BEYOND THE WALL #1 | A Song of Ice and Fire’s Review | Book 1 • `A Game of Thrones` di George R. R. Martin
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La condizione di bastardo di Jon Snow è in assoluto uno dei temi dominanti del primo volume de `Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco`: il giovane ragazzo è infatti figlio di Eddard Stark, ma non di Catelyn Tully, sua sposa, cosa che di fatto lo rende un membro illegittimo della propria famiglia. Essendo un bastardo, Jon non può vantare alcuna pretesa su Grande Inverno o sui domini del Nord, così come il suo talento con la spada non potrà mai permettergli di diventare un vero cavaliere. L’unica alternativa a cui il giovane può dunque aspirare è quella di arruolarsi nei Guardiani della Notte, la Confraternita in Nero, ovvero l’unico luogo in cui il proprio status sociale o di nascita non ha alcun valore. E’ così che Jon Snow si ritroverà suo malgrado a dover abbandonare casa e fratelli per recarsi alla Barriera, senza possibilità di ritorno, sottoponendosi ad ogni degrado e tormento che ser Alliser Throne, il maestro d’armi, avrà la volontà di infliggergli. D’altronde è proprio questo il destino che spetta ad ogni bastardo: essere un reietto, un escluso, separato per sempre dal resto del mondo e da tutte quelle connessioni in grado di definire la propria umanità.
Da questo punto di vista, Jon Snow può essere considerato il perfetto equivalente di Tyrion Lannister per quanto riguarda la Casa Stark. Entrambi ci vengono infatti presentati come uomini capaci, intelligenti e coraggiosi, eppure destinati ad essere ripudiati per colpe mai commesse. Jon è un bastardo, Tyrion un nano: sul loro capo grava un’onta incancellabile, un marchio fatale impostogli dalla nascita, con cui dovranno loro malgrado convivere per sempre. E’ in virtù di ciò che Tyrion si rivelerà un maestro fondamentale per il giovane Guardiano della Notte, arrivando ad insegnargli come sia innanzitutto vitale accettare se stessi per poter sopravvivere: «Mai, mai dimenticare chi sei, perché di certo il mondo non lo dimenticherà. Trasforma chi sei nella tua forza, così non potrà mai essere la tua debolezza. Fanne un’armatura, e non potrà mai essere usata contro di te». Se vi è d’altronde mai stato un luogo in cui un uomo ha avuto la possibilità di determinare se stesso, quello è senza dubbio il Castello Nero dei Guardiani della Notte, e presto anche Jon Snow avrà modo di constatarlo.

Non è lo status sociale a contare sulla Barriera, così come non lo sono le ricchezze o i titoli: solo il talento è importante, nulla di più. Nell’Ordine, infatti, ogni Confratello muove i propri passi dallo stesso punto di partenza, mirando poi a conseguire il medesimo risultato; è così che, una volta terminato l’addestramento, il compito che ciascuno andrà effettivamente a svolgere non sarà determinato dal carisma o dalle proprie condizioni di nascita, quanto unicamente dalla capacità di servire. Dal canto suo, Jon Snow, con la formazione e la tenacia di un vero cavaliere, la brillante intuizione del leader e il senso di giustizia del proprio padre, ha un solo destino ad attenderlo: divenire un grande condottiero. Le sue qualità sono innegabili e, allo stesso tempo, non comuni alla maggioranza, poiché derivanti dall’essere stato cresciuto come un bastardo, un rifiuto sociale e dunque un “grottesco”. Tale circostanza verrà più volte sottolineata dallo stesso Martin, oltre che sancita da due eventi in particolare: l’amicizia con Samwell Tarly e l’acquisizione della spada Lungo Artiglio.

Se, da un lato, la decisione di Jon di proteggere il grasso e codardo Sam servirà a dimostrare la sua sensibilità e la determinazione nel difendere il diritto alla vita di ciascuno, il riconoscimento definitivo del suo talento avverrà solo in seguito, grazie al “Vecchio Orso” Jeor Mormont e al suo prezioso dono. Come molte altre nobili spade, infatti, anche Lungo Artiglio è stata possesso di una sola famiglia – i Mormont – per secoli e secoli; pertanto, la decisione del suo lord di donarla ad un giovane bastardo appare quanto mai singolare. Ad essere veramente cruciali, tuttavia, saranno soprattutto le parole che il Comandate dei Guardiani della Notte deciderà di pronunciare: «Ora è la spada di uomo che stringi in pugno e mi aspetto che da uomo ti comporti». Da questo punto di vista, è evidente come Jeor Mormont sia il primo a riconoscere le potenzialità di Jon Snow, oltre che le sue capacità nell’interpretare i segni degli eventi; se non fosse stato per lui e per Spettro, infatti, egli sarebbe morto per mano di un Estraneo o, peggio, sarebbe diventato un’ombra bianca a sua volta. Eppure, nonostante tutto, ai suoi occhi il ragazzo possiede un temperamento ancora troppo impulsivo, oltre che un eccessivo attaccamento verso la propria famiglia di origine. Se il suo destino sarà infatti quello di ricoprire una posizione di comando, è fin da subito necessario che egli abbandoni qualsiasi legame con il proprio passato e con le persone che ama. E’ così che la consegna di Lungo Artiglio diverrà per Jon innanzitutto il simbolo di una nuova presa di consapevolezza, necessaria poiché si tratta di una spada forgiata non solo per essere impugnata da un valoroso guerriero, ma anche e soprattutto da un grande lord.

Nel vastissimo mondo creato da George R.R. Martin, tuttavia, Jon Snow non è il solo a dover fare i conti con il proprio futuro e con il peso di un’ingombrante discendenza. Nel misterioso continente di Essos, infatti, al di là del Mare Stretto, una fanciulla di appena quattordici anni sta per celebrare il proprio matrimonio combinato: il suo nome è Daenerys, ultima erede di Casa Targaryen, e sebbene in questo momento sia convinta di star festeggiando la fine della propria libertà, ella è alle soglie di un radicale cambiamento. Fra i molti doni nuziali ricevuti, infatti, Daenerys stringe fra le mani qualcosa di molto speciale: tre uova di drago, all’apparenza ridotte in pietra dallo scorrere dei secoli, eppure ancora stranamente vive e pulsanti sotto il tocco delle sue dita. La giovane sposa non ne è ancora consapevole, ma proprio quelle tre uova saranno per lei la chiave di un nuovo inizio, di una vera e propria rinascita, in grado di condurla a confrontarsi con se stessa e con l’inevitabile determinarsi del proprio destino.

Ritornando per ora al presente, una sola cosa appare certa agli occhi di Daenerys: se la sanguinosa guerra di ribellione dell’Usurpatore non fosse mai avvenuta, ella si troverebbe ad Approdo del Re, dentro la Fortezza Rossa, a godere di tutti i privilegi e i vantaggi destinati alla figlia di un sovrano. La realtà, purtroppo, è molto diversa: Robert Baratheon siede sul Trono di Spade, mentre Dany si ritrova perseguitata e in esilio, costretta a trascorrere i propri giorni in sella ad un cavallo e le notti in un talamo nuziale da lei mai desiderato. Suo fratello Viserys, infatti, le ha imposto con la forza di sposare khal Drogo, il capo di una tribù barbara di dothraki, al fine di ottenerne l’aiuto militare e sperare poi un giorno di riconquistare i Sette Regni.
«A casa ci andremo con un esercito, dolce sorella. L’esercito di khal Drogo[…] E se per fare sì che io lo ottenga tu dovrai sposarlo e dormire con lui, tu lo farai. Se per far sì che io lo ottenga il suo intero khalasar vorrà fotterti, tu ti farai fottere, dolce sorella. Da tutti i suoi quarantamila uomini. E anche da tutti i loro cavalli, se necessario».

Cavalcando insieme a Daenerys e sperimentando il suo dolore di giovane sposa, siamo portati a ritenerla un personaggio finito, annichilito, destinato a nient’altro che a un futuro di dolore e disperazione; il suo sguardo terrorizzato ne è una conferma, così come la sua indole innocente capace di renderla preda dei ricatti e dell’aggressività del fratello. Tuttavia, valutare la giovane principessa solo da questa prospettiva ci porrebbe inevitabilmente nel torto. Daenerys è di certo una ragazza sola, affranta e priva speranza, eppure allo stesso tempo portatrice di una forza e di una fierezza insolite per una fanciulla della sua età. Nella sua volontà di sopravvivere, infatti, non vi è nulla di remissivo, così come non vi è alcun tipo passiva accettazione nel chiedere alla propria ancella di narrarle storie di draghi o di darle lezioni di seduzione.

La prima importante metamorfosi di Daenerys avviene dunque quando, poco dopo il matrimonio, ella rimane incinta, non a caso proprio nel momento in cui khal Drogo arriva a comprenderne i desideri e a godere della sua rinnovata assertività. A ben vedere, però, non è tanto il figlio che la principessa cresce in grembo a costituire un radicale cambiamento, quanto Daenerys stessa. Se emotivamente e intellettualmente, infatti, non era che una bambina al momento di lasciare la città libera di Pentos, ora Dany appare a tutti gli effetti una donna cresciuta, coraggiosa e caparbia, capace di riconoscere e di mettere in campo i propri talenti, non solo all’interno della tenda del khal, ma anche al comando della sua nuova armata. Non più fredda e silente come le sue uova di drago, la principessa dai capelli d’argento inizia dunque a crescere, a cambiare e soprattutto a imparare, dando prova di grande lungimiranza e di una straordinaria capacità nel reinventarsi.
Da questo punto di vista, se dapprima i dothraki le apparivano come un popolo barbaro e sanguinario, ora Daenerys arriva invece ad apprezzarne il coraggio, l’irriducibile senso dell’onore e il disinteresse verso le ricchezze materiali, fattori che si riveleranno cruciali per la sua stessa evoluzione. Sentendosi infatti profondamente connessa a quella stirpe di uomini liberi e concreti, in grado di accontentarsi solo di ciò che possono conquistare, ella giungerà ad emanciparsi anche dall’influenza di Viserys, ferocemente attratto dalle lusinghe del potere e dallo splendore che la sovranità può conferire. In tal senso, sarà lo stesso khal Drogo a volerlo accontentare, decidendo dopo l’ennesimo sopruso di prendere le sue parole alla lettera e arrivando a porgli in capo una “corona” d’oro liquefatto. In quel frangente, con sua grande sorpresa, Daenerys si scoprirà totalmente incapace di provare qualsiasi tipo di compassione nei confronti del fratello e, rimasta impassibile di fronte alla sua esecuzione, si limiterà a constatare la natura della sua atroce sconfitta. «“Non eri un vero drago” pensò Dany con una calma singolare. “Il fuoco non può uccidere un drago”».

Arrivati a questo punto della storia, è facile constatare come Daenerys, più di qualsiasi altro personaggio all’interno saga, sia una figura capace di cambiare e di evolversi, in virtù innanzitutto di una straordinaria abilità nell’adattarsi, nel superare le avversità e nell’emanciparsi come donna e come regina in una società patriarcale. «Io sono il sangue del drago» saranno infatti le parole che spesso e volentieri le sentiremo pronunciare, affrontando con indomita fierezza i guerrieri del marito o affermando con forza la propria volontà. Molto in realtà è contenuto in questo proclama, ben più della semplice connessione fisica e spirituale con gli esseri di fuoco contenuti nelle sue uova. Per Martin, infatti, il “sangue” rappresenta non soltanto un semplice fattore biologico, quanto qualcosa di più profondo, in grado di coinvolgere l’essenza stessa e l’intima natura dei suoi personaggi.
Nel mondo di Westeros, il sangue è alla base dell’identità di ogni uomo, l’arbitro finale del proprio valore e l’autentica realtà di tutte le cose. Fin dall’inizio, l’autore arriva a testimoniarcelo grazie a Jon Snow, un ragazzo nato bastardo eppure portatore di tutte le caratteristiche proprie ad uno Stark. Non è dunque il nome a definire la sua vera natura quanto i suoi legami di sangue, un principio in grado di interessare la stessa principessa Targaryen, ultima vera erede di una nobile stirpe di re. E’ proprio in virtù di questa consapevolezza che Daenerys, infatti, arriverà più volte a proclamare la propria vera identità, non più quella di schiava o di ragazzina impaurita, ma di fiera e indomita Khaleesi, sposa di Drogo e figlia di draghi, colei che un giorno potrà ritornare a casa e rivendicare per sé il possesso del Trono di Spade.

Stando così le cose, non sorprende come sia proprio il “sangue del drago”, Daenerys Targaryen, ad arrivare per prima ad incrinare il rapporto di mutuo affetto e rispetto fra re Robert Baratheon e il suo nuovo Primo Cavaliere, Eddard Stark. E’ infatti la consapevolezza che l’erede dei suoi nemici è ancora in vita a riaccendere in Robert l’ossessione di un’antica minaccia, al punto da indurlo a ordire un atto vile e disonorevole quale l’assassinio di una fanciulla e del bambino nel suo grembo. Lord Stark, dal canto suo, si opporrà fin da subito a una tale insensata decisione, incapace di riconoscere il suo vecchio amico nel corpo di quel grasso sovrano afflitto, ubriaco di ossessioni passate e cieco di fronte al vero pericolo nascosto alle sue spalle. Sarà infatti attraverso le sue parole che il lettore avrà modo di scoprire la vera natura di re Robert, un uomo un tempo capace di convinzione e di coraggio, ma ridotto dal dolore e dagli eventi alla mera ombra di se stesso.
Cresciuti insieme alla corte di Jon Arryn presso Nido dell’Aquila, Eddard e Robert condivisero in passato un rapporto quasi fraterno, un legame nato sotto il segno della diplomazia e proseguito solido e prospero fino all’età adulta. A quel tempo, solo impulsi virtuosi guidavano le decisioni del futuro sovrano, su tutti l’amore per la fiera e bellissima Lyanna Stark, sorella minore di Ned e sua promessa sposa. Sarà proprio l’improvviso rapimento della fanciulla da parte del principe Rhaegar, infatti, a costituire il casus belli per lo scoppio della guerra, portando Robert Baratheon a scendere in campo e ad avviare la propria sanguinosa ribellione, allo scopo di ottenere vendetta e di estinguere per sempre il dominio della dinastia Targaryen.

Quattordici anni sono trascorsi da quei tragici eventi e ancora, nonostante la sua morte, Lyanna Stark rimane l’unica donna in grado di meritare l’amore incondizionato di Robert Baratheon. Il risultato di tale passione perduta arriva così a ricadere direttamente sui Sette Regni, da tempo sottoposti al governo di un sovrano svogliato e incapace, disinteressato a qualsiasi aspetto della vita pubblica e alla gestione di un grande reame. Con le finanze ridotte alla mera attività di “contare monete”, la difesa trascurata e la giustizia esercitata in maniera sommaria, ogni dovere reale viene dunque delegato al Concilio Ristretto, impegnato soprattutto nell’allestimento di continui giochi e tornei, al fine di blandire le richieste del popolo e i sensi di colpa dello stesso sovrano. Come se ciò non bastasse, la sostanziale noncuranza di Robert nei confronti del reame arriva a riflettersi, sul piano privato, nella totale assenza di connessione emotiva nutrita verso Cersei, colpevole ai suoi occhi di essere divenuta regina e di aver preso il posto spettante a Lyanna.
E’ così che, giunto nella capitale, Eddard Stark si troverà suo malgrado a dover fare i conti con i pericoli di una realtà spietata e ostile, incredulo nel constatare come anche quell’uomo che credeva di conoscere sia divenuto per lui un completo estraneo. Costretto contro la propria volontà ad immergersi negli intrighi di una corte disumana, teatro di sotterfugi e tradimenti, il lord di Grande Inverno si rifiuterà stoicamente di entrarne a far parte, arrivando ad inimicarsi lo stesso sovrano pur di non avvallarne le logiche feroci.

E’ a questo punto evidente come, in un mondo spietato come quello de `Il Trono di Spade`, dove l’odio è il sentimento più comune e il dominio l’unico obiettivo da raggiungere, Ned Stark arrivi a rappresentare l’eccezione a molte regole. A differenza di molti altri personaggi all’interno della saga, infatti, egli dimostra fin da subito un sostanziale disinteresse nei confronti del potere, fatto che lo porterà ad esitare a lungo di fronte alla possibilità di diventare Primo Cavaliere del Re. Allo stesso modo, la sua visione della giustizia appare diversa rispetto a quella della maggioranza, poiché ispirata ai più moderni canoni di equità e di certezza del reato. In una società come quella di Westeros, dunque, in cui anche il caso può determinare l’esito di un processo, Eddard Stark arriva a sostenere l’importanza della legge e il primato della coscienza individuale, secondo il principio per cui chi pronuncia la sentenza debba essere anche colui che cala la spada.

Da questi e molti altri particolari, apprendiamo come il lord di Grande Inverno sia dedito sopra ogni cosa all’esercizio dell’onore, ai suoi occhi l’unico principio in grado di definire la virtù di un uomo e il valore di tutte le cose; tale leale devozione, tuttavia, giungerà ben presto a rivelare un proprio inquietante lato oscuro, pericoloso al punto da poter minacciare la sicurezza stessa degli Stark e quella dell’intero reame. Pur essendo un uomo d’onore, infatti, lord Eddard si dimostrerà totalmente incapace di comprendere i vantaggi di un potere discrezionale, impossibilitato a vedere altre opzioni se non quelle dettate dal dovere e dalla responsabilità. E’ proprio l’imprescindibile aderenza all’onore a condurlo, per esempio, a giustiziare il Guardiano della Notte disertore, e a renderlo sordo di fronte ai suoi avvertimenti e alle sue vane giustificazioni. Analogamente, sarà la necessità di difendere il reame ciò che lo persuaderà ad accettare l’incarico di Primo Cavaliere, pur sapendo di possedere una visione della politica totalmente avulsa ai giochi di potere della capitale.

Ad Approdo del Re, infatti, obbedire esclusivamente a un principio d’onore senza mostrare alcuna lungimiranza costituisce tutt’altro che una virtù. La discrezione, da questo punto di vista, rappresenta la massima qualità dell’uomo politico, poiché capace di rendere i suoi giudizi prudenti e le sue valutazioni ponderate. A tal proposito, più volte vedremo lord Eddard prendere decisioni totalmente inaspettate e dagli esiti controproducenti, dimostrandosi incapace di cogliere il momento e di sfruttare gli eventi a proprio favore. Un mero scrupolo morale lo indurrà, ad esempio, a nascondere la verità sull’assassinio di Jon Arryn, così come un sentimento di pura misericordia lo spingerà a confessare a Cersei di essere a conoscenza del suo segreto. In quest’ultimo caso, tuttavia, l’incrollabile nobiltà d’animo del Primo Cavaliere non sarà sufficiente a garantirgli la giustizia tanto sperata, arrivando al contrario a scatenare un’inarrestabile catena di eventi, destinata a culminare con la morte di Robert e il trionfo definitivo dei Lannister.
Se si leggono `Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco` sperando di trovarsi di fronte a un racconto di pura fantasia, in cui il Bene vince sempre sul Male, in cui i principi sono giusti e i re misericordiosi, allora si finirà di certo per rimanere delusi. Se da un lato, infatti, la maggior parte degli autori fantasy ucciderebbe per avere un personaggio del carisma di Ned Stark, dall’altro George R.R. Martin decide di sparigliare completamente le carte, contraddicendo qualsiasi aspettativa e arrivando ben presto a toglierlo di mezzo. E’ così che, a pochissime pagine dalla fine, saremo costretti ad assistere con sgomento all’atroce morte del lord di Grande Inverno, reo confesso di colpe mai commesse, giustiziato senza pietà al termine di un climax narrativo sconvolgente, fra le ingiurie di una folla disumana e le grida disperate delle sue stesse figlie.

Magnificamente orchestrata dalla penna del suo autore, la decapitazione di lord Eddard giunge così all’improvviso, arrivando a spiazzare e a colpire il lettore, lasciandolo incredulo al pari di tutti i personaggi riuniti ai piedi del tempio di Baelor. Ciò per cui la corte aveva cospirato, infatti, non era stata la morte del Primo Cavaliere quanto la sua pubblica umiliazione, destinata a culminare nella sentenza di perenne esilio e nella condanna a servire presso i Guardiani della Notte. A tale scopo, lord Varys, il “maestro dei sussurri”, si era adoperato con cura per tessere la propria tela di persuasione, visitando regolarmente Ned in carcere e inducendolo a rinunciare al suo prezioso onore. Allo stesso modo, Cersei, consapevole del proprio ascendente, si era occupata personalmente di plasmare la mente della giovane Sansa, convincendola con dolci parole a mentire e a credere alle sue stesse bugie. Garantire la sopravvivenza del lord di Grande Inverno, d’altronde, era interesse comune a tutte le parti, essendo questo l’unico modo per indurre l’esercito del Nord e i nemici della corona alla sconfitta. Quanti vassalli, infatti, avrebbero continuato a seguire il giovane Robb sui campi di battaglia dopo aver appreso del vile tradimento del padre? E, ancora, quanti uomini del Sud avrebbero scelto di combattere per Stannis o Renly Baratheon, sacrificando volontariamente le proprie vite in nome di una causa di fatto illegittima?

Dal punto di vista dei Lannister, dunque, l’arresto di Ned Stark poneva una posta in gioco altissima, tale da poter determinare l’esito del colpo di stato e il destino di tutti i Sette Regni. Eppure, nessuna vera perplessità giunge a sfiorare la mente del giovane Joffrey, il nuovo re bambino, dotato dalle circostanze di un potere decisionale immenso. Ai suoi occhi di adolescente viziato e irascibile, infatti, solo una decisione appare veramente cruciale: esercitare un inutile perdono, dimostrando la debolezza e il cuore tenero di una donna, oppure far valere il proprio potere, giustiziando il traditore e affermando la sua vera natura di re. Per Joffrey Baratheon, in realtà, non vi è alcuna vera alternativa a cui dover far fronte. E’ così che, ignorando i diciottomila uomini ai comandi dal Giovane Lupo e i migliaia di vessilli fedeli ai fratelli di suo padre, con poche laconiche parole il nuovo re arriva a pronunciare la propria sentenza, decretando senza esitazioni la condanna a morte di un innocente e giungendo a destabilizzare gli equilibri di un intero continente.

Lord Eddard, dal canto suo, non si era mai ritrovato a temere per davvero le conseguenze della propria morte. Rinchiuso in una buia cella di prigione, infatti, si era ostinatamente rifiutato di cedere, continuando a proclamare a gran voce la propria verità, fino a quando l’inaspettata visita di lord Varys non era giunta a ricordagli il peso incombente delle sue responsabilità. Per riuscire a capire la decisione del signore del Nord, dunque, è necessario mettersi nei suoi panni, arrivando a percepire intorno a noi l’odore mefitico dell’oscurità, sulla pelle il freddo pungente della disperazione e nella mente l’infinita monotonia delle ore. E’ in questo contesto, infatti, nella lunga notte in cui viene lasciato a riflettere, che Ned Stark giunge finalmente a comprendere qualcosa, una verità da lui sempre ignorata, ovvero come qualsiasi decisione, per quanto giusta, non possa mai essere esente da un doloroso prezzo da pagare. In questo caso specifico, scegliendo di continuare a rivendicare l’illegittimità al trono di Joffrey, egli avrebbe senza dubbio sancito la propria condanna a morte, ma allo stesso tempo la sua integrità e il suo valore sarebbero rimasti intatti. Avvallare, al contrario, la salita al trono del figlio di un incesto sarebbe stato un abominio e un’umiliazione, ma avrebbe risparmiato ai Sette Regni una nuova sanguinosa guerra di successione.

«Dimmi, se un giorno tuo padre fosse costretto a una scelta, l’onore da un lato, quelli che ama dall’altro, cosa farebbe?», chiede l’anziano Maestro Aemon a Jon Snow, poche pagine prima della morte di Eddard. Constatando ciò che succede in seguito, possiamo senza dubbio abbozzare una risposta. Lord Stark sceglie infatti di mentire: di fronte al tempio di Baelor e allo sguardo trionfale dei Lannister, egli sceglie di sacrificare se stesso, di infangare il proprio nome e quello della propria Casata, confessando la natura di un falso tradimento e sancendo l’ascesa al potere di Joffrey Baratheon. Da questo punto di vista, la sua sconfitta è totale, ulteriormente aggravata dall’evidente inutilità di una simile scelta. A ben vedere, però, le cose non stanno esattamente così. Decidendo di umiliare se stesso, infatti, Ned Stark arriva sì a piegarsi ad un ricatto, ma non per questo a rinunciare al proprio onore; anzi, per la prima volta nella sua vita, il lord di Grande Inverno giunge a dimostrare un nuovo tipo di coraggio, abbracciando un principio ben diverso dal mero senso del dovere e, forse per questo, di gran lunga più prezioso: l’amore per la propria famiglia. Certo, nonostante il sacrificio compiuto, Eddard Stark alla fine muore, ma la morte è capace di fare di lui un martire, permettendo a tutto ciò che egli ha rappresentato in vita di sopravvivere, negli occhi e nelle azioni dei suoi figli, così come nelle coscienze di tutti coloro che ancora ostinatamente continuano a credergli.

Con la morte di Eddard Stark e la fine del primo volume della saga, George R.R. Martin arriva di fatto a sancire l’autentico inizio del “gioco del trono” e, contemporaneamente, ad imbastire il cambiamento di un gran numero di personaggi, destinati in gran parte a determinare il futuro delle vicende narrate. La prima a dover affrontare un simile processo di metamorfosi è la piccola Arya che, dopo aver assistito inerme all’esecuzione del padre, viene chiamata a risorgere dalle proprie ceneri nelle sembianze del bambino orfano Arry. In un reame devastato dalla guerra e in gran parte intenzionato ad ucciderla, Arya si ritrova così improvvisamente sola, costretta a fuggire e a sopravvivere in virtù delle proprie capacità; di fronte a lei, infatti, si estende il lungo cammino per tornare a Grande Inverno, una meta che ella sarà in grado di raggiungere solo grazie ad una completa trasformazione. Questa avverrà fin da subito e sarà simboleggiata dal taglio di capelli compiuto da Yoren, il Guardiano della Notte giunto a soccorrerla, un’azione associata in molte culture alla rinuncia del proprio passato e all’inizio di una nuova esistenza fra gli emarginati della società. Anche l’altra giovane figlia di Eddard e Catelyn, Sansa Stark, rimasta suo malgrado prigioniera dei Lannister, sarà costretta ad abbandonare progressivamente la propria infantile visione del mondo, rinunciando a tutti i sogni dorati della fanciullezza a favore di una nuova e radicale presa di coscienza.

A differenza di sua sorella Arya, fin dal principio Sansa ha rappresentato per il lettore la quintessenza della perfetta femminilità medievale, appassionata di ricamo e di antiche ballate, sottomessa agli obblighi del proprio status e devota a un ideale di cavalleria inesistente. E’ così che, nel momento in cui le viene prospettata la possibilità di sposare l’erede al trono e diventare un giorno regina dei Sette Regni, ella non esita ad aggrapparsi con le unghie e con i denti a questo sogno, al punto da arrivare a mentire alla propria famiglia e ad ignorare deliberatamente i primi segnali d’allarme riguardo l’intrinseca crudeltà di Joffrey. Ciò che Sansa ha sempre e solo voluto, in fondo, è di essere una brava e nobile lady, obbediente e ben pettinata, in grado di stare al proprio posto e di soddisfare le aspettative a cui la società l’ha indirizzata. Il destino che le verrà riservato, tuttavia, sarà ben diverso dall’incantevole fiaba da lei immaginata, e si rivelerà crudele al punto da condurla a riconsiderare totalmente la propria ingenua visione della vita.

In poco meno di cento pagine, dunque, vedremo Arya Stark discendere dalle altezze della nobiltà alla depravazione di un ragazzo orfano e senza casa, costretto a mentire riguardo alla propria identità e a catturare piccioni per le strade della capitale pur di nutrirsi; allo stesso modo, Sansa, da promessa sposa di un futuro Re, si ritroverà vessata e prigioniera, abbandonata da tutti e costretta ad assecondare qualunque crudeltà pur di aver salva la vita. Dall’altra parte del reame, tuttavia, anche il loro fratello maggiore, Robb, verrà condotto dalle circostanze ad affrontare un radicale cambiamento: da giovane ribelle deciso a vendicare la morte del proprio padre, infatti, egli si ritroverà ad essere acclamato nuovo Re del Nord, chiamato in quanto tale a combattere non solo in nome della propria famiglia ma per riconquistare l’indipendenza e la libertà di un intero popolo.
Da questo punto di vista, la scelta del “Grande” Jon Umber di proclamare l’erede degli Stark nuovo sovrano rappresenta molto più di un semplice capriccio: in pochissimo tempo, infatti, Robb aveva dimostrato non solo di poter sconfiggere l’esercito più potente e ben finanziato dei Sette Regni, ma di poterlo fare attraverso la pianificazione strategica e il genio tattico. Grazie alla sua audace iniziativa militare, infatti, Robb Stark era stato capace di ridurre Jamie Lannister in catene, dimostrando al tempo stesso una capacità di leadership ineguagliata in tutti i Sette Regni. E’ così che l’acclamazione spontanea che giunge a proclamarlo Re del Nord arriva a rappresentare qualcosa di molto più profondo del semplice riconoscimento di una vittoria, assurgendo a diretta affermazione dell’orgoglio e della libertà di un popolo, determinato a rivendicare la propria indipendenza dai vizi e dalla corruzione del Sud.

E’ dunque lecito affermare come, a partire delle ultime pagine de `Il Trono di Spade`, ciò a cui il lettore è chiamato ad assistere sia davvero l’inizio delle “Cronache del ghiaccio e del fuoco”. Con il reame insanguinato dalla guerra e il Nord determinato a ottenere una nuova indipendenza, anche i Guardiani della Notte si apprestano a compiere un’impresa epocale: il vecchio lord Comandante , Jeor Mormont, ha infatti deciso di condurre Jon Snow e gli altri uomini del Castello Nero dall’altra parte della Barriera, in un’ultima grande missione al fine di scoprire i segreti celati nel cuore delle lande ghiacciate. Allo stesso tempo, al di là del Mare Stretto, una principessa dai capelli d’argento è sul punto di rinascere dalle proprie ceneri: il battesimo del fuoco che ella si ritroverà a compiere, infatti, la trasformerà nella Madre dei Draghi, la “non-bruciata”, nata dalla tempesta e protettrice di tutti gli uomini, a partire da coloro che ella libererà, dai guerrieri che decideranno di servirla e dal popolo che le chiederà udienza.

Superficialmente, Daenerys è l’unica legittima erede del Trono di Spade, oltre che l’ultima sopravvissuta della famiglia Targaryen, discendente degli antichi popoli di Valyria. Eppure, ella è anche la Khaleesi del Grande Mare d’Erba, vedova del valoroso khal Drogo, determinata dopo la sua morte ad arrogare per sé il diritto di condurre il suo khalasaar. Daenerys, tuttavia, prima di chiamare a sé il potere del suo defunto sposo, decide di compiere un’impresa ancor più rivoluzionaria, liberando tutti gli schiavi del suo seguito e dando loro possibilità di scelta: andarsene o restare, cercare fortuna altrove o rimanere in qualità di fratelli e sorelle. Da questo punto di vista, dunque, la giovane principessa è non solo la prima donna a rivendicare per sé il titolo di Khal, ma anche l’unica a fare dei dothraki un popolo di uomini liberi.
A questo punto è piuttosto facile comprendere come, nell’universo fantasy creato da George R.R. Martin, le armi più potenti non siano tanto quelle generate dal ghiaccio e dal fuoco, dagli incantesimi o dalle grandi armate, e neppure dai draghi o dalle ombre bianche, quanto quelle coltivate e nutrite assiduamente dai più deboli e dagli emarginati della società. Nel caso di Daenerys, in particolare, non sono tanto le spade dei suoi guerrieri a farle da scudo, quanto l’affermazione audace della propria identità. E’ così che, nell’emancipare ogni schiavo del proprio khalasaar, ella arriva a dimostrare la dedizione e la giustizia a cui ogni sovrano è chiamato ad aderire; nel camminare fra le fiamme della pira funebre del marito, il coraggio che solo la consapevolezza di essere nel giusto può dare; e, infine, nel resistere alla potenza distruttiva del fuoco, la forza che qualunque re desidererebbe rivendicare come propria.
«Io sono la figlia del drago» è ciò che più volte abbiamo sentito Daenerys affermare. Eppure, l’ultima immagine che abbiamo di lei di fatto contraddice questa asserzione. Quando il sole sorge sulle ceneri, infatti, ciò che alla tiene in braccio sono sì tre draghi nati dal fuoco, che tuttavia si aggrappano a lei non come a una figlia, ma piuttosto come a una madre.

All’inizio del racconto di Martin, Daenerys era senza dubbio il personaggio più vulnerabile: una ragazza debole, impotente, nuda di fronte alla crudeltà del destino. Alla fine de `Il Trono di Spade`, invece, la vediamo rinascere come vera erede di Casa Targaryen, portatrice tutti i poteri e i privilegi della propria antica e nobile famiglia. Ma non solo. Daenerys, infatti, arriva a rinascere anche nelle vesti di supremo Khal, di Stallone-che-cavalca-il-mondo, più grande ancora di quanto suo marito Drogo sia mai riuscito ad essere. Ma, soprattutto, Daenerys rinasce come figlia, madre e sangue di draghi, origine di morte e di vita, esempio primordiale di coraggio, di forza e di libertà femminili. In verità, non è stato solo il fuoco a renderla più forte, così come non sono stati solo i draghi a darle coraggio. La sua forza, infatti, proviene dell’umanità stessa, mentre il suo coraggio appartiene all’eroismo di ogni epoca, quella virtù capace di manifestarsi quando ogni logica e ogni senso comune richiederebbero al contrario l’acquiescenza. Daenerys, in breve, rinasce come la più forte perché è stata prima di tutto la più debole, mentre ora ella è libertà, potenza, altruismo, la prima vera voce a cantare quell’armonia di lussuria, sangue e vita che è la canzone del ghiaccio e del fuoco.
FINALMENTE *-*