StreetParade #2 • `Love will tear us apart` dei Joy Division
Magro, pallido, quasi trasparente, talmente diafano da sembrare che, se si fosse tagliato, pure il suo sangue sarebbe stato di colore bianco. Due occhi azzurri e cristallini come il cielo, i capelli scuri, corti, appiccicati alla fronte dal sudore e una camicia a mezze maniche, semplice, ma capace di farlo sembrare ancora più sofferente e fragile. Ian Curtis canta attaccato al microfono, in un locale polveroso di periferia, illuminato solo dagli scorci di luce di un riflettore, con qualche spettatore che lo guarda estatico, immerso in un’ambientazione quasi da film impressionista. Canta piano, Ian Curtis, come se sussurrasse.

Quando Ian Curtis canta, lo fa a voce bassa, aggrappato al microfono, quasi come se quella fosse la sua unica ancora di salvezza, gli occhi ora chiusi e ora aperti a contemplare qualcosa di molto lontano dalla realtà, ma che lo rende indicibilmente triste. Quando canta, Ian Curtis è immobile, come se fosse rapito dalla sua stessa voce, oppure si muove a scatti, frenetico, come tarantolato, in una danza particolare, inventata da lui stesso, che simula un attacco epilettico. Infatti, ogni tanto, capita che Ian abbia un attacco davvero e finisca il suo spettacolo cadendo sul palco e perdendosi nell’oblio. Ian Curtis soffre di una particolare forma di epilessia, quella fotosensibile, che lo rende particolarmente esposto agli stimoli visivi, in particolare alle luci forti e intermittenti. Cerca quindi di evitarle, vivendo il più possibile nell’ombra, imprigionato nell’oscurità, caratteristica che lo accompagnerà per tutta la vita, non solo dal punto di vista fisico, ma anche spirituale.
Il nome dei Joy Division, il gruppo di cui fa parte Ian Curtis, è un paradosso in forma letterale, una contraddizione, in linea con la musica intimista e crepuscolare che quei giovani ragazzi suonano sul palco. Il termine “Joy Division” viene da un libro, il cui autore si nasconde sotto lo pseudonimo di Ka-tzetnik 135633, probabilmente il nome con cui venne deportato in un campo di sterminio nazista. Il libro ha il titolo di “The House of Dolls”, la Casa delle Bambole, e la Joy Division di cui parla non era altro che un gruppo di detenute ebree in un lager che venivano sfruttate come schiave sessuali. Ian Curtis aveva letto quel libro e ne era rimasto particolarmente impressionato e quindi aveva voluto rendergli omaggio, scegliendo di chiamare la sua band come “la Divisione della Gioia”.

Ian Curtis amava molto leggere. Durante l’adolescenza aveva amato Conrad, Ballard, Burroughs e soprattutto i poeti decadenti francesi, infatti lui stesso voleva diventare un poeta. Ma non voleva solo scrivere, anche se lo faceva da quando aveva 11 anni: Ian Curtis pensava che le parole non dovessero stare solo sulla carta, scritte, mute, ma che fossero in grado di diventare qualcosa di più, che potessero trasformarsi in musica. Quella era un’epoca, infatti, in cui la musica era qualcosa di fondamentale e addirittura di vitale: era la fine degli anni ’70 e il mondo era ancora infiammato dallo spontaneismo e dal furore della musica punk.
Ian Curtis incontra tre amici con cui decide di mettere insieme un band, subito dopo aver assistito a un concerto dei Sex Pistols, che li folgorò: una musica arrabbiata, in cui non c’era bisogno di niente, di nessuna tecnica e di nessuna retorica, solo energia e passione allo stato puro. All’inizio Ian e i suoi amici decidono di chiamare la loro band Warsaw, ovvero Varsavia, per le suggestioni che quella oscura città oltre la cortina di ferro è in grado di regalargli. Ma così già si chiama un’altra band punk, quindi sono costretti a cambiare nome e diventano, finalmente, i Joy Division.
I Joy Division avevano qualcosa di diverso rispetto a tutte le altre band dell’epoca: non c’era solo la rabbia, la violenza o l’ironia del punk, ma tutta la loro musica si spostava in una dimensione più segreta e rarefatta, riflessiva e decadente. Con i Joy Division inizia quello che verrà successivamente definito come post-punk, che darà poi origine alle celeberrime correnti della new wave e della dark music.

E proprio Ian Curtis, che voleva fare il poeta, si impegna a scrivere i testi delle canzoni dei Joy Division, fatte di frasi ermetiche, multidimensionali, ricche di immagini e di suggestioni. Le sue parole parlano di disagio, di alienazione e di follia, e la sua musica è elettrica, arrabbiata, a tratti disperata, a metà fra il noir e la fantascienza, coniugata con un immancabile minimalismo intimista. I Joy Division portano un segno profondo della personalità sui generis del loro leader, cresciuto all’ombra e nella venerazione degli eroi tragici del rock, come Jim Morrison e Janis Joplin.
Dentro Ian Curtis è come se convivessero due personalità opposte. Da una parte c’è la sua dimensione quotidiana, in cui Ian parla in maniera chiara e educata, dimostrandosi dotato di un’innata gentilezza. Dall’altra parte, quando qualcuno gli dà in mano un microfono, Ian Curtis si anima di una nuova e misteriosa energia, come se venisse posseduto da una forza oscura che, inevitabilmente, lo fa splendere e contemporaneamente lo manda in pezzi, lo strazia. Pare quasi che lotti contro due verità, la sua e quella vista dagli occhi degli altri, che sembra non abbiano cuore. E’ l’atavica lotta fra mente e coscienza umana, che non ha vincitori, ma che continua fino a quando le cose si spingono troppo avanti, finché non si possono più riparare e sfuggono di mano.

Nel 1980 esce il singolo che iscriverà i Joy Division nella storia del rock, ovvero ‘Love will tear us apart’, un’unione perfetta e struggente fra chitarre punk e synth new wave, con l’inconfondibile timbro baritonale di Ian Curtis e i suoi testi macabri e strazianti.
‘Love will tear us apart’ è probabilmente una delle più oneste e dolorose canzoni d’amore mai scritte.
C’è una sorta di ironia indefinita all’interno del brano, uno strano senso di condanna, nonostante si parli di un amore, della sua fine e delle estreme conseguenze che questo comporta. “L’amore ci farà a pezzi” sussurra Ian Curtis, narrando la storia di due anime, ancora innamorate, ma che stanno prendendo due strade diverse, dormono ai lati opposti del letto in una camera gelida e sono troppo consapevoli delle reciproche mancanze. Eppure c’è ancora una parvenza d’attrazione, che porta l’uno e l’altra a stare ancora insieme, nonostante siano condannati a essere infelici, a sbranarsi a vicenda. Risentimenti, recriminazioni, bugie e quel gusto metallico in bocca, come prima di una crisi epilettica, il sapore della disperazione che non si può e non si vuole controllare, ma che inevitabilmente consuma.

Estremamente autobiografica, ‘Love will tear us apart’ è la cronaca della parabola discendente del matrimonio fra Ian Curtis e il suo primo amore, la moglie Deborah Woodruff. Ian Curtis mette in musica la propria depressione, la lotta con la sua malattia e anche la consapevolezza che il proprio matrimonio sta fallendo. ‘Love will tear us apart’ è l’ultimo estremo tentativo di far funzionare un ingranaggio ormai arrugginito, spezzato, per poi arrivare al termine, alla consapevolezza che l’amore finirà per dividerli, ancora una volta.
L’ultima occasione in cui Ian Curtis viene visto e ascoltato dai fans dei Joy Division è il 2 Maggio del 1980, per un concerto tenuto all’Università di Brixton. Ian e la sua band suonano brani del loro ultimo album, ironicamente chiamato ‘Closer’, e l’ultima canzone che Ian canta è ‘Digital’. Quella è l’ultima volta che qualcuno avrà il privilegio di sentire la voce bassa e melanconica di Ian Curtis dal vivo.

E’ il 18 Maggio 1980, circa due settimane dopo il concerto di Brixton. E’ una tiepida domenica mattina e la casa di Ian Curtis a Macclesfield, è silenziosa. L’unico suono che si percepisce, tendendo l’orecchio, è un fruscio continuo, interminabile, un rumore che qualsiasi amante delle musica, in quegli anni, riconoscerebbe: è quello di un vinile, un LP, che vortica insistentemente sul piatto del giradischi, sotto la puntina. Il disco in particolare è ‘The Idiot’ di Iggy Pop ed è finito, ma nonostante questo continua a girare senza fine, perché nessuno l’ha tolto dal piatto. Avrebbe dovuto farlo Ian Curtis, ma ora non può più, perché mentre ‘The Idiot’ girava e Iggy Pop cantava, Ian Curtis ha preso una corda, se l’è legata attorno al collo, si è appeso all’attaccapanni della cucina e si è tolto la vita. Aveva solo 23 anni.
Perché Ian Curtis è morto, perché si è ucciso? Le ipotesi sono tante. C’è chi dice che l’epilessia, per cui non aveva mai voluto farsi curare, stava degenerando, diventando una schiavitù a cui un’anima come quella di Ian Curtis non era più disposta a sottostare. Altri dicono che Ian era depresso ed era depresso perché aveva una sensibilità fuori dal comune, una caratteristica che l’aveva portato a bruciare troppo in fretta. Ian Curtis aveva vissuto a velocità doppia e, come un fuoco dirompente, aveva finito per spegnersi prima del tempo: si era sposato ancora adolescente, a 19 anni, aveva avuto un figlio subito, era diventato un’icona per un certo tipo di cultura e poi era morto, poco dopo aver passato i vent’anni. Possiamo dire che, semplicemente, la vita non gli aveva risparmiato nulla, la passione lo aveva consumato e l’amore… Beh, l’amore lo aveva fatto a pezzi. Di nuovo, ancora una maledetta volta.
una delle mie canzoni preferite in assoluto
Idem. (:
Peccato che sia così vera e così crudele che faccio veramente fatica ad ascoltarla spesso!
si, bisogna essere del mood giusto, non sempre facile da trovare! :)