BAUaffair #1 • `Sussidiario Illustrato della Giovinezza`

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La parola “pop” è uno di quei termini in grado di assumere le accezioni più diverse; c’è chi fa del “pop” la sua religione, il suo stile di vita, ed altri che, al contrario, lo dispregiano o addirittura lo temono. Per una strana convenzione, infatti, da qualche decennio a questa parte, il “pop” sembra essere diventato il sinonimo di deriva, la tomba della musica, quella in cui finiscono per essere sepolti tutti quei musicisti che decidono di vendere la propria anima, abbandonando chitarre elettriche e attitudine alternative in nome del Dio Denaro.

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Tuttavia, a pensarci bene, il vero Pop non è questo. Il Pop che si rispetti è quello in grado di coniugare buon gusto a innovazione, quello che pone come propri pilastri la centralità del testo e della voce, senza nascondersi dietro distorsioni o noise fini a se stessi; la vera pop music, in breve, rappresenta la più efficace sintesi fra intelligenza, immediatezza e sonorità in grado di convogliare più generi in un’unica opera, capace pertanto di essere originale e, al contempo, di scrollarsi di dosso schemi preimpostati o etichette mortificanti.

Senza dubbio, è a questa ultima scuola quella a cui `Sussidiario Illustrato della Giovinezza` si trova ad appartenere, elevandosi come una delle più stupefacenti opere prime nell’ambito del pop-rock italiano degli ultimi anni. I suoi padrini sono i Baustelle – al secolo Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini – una delle più fertili e durature realtà della scena indie del Bel Paese, un gruppo capace di coniugare nel proprio immaginario atipicità, varietà stilistica, produzioni raffinate e  liriche di altissima qualità. `Sussidiario Illustrato della Giovinezza`, debuttato ormai nel lontano 2000, contiene in sé tutti questi elementi, assumendo così i caratteri di un’opera di estremo pregio, capace di essere al contempo ruvida e vellutata, mortalmente seria e goliardicamente ironica, raffinata, accattivante, poliedrica ed emozionante.

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I dischi come il `Sussidiario` sono circondati da una sorta di aura magica, uno strano incantesimo che li rende capaci di connettersi immediatamente con un certo tipo di poetica o di immaginario; sono album che puoi ascoltare per ore, senza stancarti mai, trovando sempre interpretazioni alternative o nuovi spunti di riflessione, oppure che puoi lasciare su una mensola, a impolverarsi, tuttavia consapevole che arriverà il giorno in cui ritorneranno a suonare e saranno in grado di folgorarti di nuovo, per l’ennesima volta.

`Sussidiario Illustrato della Giovinezza` ammalia perché è autentico, genuino e sottilmente perverso. Come da titolo, è l’adolescenza il tema portante di tutto il disco, tanto da essere declinata in tutte le sue possibili accezioni, in particolare quelle amorose, che spaziano dai piccoli problemi di cuore delle ragazzine ai sogni infranti di chi è cresciuto troppo in fretta o alla violenza di amori folli e malati. I Baustelle sono in grado di descrivere tutto questo in un pugno di tracce, condendo il tutto con citazioni cinematografiche e musicali, esaltando il loro amore per Fellini, Morricone e Pietrangeli, e il culto per una Dolce Vita immersa in un’atmosfera da fumetto noir anni ‘60.

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E’ il 1996 l’anno in cui, nel piccolo comune di Montepulciano di Siena, un gruppo di ragazzi decide di fondare una band; la questione del nome viene risolta in fretta, sfogliando un dizionario di tedesco-italiano, che li consacra come “Baustelle”, letteralmente “lavori in corso”, e pure quella di una presenza femminile, che si incarna nell’oscura ed elegante figura di una giovanissima Rachele. Fin dal principio della loro carriera, l’obiettivo dei Baustelle era focalizzato sulla produzione di pezzi inediti e non sull’interpretazione di cover – scelta privilegiata da molti gruppi agli esordi; tuttavia, mezzi, soldi e competenze mancano ancora a quello sparuto gruppo di liceali, per cui le prime demo vengono registrate in maniera totalmente primordiale e obbligatoriamente low-fi.

E’ così che, al secondo piano di una casa colonica in Val di Chiana, viene alla luce il primo Ep, `Baustelle`, che in realtà è una cassetta contenente quattro brani, ancora molto acerbi, ma che già rappresentano incredibilmente l’embrione di quello che quei ragazzi sarebbero stati in grado di produrre in futuro:  `I ragazzi venuti dallo spazio`, `Martina`, `Gomma`, `Il musichiere 999` e `Nouvelle Vague`.
La cassetta, registrata quasi per scherzo, inizia a girare per i supermercati e le fiere del centro-nord, ed è infatti proprio in un cesto del Salone della Musica di Torino che Paolo Bedini di Baracca e Burattini riesce a trovarla e a portarsela a casa. Il resto viene da sé: Bedini ascolta la neonata musica dei Baustelle, gli piace e decide di contattarli.

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Passano tre anni, è il 1999, e la collaborazione con Paolo Bedini si trasforma in un album autoprodotto, `Sussidiario Illustrato della Giovinezza`, supervisionato con amore e portato a battesimo dal produttore artistico Amerigo Verardi, che pulisce e raffina le tracce e registra addirittura qualche demo di chitarra. Il `Sussidiario` viene registrato per la prima volta a presa diretta in uno studio di Cascina, da cui vengono estrapolate le tracce di basso e batteria, destinate ad essere arricchite successivamente con il resto degli strumenti; i mezzi e la tecnica sono quelli che sono e anche i soldi, soprattutto per un gruppo così ambizioso da desiderare già un’orchestra ad archi al suo servizio, ma quell’insieme di  suoni rustici e polverosi, strumenti campionati e voci incerte produce un effetto finale straordinario.

E’ il 2000, il disco è pronto e le poche copie stampate vengono diffuse solo in Val di Chiana e dintorni; tuttavia, quell’opera prima, nonostante le difficoltà di produzione e l’inesperienza, è un gran bel lavoro, una cosa mai sentita prima di allora, che bisogna in qualsiasi modo diffondere; è così che, grazie allo straordinario potere del passaparola, i Baustelle arrivano a farsi conoscere dal grande pubblico.

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`Sussidiario Illustrato della Giovinezza` può essere definito come un album di ricordi, una piccola enciclopedia dell’immaginario adolescenziale degli anni ’80 e ’90, un susseguirsi di immagini fotografiche che ci proiettano direttamente all’interno di un’altra epoca. D’altronde, per capirlo, basta guardare la copertina che raffigura due innamorati stesi su un letto con gli occhi fissi dentro l’obbiettivo, lui con una pistola fra le mani puntata verso il pavimento, dove si accumulano una serie di dischi, fumetti, libri e altri oggetti simbolo del periodo.

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La realtà che il `Sussidiario` porta alla luce è un’epoca vintage nata e sviluppatasi in maniera sotterranea e oggi quasi dimenticata, ad eccezione di quei rari casi che vi guardano ancora con un’insanabile nostalgia. Anche il genere di musica proposto è quello di un mondo rimasto nascosto per molto tempo, celato quasi con vergogna da una certa Italia che considerava l’essere “indie” come un sinonimo dell’essere “rock”; tutto questo fino all’arrivo dei Baustelle, che riescono a ricordarci la grande tradizione della musica leggera italiana, dei jingle orecchiabili e quasi ipnotici, attraversati tuttavia da un insondabile riverbero di oscurità e di disagio giovanile.

Come già detto, il tema portante dell’album è l’adolescenza, che tuttavia non viene trattata nella maniera superficiale e mediocre ormai sempre più consueta, ma con un linguaggio del tutto nuovo, che poteva scaturire solo da qualcuno che quel tipo di adolescenza l’aveva vissuta per davvero e che era riuscito a cavarsela più o meno indenne. Infatti, le canzoni del `Sussidiario` sono impregnate di crudeltà e di poesia, della sfrontatezza e dell’ingenuità dei vent’anni, dall’indolenza e dalla malinconia della vita bohemiénne. La generazione presa in esame è quella di una provincia claustrofobica e priva di prospettive, di cui ne vengono descritte le sofferenze, i dolori, le paure, i sentimenti torbidi degli anni del liceo e l’ironia di una vita vissuta fra sesso e droga nel tentativo di riempire un insondabile vuoto interiore.

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Il linguaggio utilizzato è quello della poesia neo –decadente e il terreno musicale contiene tutti gli elementi che all’epoca erano riusciti ad affascinare quei giovani ragazzi di Montepulciano: la new wave, le colonne sonore cinematografiche alla Morricone, il rock e il pop britannici, il cantautorato italiano e le nuove sonorità elettroniche. Tutto questo viene mescolato in una decina di tracce che alternano poliedricità a semplicità quasi minimal, suoni freddi e metallici a voci che incedono profonde e suadenti, coronate infine da testi citazionisti, sfuggenti e ricchi di immagini evocative, talmente raffinati e autentici da devastarti dentro.

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La voce che ascoltiamo – oltre a una dimensione corale spesso utilizzata – è quella bassa e con accenti onirici e distaccati di Francesco Bianconi, spesso accompagnata o sostituita da quella più melodiosa e sensuale di Rachele Bastreghi, che già da questo primo disco si rivela un’interprete intensa e profondamente evocativa.

Il risultato sono ballate struggenti e psichedeliche come `La Canzone del Parco`, oppure duetti corrosivi e sincopati come `Gomma`, senza contare le cronache spietate e laceranti come quella de `La Canzone del Riformatorio`.  Ci sono gli accenti morbosi de `La Canzone dell’Appartamento` o quelli onirici e seducenti di `Cinecittà`, il pop amaro di `Martina` e il fascino oscuro di `Noi bambine non abbiamo scelta`.
Non eravamo indie, semplicemente eravamo diversi dichiarerà Francesco Bianconi, il “Modern Chansonnier” autore di tutti i testi delle canzoni e fondatore del gruppo; come dargli torto: in fondo, bisogna essere decisamente fuori dal coro per riuscire a scrivere, poco più che ventenne, un disco di questa portata.

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`Sussidiario Illustrato della Giovinezza` apre le danze con `Le vacanze dell’ottantatré` un ritorno alle atmosfere del pop elettronico e un chiaro omaggio alle prime emozioni erotiche pre-adolescenziali. La voce narrante, che ci descrive le vicende in una sorta di smemorato flusso di coscienza, è un ragazzino guardone, un anti-eroe, uno sfigato che ricorda le sue vacanze al mare con la colonia estiva attraverso una serie di flash visivi ed emozionali: la corriera che partiva, i genitori che salutavano, le radioline da spiaggia che trasmettevano musica pop, l’asma, ma, soprattutto, la “leggendaria” straniera del mare. Ispirato a una storia vera successa a un amico di Francesco Bianconi e costruito come un omaggio al romanzo `Rimini` di Pier Vittorio Tondelli, efficacissimo ritratto di un’epoca e di un ambiente, `Le vacanze dell’ottantatré` traghetta gli ascoltatori dagli accordi sospesi e sintetici di una tastierina giocattolo, attraverso un crescendo di batteria e chitarre, per poi trovare il suo glorioso (e geniale) finale nella simulata ripetizione di un disco inceppato.

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Lo sfogo ritmico e travolgente de `Le vacanze dell’ottantatré` arriva così direttamente a proiettarci sugli arpeggi di `Martina`, un angelo di mascara denso, “miele infinito per anima”, di cui, attraverso accordi taglienti come rasoiate, ne vengono raccontate le piccole catastrofi e i fugaci momenti di gloria. `Martina` è una ragazza che tutti possiamo conoscere, è quella che ride dietro le lenti scure degli occhiali da sole e che passa indistintamente dalla follia alla lucidità, inseguendo la propria disperata voglia di vivere; `Martina` non esiste, non è una persona reale, ma è una realtà che alberga confusamente nell’animo di ogni ragazza, più o meno nascosta, quella in grado di rendere una giovane donna illogica, ingenua, folle e selvaggia.

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Non tutte le canzoni dei Baustelle sono così immediate e facilmente analizzabili come quelle che costituiscono l’incipit dell’album; è così che, in terza posizione, i ragazzi di Montepulciano decidono di spiazzare l’ascoltatore inserendo `Sadik` che  su una dolce e ritmata melodia da “canzonetta”, sfregiata da graffianti accordi di chitarra elettrica, compone il quadro di una storia torbida e fortemente evocativa. La protagonista di `Sadik` è la “modernità sotterranea” che lentamente sta attraversando l’Italia fino a raggiungere il soffocante ambiente di provincia, dove il padre di Francesco Bianconi, ancora adolescente, vive la propria età fantasticando sul mondo dei moderni e dei grandi, che ai suoi giovani occhi appare avventuroso e misterioso come quello dei fumetti che tanto ama; non a caso `Sadik` è il titolo di un leggendario fumetto a sfondo erotico degli anni ’60-’70, nel quale la figura di un anti-eroe si arroga il diritto di giustiziare criminali e malfattori nella consapevolezza che, prima o poi, sarebbero stati destinati a finire sotto le grinfie dei boia.

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Tipica dei Baustelle è la volontà di sdoganare e di rendere omaggio a immaginari e generi musicali quasi dimenticati dalla memoria collettiva; lo fanno, infatti, con la musica leggera e il fumetto noir italiano allo stesso modo che con la nouvelle vogue di Jean-Pual Sartre, François Truffaut, Jean-Luc Godard e Simone de Beauvoir. Il brano `Noi bambine non abbiamo scelta` ha proprio questa funzione: una melodia eterea, densa come fumo d’oppio e dolceamara come il sapore d’assenzio,  in grado di far sprofondare l’ascoltatore in un’ovattata apatia, contemporaneamente seducendolo e solleticandone l’immaginazione. Interiorizzando la lezione di Gainsbourg e citando Verlaine, Francesco Bianconi si cala un travestimento doppio cantando una canzone d’amore dal punto di vista di una giovane donna, persa nella spietata adorazione di un uomo più grande di lei. In fondo, quale ragazza non si è mai sentita una “bambina senza scelta” avvinghiata ad un amore incondizionato e senza speranza?

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E’ a questo punto, esattamente a metà dell’album, che emerge uno dei tratti distintivi dei Baustelle, ovvero la capacità di imbastire duetti travolgenti e ammalianti, alternando la fredda e profonda voce di Francesco Bianconi a quella calda e suadente di Rachele Bastreghi. Ecco che imperano gli accordi di `Gomma`, una delle canzoni in assoluto più amate dei Baustelle, la più richiesta ai live e il pezzo chiave dell’intero disco. Bianconi rivela come il testo sia stato scritto in pochissimo tempo, di getto e come, quasi per effetto di qualche strana formula magica, sia stato perfettamente in grado di aderire a una base musicale scomposta, veloce e sincopata, fatta di periodi sconnessi e accenti drastici, in grado di riprodurre alla perfezione il caos emotivo dell’adolescenza. Ogni strofa di `Gomma` ha la potenza di un flash visivo e viene composta da versi appartenenti a una poesia estremamente cruda e contemporanea, disperata ma disillusa, e anche vagamente ironica. `Gomma` è una confessione che esplode come un conato, una rievocazione lucidissima e glaciale come un coltello che penetra nella carne sotto anestesia, un crepuscolo di reminiscenze di una gioventù che confida all’ascoltatore tutta la propria noia provinciale. A dominare il ritornello solo le “doglie”, un dolore lancinante e spasmodico, in grado di raggiungere soglie altissime, descritte con il colore “blu”, il preferito dai pittori astrattisti, fino a quando,  in un rimbombo da purissima new-wave, la canzone trova il suo culmine in un asettico “avrei bisogno di scopare con te”, una supplica semplice e diretta che tuttavia colpisce come un pugno nello stomaco.

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La successiva `Canzone del Parco` è un ulteriore passo che conduce nell’interiorità di una poesia metafisica e profondamente evocativa. Qui è solo la voce di Rachele a cantare che, vicina e lontana allo stesso tempo, conduce l’ascoltatore sulle note di un tango di corde pizzicate in un vortice di sensualità, dolcezza e disperazione. Rachele canta quasi singhiozzando, scandendo le sillabe in un crescendo potente e impetuoso che, partendo da suoni ibridi e sintetici, e cullata da un ipnotico giro di basso, arriva a raggiungere una vera e propria esplosione sonora, guidata da batteria, chitarra e dal controcanto di Francesco. Dopo la tensione a lungo trattenuta e l’impeto finale, la canzone ritorna al punto di partenza, componendo un cerchio di totale raffinatezza e perfezione stilistica. Altrettanto ammaliante è il testo, composto come la cronaca di due ragazzi che dopo la scuola si ritrovano ad amarsi stretti in un parco invernale, immersi in “nuvole di desideri” e sotto lo sguardo compassionevole di “rami stupidi”. `La Canzone del Parco` diventa così l’archetipo di tutti i brani composti successivamente dalla band in cui il protagonista trascende l’umana natura; in questo caso è il Parco che implora il tempo di scacciare via le proprie domande inutili, in una comunione di pietà, invidia e commiserazione per quegli “umani fragili”, i cui brevi attimi di passione arrivano a valere molto più che un “eterno vivere, che appare a quel punto quasi privo di significato. E’ la natura che, attraverso il Parco, riflette sulla fugacità della vita e, al contempo, sulla sua insondabile eternità.

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Con un contrasto quasi paradossale, a  `La Canzone del Parco ` arriva a contrapporsi  `La Canzone del Riformatorio `. Ispirata a  `I 400 colpi ` di Truffaut, `La Canzone del Riformatorio ` si compone come un delirio, come un’ossessione che spezza il cuore. Gioia, brutalità e dolore, si mescolano nel monologo che raccoglie le riflessioni postume di un ragazzo rinchiuso in riformatorio, in quanto qualche tempo prima, disturbato e in preda agli effetti di una dose di eroina tagliata male, si rese colpevole di un’aggressione ai danni della sua amata Virginia; non rendendosi conto dell’atto commesso, il protagonista continua a parlare alla ragazza in maniera dolce, spensierata e con un’elevata dose di deviata eccitazione: “Te lo giuro, le sogno la notte le tue grida; le tue cosce bianche stonano sopra le donnine pornografiche appese dagli altri custoditi qui con me”. Un brano in grado al contempo di suscitare sia meraviglia che terrore, l’incarnazione musicale del topos letterario che trasforma l’amore in violenza rabbiosa; eppure, il punto è proprio questo: sebbene colui che lo provi sia un folle e un disperato, è pur sempre amore ciò di cui si parla. Disperata, dolcissima e alienata, `La Canzone del Riformatorio` è in grado di stregare e di straziare, accarezzando e seducendo al contempo.

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Francesco Bianconi continua a inseguire la mitologia cinematografica componendo `Cinecittà`, una canzone alquanto inusuale, nata dal tentativo di emulare un pezzo di Jay Jay Johanson, nel corso del quale si svolge un’ideale interrogatorio fra un criminale e un commissario di polizia donna. Francesco Bianconi, volendo rendere omaggio al brano, immaginò un’altra possibile situazione nella quale si svolgesse un analogo dialogo, questa volta, però, fra un giovane aspirante attore appena giunto a Roma per un provino (di un film erotico, per inciso) e una produttrice cinematografica, interpretata dall’allora esordiente attrice Camilla Filippi. Il quadretto che si forma ha i toni immaginifici e goliardici tipici della commedia italiana e, al contempo, è in grado di generare un paradosso: solitamente, il fautore di una corruzione sessuale è un uomo ai danni di una giovane donna, qui, invece, accade esattamente il contrario! Francesco Bianconi lascia correre libera la propria innata vena citazionista componendo omaggi all’amato Morricone e al film `Io la conoscevo bene` di Nicola Pietrangeli.

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Altre fantasie cinematografiche si materializzano in `Io e te nell’appartamento`, nella quale sembra quasi di scorgere i fantasmi di una giovanissima Maria Schneider e di Marlon Brando nel leggendario `Ultimo tango a Parigi`. L’amore che viene descritto in questo brano è sporco, fradicio e clandestino, l’ultimo grido di un romanticismo agonizzante, che si riduce solo al “prendersi come cani”; eppure, c’è un’insita poesia in questa realtà, un tentativo disperato di provare qualcosa di autentico piuttosto che ritrovarsi a “morire di tanti anni uguali e neanche un attimo. Anche se oggi lo stesso Francesco Bianconi critica il pezzo, in quanto troppo immaturo e ingenuo per le sue corde, `Io e te nell’appartamento` ha sicuramente rappresentato un passaggio di importante crescita musicale per i Baustelle, soprattutto nella composizione di una metrica inedita e schizofrenica, alternante momenti veloci e quasi affannosi alla struggente liberazione del ritornello.

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Il `Sussidiario`, infine, si conclude con quella che forse è la canzone più visionaria dell’interno album, una dichiarazione d’amore nei confronti di un certo tipo di poetica e di elementi ispiratori. Concepita per scherzo sull’ultima strofa di `Cuccurucuccù` di Franco Battiato, `Il Musichiere 999` – già presente nel primordiale Ep `Baustelle` del 1996- fu inizialmente realizzata con toni da solenne marcia funebre, organo, voce e poco altro, fino all’intervento di Amerigo Verardi, che ebbe l’idea di dotarla di un’aura sonora vintage ispirata agli anni ’60. Anche qui le citazioni si sprecano: troviamo infatti omaggi che spaziano da `Marieke` di Jacques Brel a `Il vento` di Mogol e Battisti, da Serge Gainsbourg a Fabrizio De Andrè.

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A 10 anni dall’esordio del `Sussidiario`, i Baustelle del 2010, più adulti ma non meno talentuosi, guardano indietro alla propria storia e alla propria evoluzione, e decidono di rendere omaggio a quel gruppo di liceali che passava i pomeriggi a registrare cassette in Val di Chiana, ripubblicando il loro album d’esordio, ormai diventato introvabile. Ora i Baustelle sono rimasti in tre, dopo numerosi cambi nell’area ritmica della band, vincono numerosi premi e collezionano successi, ma restano comunque strettamente legati alle loro origini nelle tematiche e nei modi, continuando a nobilitare la musica pop come, così giovani, si erano prefissati di fare. Sensibilità, raffinatezza e leggerezza: i Baustelle hanno trovato la propria formula magica e non hanno nessuna intenzione di cambiarla; d’altronde, così pochi in Italia dimostrano di saperlo fare!

Per concludere, un aneddoto divertente: nel retro copertina originale del `Sussidiario Illustrato della Giovinezza`, chi ha la fortuna di possederlo, potrà leggervi una piccola scritta: “Baustelle è disponibile per colonne sonore su commissione”. L’invito, a quanto pare, è ancora valido, ma è bello sapere che i ragazzi di Montepulciano siano riusciti a metterlo in pratica, scrivendo e musicando la colonna sonora del film `Giulia non esce la sera` di Giuseppe Piccioni. Un piccolo ma fondamentale segno che, magari, in Italia, i sogni possono ancora riuscire ad avverarsi.
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*Il titolo di questa rubrica, BAUaffair, è liberamente ispirato alla Community omonima dedicata ai Baustelle. http://www.bauaffair.it/
** Tutte le illustrazioni sono ad opera di Alessandro Baronciani© 
http://alessandrobaronciani.blogspot.it/

Comments
4 Responses to “BAUaffair #1 • `Sussidiario Illustrato della Giovinezza`”
  1. Curi ha detto:

    è già passato un decennio…!
    molto molto ben scritto e si vede che ti fai (o hai già) una cultura di ciò che scrivi. sai il fatto tuo! ;)

    un saluto!
    curi

    • RigelGrace ha detto:

      Beh, ovviamente, quando decido di scrivere un articolo, l’oggetto in questione è un qualcosa che ho già visto/letto/ascoltato e che amo, quindi c’è una conoscenza già di partenza. Però cerco sempre di documentarmi e di leggere il più possibile a riguardo, in modo da costruire qualcosa che non sia una banale recensione “bello/brutto”, ma uno scritto che offra qualche conoscenza e sensazione aggiuntiva a chi legge (:

      Comunque, Curi, volevo ringraziarti perché, nonostante gli a volte decisamente prolungati tempi di pubblicazione, continui a seguirmi costantemente, a leggermi e a darmi le tue opinioni! Non sai quanto mi faccia piacere! Grazie di cuore (:

      • Curi ha detto:

        come avevo intuito, i tempi di scrittura sono dettati dal fatto che ti documenti bene e – sebbene io commento brevemente ma per mio modo di scrittura (basta pensare al mio blog XD) – fai venire voglia di rileggere o riascoltare cose che si conoscevano già, dandone un più ampio significato e contenuti più arricchiti. E’ sempre un piacere leggerti, ringrazio davvero te ;)

        • RigelGrace ha detto:

          Sì, insomma, il mio obiettivo è pubblicare circa un post alla settimana, ma non è sempre facile, soprattutto perché ci sono settimane molto impegnative in cui sono talmente stanca che trovo veramente pochi spazi da dedicare alla scrittura. Poi, appunto, mettici la documentazione, la parte grafica, scritture, revisioni e riscritture, e tutto si complica decisamente! Insomma, c’è un bel po’ di lavoro dietro ad ogni post e trovare persone che mi leggono costantemente, come fai tu, fa davvero molto piacere, soprattutto perché ho notato che questo genere di blog non è che sia molto… ehm… seguito; vuoi perché i post sono comunque lunghi da leggere e gli argomenti a volte un po’ di nicchia, alla fine le visite sono abbastanza, ma chi commenta… puoi vedere anche tu! :D Io, comunque, continuo ad andare avanti, anche perché ormai è diventata quasi un’esigenza personale scrivere e lasciare memoria di quello che mi capita di leggere, vedere o ascoltare. E’ un modo per non lasciare sfuggire pensieri e sensazioni, non so se mi spiego. (: Se poi diventa utile anche a qualcun altro… Beh, ancora meglio!

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