni di scuola, avendo allo stesso tempo la possibilità di confrontarsi con una serie di temi e di situazioni che qualsiasi adolescente, suo malgrado, ha dovuto sperimentare più o meno in prima persona. Vi sarà dunque spazio per parlare di ansia sociale e di slut-shaming, per porsi domande sulla propria sessualità e su ciò che la società pretende dai giovani, arrivando infine a trattare quello che, in fondo, è il desiderio comune a chiunque, ovvero di essere amati e accettati per ciò che si è.

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In diretto contrasto con tutto ciò che Chloe rappresenta, il personaggio di Victoria Chase, con i suoi maglioni di cashmere e il perenne sguardo di disapprovazione, si guadagna senza dubbio il titolo di “mean girl” della Blackwell Academy. Bella, ricca e spregiudicata, Victoria spadroneggia incontrastata per i corridoi della scuola, con l’unico apparente scopo di deridere e tormentare chiunque non scelga di allinearsi alla sua schiera di vestali adoranti. Tuttavia, come accade per tutti i personaggi secondari del gioco, anche l’archetipo rappresentato da Victoria sarà in breve tempo destinato a rovesciarsi, costringendo il giocatore a riconsiderare tutte le carte in gioco e rivedere ogni certezza data per scontata.

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Essere l’ape regina della propria scuola, infatti, può essere qualcosa di davvero gratificante, ma il prezzo da pagare per mantenere questa posizione di privilegio è spesso molto caro. Victoria, in proposito, sembra aver fatto un preciso accordo con se stessa e con le aspettative che la società nutre nei suoi confronti, accettando tutte le conseguenze di essere una giovane ragazza determinata ad emergere, e non solo in virtù della propria bellezza. In questo senso, Victoria è un personaggio perfettamente consapevole della propria bussola morale ma, al contrario di Max, ha deciso di reprimere i rimorsi della coscienza pur di ottenere ciò che desidera. Essere popolari, infatti, non significa necessariamente essere simpatici, gli alleati sono spesso molto lontani dall’essere dei veri amici e il successo si può ottenere tanto con il duro lavoro quanto con la volontà di scavalcare gli altri. Da diversi punti di vista, quindi, Victoria può essere descritta come il personaggio più vulnerabile di tutto `Life is Strange`, soggiogata a tal punto dal proprio desiderio di vivere e di autodeterminarsi da arrivare a costituire una facile preda per chiunque abbia l’interesse di sfruttarla.

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Allo stesso modo disprezzato e incompreso da chiunque lo circondi, Nathan Prescott è un altro dei personaggi destinati a sovvertire qualsiasi pregiudizio il giocatore possa maturare nei suoi confronti. Se per gran parte della narrazione, infatti, ciò che scorgiamo in Nathan è solo la figura di un arrogante e viziato figlio di papà, da una serie di indizi è facile intravedere come la sua vera natura sia in realtà completamente diversa. Gravemente confuso e manipolato da forze più grandi di lui, Nathan soffre infatti di disturbi mentali a stento tenuti a bada da un cocktail di psicofarmaci e droghe, che ha come unico risultato quello di frantumare ulteriormente la sua percezione della realtà. Allo stesso tempo, egli ha a che fare con un padre dispotico, determinato ad ignorare la malattia del figlio al punto da gettargli addosso, senza alcuna remora, tutto il peso delle aspettative familiari e di un nome destinato a fruttargli l’odio dell’intera Arcadia Bay. Questo mix letale di sofferenze e vessazioni che Nathan è costretto a subire ogni giorno lo renderà di fatto un assassino: è lui, infatti, che premerà il grilletto per uccidere Chloe, e sempre lui sarà uno dei primari responsabili della scomparsa e della morte di Rachel Amber.  Eppure, per molti aspetti, Nathan non è altro che un bambino confuso e dolorante, alla disperata ricerca di aiuto e di rispetto, ma che dal mondo esterno non otterrà altro che abuso e violenza.

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Il desiderio di mantenere il controllo su di sé e sulla realtà circostante, e ciò che un giovane uomo è disposto a fare pur di ottenerlo, è un buon punto di partenza per parlare anche di un altro personaggio: Warren Graham. Warren è la quintessenza del migliore amico che segretamente mira ad essere qualcosa di più, la spalla di supporto che qualsiasi protagonista di teen drama desidera di possedere. L’interazione fra Warren e Max sarà un buon motivo per gli sviluppatori della Dontnod per rappresentare il complicato gioco di corrispondenze fra due adolescenti alla loro prima esperienza amorosa, con tutto il corredo di imbarazzo e confusione che ad esso consegue. Warren agli occhi di Max ha senza dubbio molti punti di forza: è intelligente, spiritoso e innamorato di lei al punto da fare a botte pur di proteggerla; tuttavia, anche lui possiede un proprio lato oscuro, destinato a diventare sempre più evidente col passare del tempo e con il progressivo avvicinamento di Max a Chloe. Warren, infatti, ha un chiaro problema di autostima e di gestione della rabbia, che si manifesterà tanto nell’insistenza passivo-aggressiva con cui, per tutto il corso del gioco, cercherà un contatto con Max, fino ad arrivare a vere e proprie esplosioni di collera e di violenza. In ogni caso, Warren rimane nel complesso un personaggio positivo, ma soprattutto un prisma grazie al quale i giocatori di genere maschile potranno rispecchiare se stessi, percependo il proprio ruolo attraverso quello che è il punto di vista tutto femminile della protagonista.

Infine, vale la pena spendere qualche parola per parlare di Kate Marsh, uno dei personaggi senza dubbio più interessanti di `Life is Strange`, al punto da diventare protagonista assoluta del secondo episodio della serie. Con il suo background profondamente religioso e la salda fede evangelica, Kate senza dubbio rappresenta una sfida immediata per il giocatore, che probabilmente sarà portato a scambiare la sua bontà per debolezza e la sua presa di posizione contro il sesso prematrimoniale come un’espressione di fanatismo. Eppure, ben presto Kate sarà destinata a conquistare i cuori di molti, non solo perché fin dal principio vittima di bullismo e slut-shaming, ma perché lei e Max, proprio a causa di questi eventi, arriveranno a condividere una vera amicizia e un rapporto di reciproco rispetto, capace di sorvolare sulle differenze superficiali per concentrarsi su ciò che realmente è in grado di unirle.

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Quando il giocatore incontra Kate per la prima volta, la ragazza sta ascoltando la lezione di fotografia con gli occhi rivolti verso terra, nel tentativo disperato di ignorare le risate dei compagni che si divertono a bersagliarla con palline di carta e battute velenose. La notizia della sua ubriacatura durante una festa ha infatti iniziato a fare il giro della scuola, mentre un video che la raffigura in atteggiamenti intimi con vari ragazzi è stato caricato online, diventando virale nel giro di poche ore. Kate è sconvolta e disperata: la presenza del video sul web la inchioda alla sua vergogna e la sua totale amnesia su quanto è realmente avvenuto le impedisce di denunciare tutto  alla polizia. D’altra parte, nessuno, a parte Max, sembra essere realmente interessato al suo stato d’animo e persino gli insegnanti– anche quelli apparentemente più attenti e sensibili come Mark Jefferson – esprimono più o meno apertamente il sospetto che lei stessa sia la responsabile di quanto è accaduto.

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E’ così che l’esasperazione per la proprio situazione, la mancanza collettiva di supporto, insieme ai propri dubbi e timori personali, arriveranno ad abbattere Kate al punto da portarla sul tetto del dormitorio della Blackwell, dal quale minaccerà di buttarsi per porre fine a tutta la vergogna e alle sofferenze provate. Max, grazie ai suoi poteri, riuscirà a prevenire il primo tentativo della ragazza di lanciarsi nel vuoto, fermando il tempo quanto basta per raggiungerla. Tuttavia, proprio nel momento cruciale, quando sarà compito di Max condurre Kate in salvo, i suoi poteri verranno improvvisamente a meno, lasciandola completamente sola ad affrontare una questione di vita o di morte. Di fatto, è la prima volta in cui il gioco costringe la sua protagonista a dover scegliere per davvero.

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Anche se i successivi capitoli risentiranno ben poco dell’eventuale presenza o assenza di Kate, la ricaduta emotiva derivata dal non essere stati in grado di salvarla è capace di condizionare pesantemente tutto il resto della narrazione. E’ in questo frangente, infatti, che `Life is Strange` mette alla prova sul serio il giocatore, testando in particolare il suo grado di coinvolgimento emotivo rispetto alle vicende narrate. Se infatti Max dimostrerà di conoscere  e di capire Kate, avendole in precedenza prestato sufficiente attenzione e amicizia, ecco che sarà possibile condurla giù dal tetto e salvarle la vita; se, al contrario, le sue parole risuoneranno ipocrite o le sue azioni saranno state distratte o superficiali, Kate si ucciderà davanti ai suoi occhi. In questo senso, non vi sarà alcuna possibilità di rimediare agli errori precedenti o di riavvolgere il tempo per scegliere la risposta corretta: un passo falso e tutto sarà finito, costringendo di conseguenza Max, e il giocatore con lei, a dover fare i conti con il proprio senso di colpa.

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La scena del tentato suicidio di Kate e il dialogo a scelta multipla che ne decreterà l’esito finale sono, senza dubbio, un punto cruciale nella narrazione, ma non solo a causa delle conseguenze più immediate. Grazie ad essi, infatti, la Dontnod imbastisce una sorta di prova generale con lo scopo di preparare il giocatore a quello che accadrà sul finale, quando sarà costretto a dover affrontare una situazione molto simile ma dalle conseguenze ben più devastanti: scegliere di risparmiare Arcadia Bay e tutti i suoi abitanti, oppure salvare la vita di Chloe. La cittadina è infatti minacciata da un gigantesco tornado, lo stesso sognato da Max fin dal principio del gioco, e della cui formazione è l’unica diretta responsabile. Il solo modo per fermarlo sarà quindi quello di ritornare al principio di tutto, recidendo sul nascere le sue abilità di manipolare lo spazio-tempo; la conseguenza, però, è che Chloe dovrà morire, uccisa nel bagno della scuola da Nathan Prescott, in quanto Max non sarà più in grado di salvarla.

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Tutte le avventure grafiche basate su uno spettro più o meno ampio di scelte sono, per loro natura, destinate a lottare con le rispettive conclusioni. Un vasto numero di terminazioni, infatti, richiede un conseguente incremento del budget in gioco, necessario per procedere allo scripting, alla programmazione e al doppiaggio di una vasta quantità di materiale che, tuttavia, per la massima parte rimarrà nascosto al pubblico. Il rischio intrinseco è dunque quello di approdare a una lunga serie di finali privi di profondità o fortemente divergenti fra loro, finendo in molti casi per scontentare comunque i giocatori. Ecco dunque che, se un collasso di scelte è inevitabile, compito degli sviluppatori è quello di mascherarlo nella maniera più efficace, trovando il giusto equilibrio fra la portata limitata della realtà e l’ illusione del libero arbitrio.

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E’ così che, nel caso di `Life is Strange`, l’intera panoplia di possibilità confluisce interamente in una sola, spietata decisione finale: amiamo abbastanza Chloe per lasciare che una cittadina intera muoia in cambio della sua vita? Non si tratta, come per Kate, di una scelta intellettuale o di un esercizio di memoria, ma di un lungo momento congelato, nel quale i nostri sentimenti sono lacerati nella ricerca del male minore; perché quella vita che ci viene detto di sacrificare appartiene al personaggio per cui proviamo più affetto, e che anche in quel momento è lì accanto a noi, ad aiutarci o ad ostacolarci, aggiungendo ulteriore peso emotivo alla decisione che inevitabilmente saremo costretti a compiere.

Dal punto di vista tematico, tuttavia, pur nel suo crudele finale, `Life is Strange` appare perfettamente in linea con tutto quanto è accaduto in precedenza. Ogni nostra azione nel gioco, infatti, può essere ricondotta proprio alla duplice volontà di salvare sia Chloe che Arcadia Bay, ma è solo al termine di tutto che saremo costretti ad affrontare l’idea di non essere in grado di proteggere entrambe. Non tutto, infatti, può essere sempre riavvolto e riprodotto all’infinito e, proprio in questo momento, abbiamo la maturità necessaria per capirlo. Starà quindi solo a noi e a Max trovare la pace nel fatto che, a volte, è giusto e inevitabile dire addio alle persone che amiamo; oppure, al contrario, urlare al vento che certe cose, certi amori, sono troppo importanti per essere sacrificati al tempo e alle sue barriere, e che nessuna casa o famiglia potrebbe mai lenire il dolore della loro scomparsa.

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Dopo aver sperimentato gli effetti di entrambi finali, tuttavia, risulta piuttosto chiaro come la conclusione a cui il gioco sembra tendere preveda, appunto, il sacrificio di Chloe. Si tratta infatti del necessario compimento di un ciclo, della chiusura più naturale dell’arco narrativo di un personaggio che, tramite un appassionato e straziante monologo, ci guida con le sue stesse parole a compiere questa scelta: «Forse finora hai solo cercato di rimandare il mio vero destino. Pensa a tutte le volte che stavo per morire, o che sono effettivamente morta! Guarda cosa è successo ad Arcadia Bay dalla prima volta che mi hai salvata! Sono stata un’egoista, lo so, ma per una volta penso che dovrei accettare il mio destino».  Si tratta del momento perfetto, della redenzione definitiva di Chloe e, soprattutto, della sua ultima possibilità per essere una vera eroina.

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Alla luce di tutto questo, compiere la scelta opposta, ovvero lasciare che Arcadia Bay venga inghiottita dal tornado, risulta drammaticamente in contrasto con quanto la storia stessa sembra volerci insegnare. Ciò è testimoniato anche dall’estrema sintesi con cui gli sceneggiatori scelgono di rappresentare ciò che accade, tramite un breve filmato che vede le due protagoniste ritornare sconsolate sui luoghi devastati dal cataclisma. E’ così che Arcadia Bay si presenta ai nostri occhi completamente distrutta, un deserto di silenzio e lamiere: il Two Whales Diner, il ristorante in cui la madre di Chloe era impiegata, appare ambiguamente intatto, ma le uniche lettere dell’insegna rimaste al loro posto recitano “DIE”; nessun segno di vita è presente al suo interno, mentre la stessa casa della ragazza è stata ironicamente abbattuta da due enormi balene schiantatesi sul tetto. Un corpo coperto da un lenzuolo ci ricorda il numero di morti che lasciamo alle nostre spalle, mentre Chloe e Max, dopo essersi scambiate un lungo sguardo, decidono di abbandonare definitivamente la loro città natale per guidare verso luoghi sconosciuti.

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Quello che, invece, `Life is Strange` ci offre nel caso la nostra decisione ricada sul sacrificio di Chloe è, senza dubbio, molto più autentico e coinvolgente. Compiendo questa scelta, infatti, ci ritroveremo insieme a Max nel bagno della Blackwell Academy, ad assistere impotenti alla morte della nostra migliore amica, senza poter fare nulla che non sia piangere calde lacrime di rabbia e di disperazione. Il brano `Spanish Sahara` dei Foals arriverà a questo punto a dar voce ai nostri sentimenti, mentre le istantanee della storia appena vissuta inizieranno a scorrere davanti ai nostri occhi, per poi finire in cenere insieme  a tutti i momenti che non saremo più in grado di ripetere. Nessun altro sconto verrà concesso al nostro dolore, se non quello di presenziare ai funerali di colei che, per davvero, è stata in grado di incidere un segno indelebile nei nostri cuori.

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E’ così che, proprio grazie a questo finale, `Life is Strange` arriva ad assumere un valore di gran lunga più profondo di quanto suggerito in partenza, capace di andare molto al di là del semplice racconto di un’amicizia o delle vicende di una piccola cittadina di provincia. Grazie alla morte di Chloe, infatti, il giocatore si renderà conto di trovarsi di fronte non più a una semplice storia, ma a una vera e propria simulazione di vita, in grado di bilanciare l’amore e l’orrore in modo profondamente umano e di lasciare il giusto spazio anche al dolore e alla perdita. Nonostante l’atroce sofferenza provocata dal lutto, infatti, la vita e la speranza saranno comunque in grado trovare il loro posto: vedremo così Max sorridere dolcemente, mentre una farfalla blu arriverà a posarsi delicatamente sulla bara della sua migliore amica; le parole dei Foals giungeranno infine a cullare i nostri pensieri verso un ideale di completa accettazione: «Forget the horror here, forget the horror here. Leave it all down here, it’s future rust and it’s future dust».

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Pochi altri giochi al pari di `Life is Strange` possono dire di aver affrontato temi così essenziali con tale sensibilità e rispetto, divenendo per questo oggetto di discussione e d’interesse da parte di una vasta e variegata community di giocatori. Molte altre cose si potrebbero infatti dire su questo gioco straordinario, senza per questo arrivare mai ad esaurire gli argomenti di discussione. Di estremo interesse, ad esempio, è il modo in cui sono trattati i viaggi nel tempo, mentre  la consapevolezza dell’esistenza di una realtà a specchio ci porta ritenere come Max arrivi in realtà a perdere e a mantenere Chloe contemporaneamente. Per ore, poi, si potrebbe discutere sul ruolo della fotografia all’interno della narrazione, e di come questa venga sfruttata dalle meccaniche di gioco soprattutto con il fine di rappresentare la natura rapace dello sguardo maschile sul corpo della donna. `Life is Strange` è infatti una fonte infinitamente affascinante di sorprese e di considerazioni, un gioco ricco di morale ma non per questo moralistico, costruito soprattutto col fine di esaltare valori assoluti quali la compassione, la gentilezza, l’empatia e il perdono.

Non è dunque sbagliato definire `Life is Strange` come una delle migliori esperienze videoludiche degli ultimi anni, capace, pur con tutti i suoi difetti, di portare i propri giocatori a fare i conti con la parte più intima di se stessi, uscendone infine di gran lunga arricchiti e maturati. L’opera messa in campo dalla Dontnod ha infatti raggiunto più di quanto chiunque si sarebbe mai aspettato, riuscendo a trasmettere  insegnamenti e messaggi che raramente possono dire di aver avuto una tale risonanza all’interno della cultura pop. Sarà così sempre un piacere poter ritornare ad Arcadia Bay e ritrovare di nuovo Max e Chloe, per rivivere quella che è la loro piccola e indimenticabile storia d’amore.  Perché, si sa, la vita a volte è parecchio strana… Ma in fondo è sempre un viaggio che vale la pena di compiere.

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