FableHaven #1 • `Biancaneve` dei Fratelli Grimm
«Se tu potessi persuadere qualche editore a pubblicare i racconti per bambini che noi abbiamo raccolto, ti prego di farlo; noi siamo disposti a rinunciare a qualsiasi retribuzione».
Era il 6 Maggio del 1812 quando Jacob Grimm prese la penna in mano e scrisse, anche a nome del fratello Wilhelm, queste parole a L. Von Arnim. Come avrebbero successivamente specificato, a Jacob e a Wilhelm Grimm nulla importava della qualità dell’edizione: la carta poteva essere sottile, la stampa di scarsa qualità, bastava unicamente pubblicare e distribuire, far circolare la propria opera per tutta la Germania. Diffondere un’idea, incoraggiare altri a intraprendere una strada analoga, questo era il loro obiettivo, l’imperante desiderio che li aveva portati a intraprendere quel lungo ed estenuante lavoro di raccolta e revisione.

Jacob e Wilhelm Grimm, più noti semplicemente come I Fratelli Grimm, nacquero ad un solo anno di differenza l’uno dall’altro, rispettivamente nel 1785 e nel 1786, ad Hanau, un piccolo paesino vicino a Francoforte. Di temperamento rigido e austero il primo e di indole più mansueta il secondo, vissero l’uno per l’altro, completandosi a vicenda e dando vita a quella che tutt’ora è considerata una delle raccolte favolistiche più prolifica e creativa della letteratura di tutti i tempi.

L’idea di raccogliere e di rielaborare fiabe della tradizione tedesca e francese fu di Jacob Grimm, professore di lettere e bibliotecario, che trovò in un misterioso autore ugonotto la fonte principale della propria opera. Al contrario di quanto oggi si possa pensare, le fiabe dei Fratelli Grimm, inizialmente, non furono affatto concepite per i bambini; un’ambientazione oscura e tenebrosa, tetre foreste popolate da lupi, streghe, goblin e troll, protagonisti di feroci fatti di sangue e di agghiaccianti delitti, divennero gli ingredienti principali della loro opera, il marchio che inconfondibilmente portava il nome Grimm. L’unico atto di epurazione che, pare, fu messo in atto, fu quello riguardo a contenuti sessualmente espliciti, piuttosto comuni nelle fiabe della tradizione e ampiamente alleggeriti e ridimensionati nella narrazione dei due fratelli tedeschi.
Conservando uno spirito ancora sensibile al fantastico, all’immaginifico e all’incredibile, Jacob e Wilhelm Grimm educarono il fanciullo a non perdere mai la speranza nella giustizia, nella bontà umana, nel Bene che vince sempre il Male, e agli adulti a riconoscersi nella parte bambina che può aiutare a digerire meglio le avversità del quotidiano, coltivando quel qualcosa di magico e di incantevole la vita può ogni giorno ancora regalare.
Fra le tante e celeberrime fiabe che ancora oggi associamo al nome Grimm, una delle più conosciute è senza dubbio quella di Biancaneve, il meraviglioso racconto di cui oggi vi voglio parlare.
♦BIANCANEVE VISTA DAGLI OCCHI DEI GRIMM♦
C’era una volta una regina di infinita bellezza, intenta a cucire vicino ad una foresta coperta di neve. La regina, per colpa della distrazione di un attimo, si punse un dito e una goccia di sangue cadde sul candido manto ai suoi piedi: fu in quel momento che ella espresse il desiderio di avere una figlia che diventasse la più bella fra le belle, con i capelli neri come la notte, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue sgorgato dal suo dito. Poco tempo dopo nacque Biancaneve.

L’incipit di quella che, forse, è la più celebre fiaba di tutti i tempi, è universalmente conosciuto, tanto da diventare quasi un aforisma. La bellezza sovrannaturale di Biancaneve, che porterà la propria matrigna ad una folle gelosia, è di proverbiale a memoria, sublime al punto da commuovere perfino lo spietato cacciatore mandato ad ucciderla. La Regina Grimilde, dopo aver ricevuto dal cacciatore il fegato e i polmoni di un cinghiale, convinta che fossero quelli della figliastra, li divorerà con voluttuoso piacere. Nel frattempo, Biancaneve, perdutasi nel bosco, troverà l’ospitalità di sette nani minatori, che la accoglieranno nella loro casa in cambio della sua assistenza. Come sempre, però, il Male sarà in agguato dietro l’angolo; la Regina, grazie allo specchio delle brame, scoprirà che Biancaneve è ancora viva e, travestendosi da vecchia venditrice, tenterà di ucciderla per ben tre volte, prima stringendole una cintura in vita fino a toglierle il respiro, poi con un pettine avvelenato e infine con la celeberrima mela.

Solo l’intervento di un principe, che si innamorerà della sublime fanciulla rinchiusa in una bara di cristallo, risolverà la situazione: un suo servitore, infatti, mandato a trasportare la bara al castello, inciamperà in una radice e, facendo cadere il suo fardello, farà sputare a Biancaneve il boccone di mela avvelenata, rompendo così l’incantesimo che la costringeva in uno stato di morte apparente. Un risveglio decisamente meno romantico rispetto al proverbiale bacio di vero amore e anche il “lieto” fine non sarà da meno, in quanto potremmo assistere all’orrenda fine della malvagia matrigna, costretta, come punizione per la propria crudeltà, a ballare in un paio di scarpe di ferro rovente fino al sopraggiungere della morte.

La fiaba di Biancaneve, al contrario di quanto si possa pensare, non fu unicamente frutto della fantasia dei Fratelli Grimm, ma, come molte altre narrazioni all’interno della raccolta, affonda le proprie radici nella storia e nelle leggende del folklore tedesco. Pare, infatti, che il personaggio che ispirò la figura di Biancaneve visse davvero in Germania, nel Cinquecento: era una giovane contessa dalla bellezza leggendaria, che rispondeva al nome di Margarethe Von Waldeck. Nelle terre della sua famiglia i bambini venivano impiegati come lavoratori nelle miniere, a causa delle loro piccole dimensioni e della loro agilità nell’infilarsi nelle strette gallerie sotterranee: ritardati nello sviluppo dalla fatica, rachitici a causa di un’infanzia vissuta nelle tenebre delle profondità della terra, avvolti in goffi indumenti da lavoro, sembravano davvero dei nani, come i sette piccoli protagonisti della fiaba dei Grimm.

Uno storico tedesco, Eckhard Sander, compì un lavoro di ricerca durato per ben tre anni, per poi pubblicare le sue teorie nel libro ‘Scheewittchen, Maerchen oden Wahrheit?’ (‘Biancaneve, fiaba o realtà?’). Fra un archivio da consultare e un pellegrinaggio nelle foreste incontaminate della Germania centrale, Sander scoprì il villaggio di Bad Wildungen, dove per lungo tempo aveva abitato e lavorato uno degli oscuri corrispondenti di cui i Grimm si avvalevano per raccogliere elementi di ispirazione per le loro fiabe. Proprio in quello sperduto paesino dell’Assia, un tempo i bambini lavoravano nelle miniere di bronzo tra le montagne e, per proteggersi dalla pietre nelle gallerie, indossavano cappucci molto simili a quelli dei sette nani. Le miniere di Bad Wildungen furono fondate nel 1561 dal conte Samuel von Waldeck, il quale aveva una bellissima ma infelice sorella, di nome Margarethe. Ella, nata nel 1533, perse la madre poco dopo la nascita e per questo fu affidata a una matrigna senza figli, di cui soffrì profondamente la convivenza. La leggenda narra ancora che a Bad Wildungen vivesse uno stregone capace di avvelenare i meli, tanto che chiunque osasse mangiarne i frutti veniva colpito da letali intossicazioni alla gola.
Non sappiamo se la bella Margarethe venne mai in contatto con i bimbi-minatori, ma Sander è stato in grado di scoprire meticolose descrizioni delle casette di questi che, come la capanna dei sette nani, sorgevano in mezzo ai boschi: erano abitazioni piccole, fatte su misura per i propri abitanti, costituite da un unico locale che serviva sia da sala da pranzo che da camera da letto e potevano accogliere un massimo di sette persone.

Mille leggende si alimentarono nel corso dei secoli sui bambini minatori dei boschi e sulla bella contessa Margarethe. L’ignoto collaboratore dei Grimm, inoltre, annotò la presunta fine dell’infelice fanciulla: ella fu l’amante del giovane Filippo II di Spagna e proprio questo amore le fu fatale; quella relazione non corrispondeva ai piani della casa regnante e la spietata polizia segreta del regno “su cui non tramontava mai il sole” avvelenò Margarethe, ponendo fine alla sua vita a soli ventun anni.
Non manca, inoltre, l’ipotesi di Sander sulla fine della perfida matrigna Grimilde uccisa, nella fiaba, da un paio di scarpe roventi. Nel Cinquecento, come è noto, abbondavano i processi sommari e i roghi di streghe erano altrettanto frequenti; secondo i documenti, una donna condannata per stregoneria fu bruciata nel circondario di Bad Wildungen nel 1532. Un’ulteriore coincidenza con la fiaba di Biancaneve o un legame diretto? Eckhard Sander non sa rispondere a questa domanda, ma pare evidente come i Grimm non sfruttassero solo la propria sublime fantasia, ma si servissero della propria penna per abbellire una realtà barbara e crudele. Non a caso, gli elementi magici e leggendari, uniti ad aspetti di violenza, crudeltà e incubo, costituiscono il vero segreto del successo di una fiaba ormai resa immortale.
♦L’ALLEGORIA NELLA FIABA DI BIANCANEVE♦
L’antica fiaba dei fratelli Grimm può essere analizzata anche da un punto di vista prettamente allegorico; simbologie, metafore e allegorie erano elementi tipici della letteratura folkloristica, volti ad arricchire la narrazione di un significato intrinseco ancora più intimo e profondo, di portata universale.

Partendo dalla descrizione di Biancaneve, i tre colori che proverbialmente costituiscono la sua bellezza possiedono un significato più recondito. Il bianco della pelle è il colore della purezza, la stessa tonalità della luna, l’irraggiungibile luna; il rosso è il colore della passione, dell’amore e, ovviamente, del sangue, mentre il nero dei capelli è la morte con cui Biancaneve spesso si imbatterà sotto forma di sonni improvvisi (si addormenta nel bosco, si addormenta quando viene pettinata, si addormenta quando assaggia la mela della matrigna); il nero, tuttavia, è associato in alcune versioni della fiaba anche all’ebano e come tale ne possiede le qualità: forza, durezza e resistenza.
Biancaneve fugge nel bosco: è lì che viene risparmiata dal cacciatore ed è sempre lì che dovrà continuare la sua vita, perché quella è la sua origine, la sua unica fonte di salvezza. L’arrivo di Biancaneve nel bosco e, successivamente, nella casa dei sette nani, dà atto a una trasformazione che può essere assimilata al risveglio della natura e alla nascita del tempo, rompendo la staticità della ristretta realtà quotidiana dei suoi piccoli ospiti.

I nani sono 7 che, insieme al 3, è uno dei simboli sacri più diffusi nelle mitologie e nelle religioni di tutti i tempi e, non a caso, anche il numero degli astri conosciuti dai popoli dell’antichità.
I 7 nani della versione animata vennero personalizzati, dando loro nomi e caratteristiche che li distinguevano perfettamente l’uno dall’altro: Walt Disney, infatti, da buon studioso di esoterismo, associò il temperamento di ognuno di loro con le influenze di altrettanti pianeti. Il primo della serie è Dotto (Doc) legato alla vanità e alla saggezza del Sole; poi viene Brontolo (Grumphy), associato alla ritrosia e alla diffidenza di Saturno; ancora, Mammolo (Bashful) è simbolo della pudicizia e della timidezza di Venere; Eolo (Sneezy), custode dei venti, è identificato con l’irruenza di Marte; Pisolo (Sleepy), appartiene al mondo onirico della Luna, mentre Gongolo (Happy) è la giovialità di Giove; infine, Cucciolo (Dopey), piccolo e giovane, rappresenta la duttilità di Mercurio.

Fortemente legati alla Natura, i nani vivono nel sottosuolo e sono abili minatori in grado di trasformare i metalli in oro, diamanti e oggetti preziosi. Se Biancaneve vive sopra la terra, dove si addormenta e permette alla Natura di risvegliarsi e di rinascere a nuova esistenza, i nani agiscono all’interno della terra, dove vi è la vita sommersa che esploderà in superficie con l’arrivo della Primavera, ossia Biancaneve.
Quando Biancaneve sembrerà ormai morta, i nani decideranno di conservarla in una bara di cristallo, in quanto la nera terra non è degna di accogliere il candore lunare del suo volto e il rosso solare delle sue guance. Solo l’arrivo del principe, simbolo dell’unione degli opposti (yin e yang, maschile e femminile, positivo e negativo) porterà al risveglio di Biancaneve e con esso alla vittoria della vita e del Bene.

La Matrigna, dal canto suo, non è altro che la Matrix, l’illusione, il simbolo delle forze oscure che si oppongono all’ordine di esistenza dell’Universo. La Matrigna precipiterà la tanto odiata figliastra nel torpore del sonno, ovvero in uno strato di non conoscenza, nel mondo dell’apparenza; tuttavia, quando Biancaneve riprenderà i sensi, destata dal richiamo della coscienza, sarà in grado di vincere qualsiasi forza malvagia a lei opposta e di trasformare il microcosmo che la circonda in una dimensione prodigiosa.
Credits:
• TITLE IMAGE: ‘Snow White’ by Kazeki©
http://kazeki.deviantart.com/
• IMAGE 3: ‘Snow White loses her way in the forest’ by Franz Jüttner©
• IMAGE 4: ‘The Prince and Snow White’s awakening’ by Franz Jüttner©
• IMAGE 5: ‘White Like Snow’ by Sybile Art©
http://www.sybile.net/art/
• IMAGE 6: ‘Snow White’ by Desiree Delgado©
http://desireedelgado.blogspot.it/
• IMAGE 7: ‘Schneewittchen.’ by belialchan©
http://belialchan.deviantart.com/
• IMAGE 8: ‘Snow White’ by Maevachan©
http://maevachan.deviantart.com/
• IMAGE 9: ‘The seven dwarfs find Snow White asleep’ by Franz Jüttner©
• IMAGE 10: ‘Snow White’s Fall’ by Zindy S. D. Nielsen©
http://zindy-zone.dk/
• IMAGE 11: ‘Olivia Wilde as the Evil Queen & Alec Baldwin as the Spirit of the Magic Mirror’ by Annie Leibovitz©
• HEADER IMAGE: ‘Rachel Weisz as Snow White’ by Annie Leibovitz©