`Orgoglio e Pregiudizio` di Jane Austen • Senza Fiato
E’ verità universalmente conosciuta che rifiutare una proposta di matrimonio non è il modo migliore per iniziare una giornata. Eppure, a volte, può capitare di non poter fare altrimenti.

Fu a colazione che Jane informò gli amici sgomenti della sua scelta di respingere la mano del giovane Harris; subito dopo chiese una carrozza che la riportasse velocemente a casa sua, nella piccola e provinciale Bath: non si sarebbe trattenuta un minuto di più. Come è logico aspettarsi, i saluti delle amiche furono tutt’altro che cordiali, anzi, a dir poco gelidi, tristemente in contrasto con quelli che invece avevano accolto Jane al suo arrivo. Una situazione surreale, decisamente imbarazzante, degna della protagonista di un libro di Jane Austen; la cosa divertente, tuttavia, era che questa volta l’eroina in questione era proprio la scrittrice in persona!
Jane Austen aveva ormai ventisette anni e quella era probabilmente l’ultima proposta di matrimonio che le si sarebbe mai presentata: a rigor di logica, non poteva permettersi di non sposarsi. E, allora, perché la ritroviamo scappare da Manydown Park a tutta velocità, sopra una carrozza presa in prestito, fuggendo precipitosamente da amici e parenti?

Non si può certo dire che l’autrice di `Orgoglio e Pregiudizio` fosse particolarmente nota per le sue conquiste sentimentali e da diverso tempo, agli occhi del vicinato, sembrava che nulla potesse salvarla dal restare per tutto il resto della sua vita a carico della famiglia. Non che non fosse carina, anzi: testimoni dell’epoca affermarono come fosse una giovane bellezza e come non sfigurasse affatto nei salotti della Reggenza. Alta e snella, dal passo leggero e deciso, la sua sinuosa figura di brunetta esprimeva salute e vivacità da tutti i pori; possedeva una carnagione chiara e vividi occhi color nocciola, naso e bocca piccoli, e capelli castani che le incorniciavano il viso con scintillanti riccioli naturali. Una volta, per gioco, affermò come il suo vero nome fosse Diana: elegante, fredda e pungente come la Dea della Caccia, anche lei sembrava risplendere nella grazia di una soffusa luce lunare.

In un tempo non troppo lontano, a dire la verità, c’era stato un pretendente ricambiato: si trattava di Tom Lefroy, un giovane irlandese dalla giacca troppo chiara per la moda dell’epoca, che, probabilmente, una mattina del gennaio del 1796, si dichiarò a una Jane Austen appena ventunenne. D’altronde, come si poteva non amarla: la giovane Jane possedeva la felicità di un temperamento che sporadicamente chiedeva di essere controllato e un raro e acuto senso dell’umorismo che rendeva senza dubbio la sua conversazione – così come la sua scrittura – brillante e pungente, ricca di osservazioni spiritose e battute sagaci. Jane amava ridere e far ridere e, chiunque concorderà, non si può essere così divertenti senza risultare, talvolta, anche un poco maliziosi.
Jane si divertiva molto a chiacchierare con Tom, del quale adorava l’accento colorito e l’attitudine brillante; la coppia non solo conversava pubblicamente, ma anzi si vedeva spesso a casa di amici, si appartava e danzava quel tanto che bastava a insinuare un interesse più profondo che una semplice amicizia. Maliziosa, Jane scriveva, il 9 gennaio 1796, in una lettera alla sorella: «Ho quasi paura di dirti come ci siamo comportati il mio amico irlandese e io. Immaginati tutto quanto può esservi di più licenzioso e scioccante in una coppia che balla e sta seduta vicina!».

Nonostante il modo sarcastico e lievemente derisorio con cui Jane parlava di Tom Lefroy, era impossibile non intuire l’attrazione che la legava a lui. Tom, infatti, era ovunque: per mesi fu una presenza costante nei salotti e nelle camere da ballo, così come nelle lettere e nei pensieri della ragazza. Non c’è quindi da stupirsi nel considerare come, quando il ragazzo decise di tornare in Irlanda per dedicarsi allo studio di Legge, Jane si considerasse la sua legittima fidanzata, anche se non ancora dichiarata in maniera ufficiale.

Assorta nei suoi pensieri d’amore ma piena di energie, nel lasso di tempo in cui il ragazzo soggiornò in Irlanda, Jane si buttò a capofitto nel lavoro, terminando i suoi primi due romanzi, ovvero `Ragione e Sentimento` e `Orgoglio e Pregiudizio`; una ben strana occupazione per una giovane fanciulla in procinto di sposarsi!
All’epoca Jane era appena ventunenne e, come ci si può aspettare da una ragazza nel fiore della sua giovinezza, non attribuiva grande importanza alle questioni domestiche o alle preoccupazioni economiche. Era un concentrato d’energia, capace di vantare un’istruzione piuttosto superiore alla media dell’epoca, in grado di arricchire il suo arsenale di doti “tipicamente femminili” – come l’abilità nel disegno, nella danza e nella calligrafia – con peculiarità intellettive piuttosto insolite, su tutte una logica arguta e un’assoluta passione per la lettura e la scrittura.

La mattina presto, quando tutti erano ancora rinchiusi nelle loro stanze a dormire, la giovane Jane Austen si alzava e si dedicava ai suoi quotidiani esercizi al piano. Era solo dopo colazione, infatti, che la ragazza era pronta per iniziare a scrivere. Stava seduta presso una piccola scrivania di mogano, in una stanza di passaggio. Era molto attenta che la sua “inusuale” occupazione non fosse intuita dai domestici e dai visitatori curiosi, tantoché si abituò a scrivere i propri racconti su piccoli fogli che molto facilmente, al comparire di occhi eccessivamente indiscreti, potevano essere allontanati con velocità, nascosti in un cassetto, oppure ricoperti da un pezzo di carta assorbente. Tra l’ingresso e lo studio di Jane, c’era inoltre una porta a ventola che cigolava ogni volta che veniva aperta; la ragazza stessa si prodigò calorosamente affinché questo inconveniente non venisse sistemato, poiché costituiva per lei il più chiare segnale di arrivo per qualunque estraneo indesiderato.
Probabilmente, Jane avrebbe potuto avere «una stanza tutta per sé», ma fu lei stessa ad opporsi a una tale comodità. Desiderava comporre i suoi romanzi in quel luogo di passaggio, con la porta che scricchiolava e con la domestica indaffarata che andava e veniva, con le domande del nipote e le voci dei genitori nella stanza accanto: Jane, infatti, aveva bisogno di quelle distrazioni, di quel carosello di suoni e di odori, per non sentirsi mai e poi mai esclusa dall’autentico cuore dell’esistenza.

Jane Austen era, insomma, una ragazza eccentrica, brillante e sagace: è dunque logico pensare come furono proprio queste sue doti a impedirle di continuare a mentire a se stessa. I mesi, infatti, continuavano a susseguirsi veloci, senza sosta, e ben presto fu chiaro, alla giovane prima di chiunque altro, come quel ragazzo innamorato dalla giacca chiara, quel Tom Lefroy partito tanto tempo prima per l’Irlanda, lasciando dietro di sé unicamente un amore assurdo e vane promesse, in realtà, non sarebbe mai più ritornato.
Jane non capì mai perché Tom troncò improvvisamente ogni rapporto, tuttavia sospettò sempre che il motivo potesse essere rintracciato nelle modeste risorse economiche degli Austen. Dissuaso dalla famiglia a proseguire la sua storia con Jane, infatti, poco dopo il giovane Lefroy annunciò il fidanzamento con una donna decisamente molto più facoltosa; fu in quel momento, probabilmente, che qualcosa in Jane Austen si spezzò.

Nei romanzi della più popolare scrittrice preromantica, infatti, a discapito dei lieto fini e delle ambientazioni favolistiche, i lettori possono verificare come vi sia un’accettazione della realtà assoluta, compatta, priva di qualsiasi incrinatura, come se la loro autrice avesse improvvisamente deciso di abbandonare ogni tipologia di illusione e prendere atto delle propria posizione; fu questa condizione che, probabilmente, le permise di raggiungere l’assoluta libertà intellettuale per cui ancora oggi è tanto amata e ricordata. D’altronde, la letteratura moderna, della quale Jane Austen è senza dubbio una delle maggiori divinità protettrici, non ha mai saputo trovare la propria perfetta sublimazione senza che, nell’inchiostro delle sue pagine, non si potesse riconoscere il sotterraneo propagarsi di una lacerazione, la stessa che forse, in un giorno lontano, aveva avuto il potere di marchiare in profondità uno spirito altrimenti votato alla felicità.
Distrutta la speranza di matrimonio con il suo unico vero grande amore, Jane Austen si appiattì così nel ruolo di zitella: le eleganti acconciature furono rimpiazzate da cuffiette demodé e gli inviti ai balli furono ben presto sostituiti dai conti di casa. Condannata a dipendere eternamente dai suoi brillanti fratelli e dall’eredità dei genitori, Jane si ritrovò bloccata in un’imprecisata zona fra il mercato matrimoniale e la responsabilità di una casa da governare da sola, e con pochissime speranze di poterne uscire. Perciò, sei anni più tardi, quando Harris Bigg-Wither le propose di sposarlo, Jane si ritrovò improvvisamente a contemplare quella che sembrava a tutti gli effetti essere la soluzione definitiva di tutte le sue amarezze.

Jane Austen era da sempre la benvenuta nella famiglia Bigg-Wither, a Manydown Park: accettava ogni volta con entusiasmo i loro inviti, estremamente ansiosa di fuggire dalla claustrofobica e detestabile Bath per passare un po’ di tempo a Steventon con Alethea e Catherine, sorelle di Harris e sue intime amiche. Quella vacanza, in particolare, sembrava precludere qualche cosa di più importante di un semplice svago, come, per esempio, un soggiorno permanente: appena una settimana dopo il suo arrivo, difatti, Jane si ritrovava improvvisamente a brindare con i futuri suoceri in qualità di promessa sposa proprio dello stesso Harris Bigg-Wither! Jane aveva accettato la sua proposta immediatamente, quasi senza pensarci, troppo consapevole dei vantaggi che questa unione le avrebbe elargito; fu solo più tardi, di notte, nella solitudine della camera da letto, che Jane iniziò a nutrire i primi dubbi.

La decisione, ad un primo sguardo, pareva semplicissima e priva di qualsiasi problematica: il fidanzato aveva tutti i requisiti necessari a rendersi desiderabile, era di buona famiglia e la sua mano significava la differenza fra la sicurezza economica e una condizione relativamente povera. Sposando Harris, infatti, Jane non sarebbe solo diventata una moglie, rifuggendo così per sempre dallo spettro della solitudine e del disprezzo comune: sarebbe stata ricca e ammirata, ma soprattutto libera dalla sgradevole riconoscenza verso la famiglia che da sempre sembrava perseguitarla.

Tuttavia, vi era qualcosa in Harris che Jane non poteva vedere con indulgenza: aveva sei anni meno di lei ed era un ragazzone sgraziato e corpulento, con un’antipatica balbuzie che non faceva altro che acuire il suo ben noto caratteraccio; nonostante Jane lo conoscesse fin da quando era bambino, non vi trovava di fatto nulla che glielo potesse rendere caro, a prescindere dal suo aspetto goffo o dal suo sgradevole comportamento. Harris aveva effettivamente dalla sua la famiglia e il patrimonio: ma come poteva Jane accontentarsi di questo e dell’amicizia con le sorelle, quando dall’altra parte vi era la condanna di un matrimonio senza amore? Per la ragazza questa era verosimilmente l’ultima possibilità per diventare la moglie di un uomo rispettabile: ma non era un’opportunità che la sua integrità poteva permetterle di cogliere. Il mattino dopo, in un vortice di vergogna, sollievo e fermezza, Jane annunciò alla famiglia Bigg-Wither la rottura del suo fidanzamento.
Purtroppo, non sono giunti fino a noi frammenti di diari o di lettere che possano testimoniare i pensieri di Jane riguardo questa decisione; eppure, non è certo un caso che la maggior parte dei suoi romanzi tratti la difficoltà e la rarità dell’amore corrisposto. Fra tante ipotesi e interpretazioni possibili, tuttavia, una cosa è certa: l’imbarazzante fidanzamento di Jane, e la conseguente scelta angosciosa di porvi termine, furono la prima e la più importante battaglia per l’affermazione del proprio Io e della propria integrità, una guerra che questa piccola donna straordinaria avrebbe dovuto combattere per tutta la vita.

Outsider per scelta – e orgogliosa di esserlo – Jane Austen sviluppò con il tempo e con l’esperienza un acutissimo spirito di osservazione e un altrettanto paragonabile capacità sentimentale. Possedeva un notevole senso dell’assurdità della società dell’epoca, della sua pretenziosità, della sua nauseante affettazione e della sua inguaribile insincerità; tuttavia, tutto ciò non arrivava in nessun caso ad annoiarla, anzi, non mancava mai di divertirla! Jane era oggettivamente troppo educata per formulare pubbliche affermazioni capaci di ferire qualunque persona, ma non vedeva nulla di male nel divertirsi alle spalle delle personalità più frivole e superficiali nella sua cerchia di conoscenze, ridendone amabilmente nelle lettere indirizzate alla sorella Cassandra o nei suoi libri. D’altronde, quale miglior occasione degli scandali di salotto e delle storie d’amore di provincia per permettere a una giovane aspirante scrittrice di affinare il proprio talento letterario?

Sir Walter Scott, in proposito, scrisse come Jane Austen avesse, secondo lui, «il miglior talento mai incontrato per descrivere i coinvolgimenti, i sentimenti e i personaggi nella vita quotidiana». Ad un’attenta analisi, infatti, i libri della scrittrice narrano quasi sempre lo stesso tipo di storia, proponendo personalità spesso molto simili fra loro, anche se osservate di volta in volta da punti di vista sempre differenti. Jane Austen, dopo tutto, aveva una gamma limitata di argomenti di cui trattare, la sua vita quotidiana si limitava a un ristretto circolo della società di provincia e il suo buon senso, oltre a renderla perfettamente conscia dei propri limiti, probabilmente le comandò sempre di scrivere solo di ciò che poteva conoscere per esperienza diretta. Eppure, ciò che rende ancora oggi la sua letteratura e i suoi racconti così preziosi e coinvolgenti, è l’inestimabile e straordinario senso dell’umorismo di cui sono intrisi, la stessa qualità capace di dare impagabile acume alle proprie osservazioni e una sorta di sussiegosa grazia e leggerezza nella descrizione dei sentimenti.

Leggendo quello che sarebbe diventato `Orgoglio e Pregiudizio` è difficile credere come Jane Austen lo abbia scritto ben otto anni prima di abbracciare definitivamente il suo status di donna sola; eppure, l’umorismo vitale e frizzante che lo caratterizza, unito all’ambientazione fiabesca e alle tematiche universali trattate, lo rendono il romanzo più conosciuto e forse più amato della scrittrice. D’altronde, quale ragazza sognatrice non vorrebbe trovarsi nei panni delle sorelle Bennet, Elizabeth e Jane, capaci di sposare due uomini affascinanti, facoltosi e di alto ceto sociale, unicamente grazie alle proprie qualità e, soprattutto, nonostante l’impedimento di una dissennata madre ossessionata dal matrimonio delle figlie, di un padre sarcastico e indifferente, e della discesa di una terza sorella nel demi-monde della fuga d’amore e delle camere d’affitto londinesi!
Quando Jane Austen prese in mano la penna per scrivere il proprio capolavoro, nel lontano 1796, aveva già da tempo interiorizzato l’idea del viaggio a cui ogni donna deve prima o poi far fronte, quello verso la conquista dell’indipendenza e dell’affermazione del proprio Io; a pensarci bene, infatti, `Orgoglio e Pregiudizio` non contiene solo uno, ma ben due rifiuti di un pretendente, proposti entrambi da un’eroina la cui personalità è in grado di competere unicamente con quella della sua stessa autrice!

Elizabeth Bennet è piena di vita, disobbediente, sfacciata, intelligente e, come la sua creatrice, non ha alcuna intenzione di sacrificare il proprio cuore sull’altare di una vita senza amore. Anche a dispetto di altre indimenticabili eroine austeniane, Lizzy rimane una figura estremamente sovversiva, sempre tenacemente convinta della propria opinione e in conflitto con l’autorità più arrogante, quella determinata dal potere e dalle gerarchie.

Non c’è quindi da stupirsi nel costatare come Elizabeth fosse l’eroina preferita della stessa Jane Austen. «Devo confessare», scrisse in proposito, «che penso a lei come alla creatura più deliziosa mai apparsa sulla pagina». Tutto, infatti, lascia credere come Jane stesse dalla sua parte: come Elizabeth Bennet, infatti, la Austen era spiritosa, intelligente e brillante; come lei era dura, coraggiosa e caparbia, capace di correre per i campi per soccorrere una sorella malata, incurante della propria sottoveste infangata, o di reggere agli insulti e alle invettive di una boriosa contessa per affermare il proprio diritto nel sposare l’uomo amato.

Jane infuse nella sua figlia letteraria gran parte della sua filosofia di vita: Elizabeth, infatti, non si fa mai alcuna illusione sulla realtà, sa che il mondo è caotico e incoerente e che, pertanto, rende necessaria una saldezza morale e una presa di coscienza assoluta. Elizabeth sa perfettamente che, per quanto ci si prodighi, la felicità assoluta sarà sempre impossibile da raggiungere, che i rimpianti sono inutili e che del passato è opportuno ricordare «solo ciò che ci piace»; eppure, nonostante tutto, ciò che in assoluto rende Lizzy più cara agli occhi della sua autrice, come a quelli di noi lettori, è come tutti i suoi doni, e persino i suoi difetti, riescano a trasformarsi in lei irrimediabilmente in un’incontenibile gioia vitale.

Nel mondo di Lizzy tutto è in perfetto ordine, sottoposto a rigide regole come una danza nel periodo della Reggenza, eppure la nostra eroina non vuole assolutamente rassegnarsi al suo destino. Partecipa volentieri alla raffinata società in cui vive, ma quando si trova di fronte a importanti decisioni da prendere si conosce troppo bene per farsi intrappolare da semplici parole, dalle formalità imposte dall’esterno o dalle aspettative altrui. Non vi sono momenti in cui Elizabeth è tanto luminosa e seducente come quando si comporta esattamente nel modo opposto a come ci si aspetterebbe. Quando dovrebbe rimanere languidamente seduta in un salotto, Lizzy alza la gonna e va a fare un po’ di moto nella fangosa campagna intorno a Meryton. Quando il buon senso le imporrebbe di celare i propri sentimenti, non dubita un solo minuto nel dire chiaro e tondo quello che pensa. E quando viene chiesta in moglie dall’uomo sbagliato, beh, Elizabeth lo rifiuta.

Facendo un arido calcolo di interesse, il pomposo Mr Collins sarebbe lo sposo perfetto per Lizzy, come Harris Bigg-Wither lo era per Jane Austen; in fondo, possiede una posizione rispettabile, ha una patronessa a cui è devoto e, più di ogni altra cosa, tiene nelle mani la chiave della ricchezza dei Bennet, ed più che è disposto a condividere tale patrimonio in cambio di una moglie avvenente. Tuttavia, secondo i canoni di un’eroina, il Reverendo Collins non può esistere: pedante, soffocante e poco attraente, Mr Collins è un uomo presuntuoso, arrogante e limitato; insomma, nessuna donna dotata di un minimo di amor proprio potrebbe accettarlo come marito! E’ così che, con grande disappunto della Signora Bennet, Lizzy fugge a gambe levate, respingendo il pretendente indesiderato e rifiutando con coraggio di mettere il denaro prima dell’amore. Ancora una volta, l’indomabile e audace Io di Lizzy non solo sembra in grado di metterla sulla retta via, ma le impedisce anche di intraprendere una strada capace di portarla all’irrimediabile rovina.
D’accordo, rifiutare la mano del Reverendo Collins parrebbe, in fondo, una scelta piuttosto facile per qualsiasi donna che abbia un minimo a cuore i propri sentimenti. Ma, sinceramente, quante di noi avrebbero il coraggio di fare lo stesso nei confronti della proposta di matrimonio di un uomo affascinante, ricco e orgoglioso come il celeberrimo Fitzwilliam Darcy?

Nonostante Darcy sia per la prima parte del romanzo presentato come un personaggio schivo, borioso e pieno di sé, non si può comunque evitare di fare un po’ il tifo per lui. Al contrario, Lizzy, tutta presa dallo sforzo di non farselo piacere per poter apprezzare appieno il complicato e affascinante corteggiamento fatto di allusioni e parole pungenti, non riesce mai a capire chi è veramente il signor Darcy. Il lettore sostanzialmente non ha questo problema: sebbene Jane Austen non ci aiuti con descrizioni particolarmente accurate, dalle sue parole è facile ricavare come Darcy sia un uomo violentemente passionale, affascinante, ricco in maniera sbalorditiva e, nondimeno, intelligente al punto tale da apprezzare profondamente Elizabeth, nonostante le manchevolezze e i difetti della sua famiglia. E’ vero: la prima proposta di matrimonio che si trova ad esprimere è di una tale intollerabile insolenza che meriterebbe solo uno schiaffo come risposta; eppure la superbia, l’orgoglio per i suoi natali e le sue ricchezze, sono i tratti distintivi del suo carattere, senza i quali, in verità, non ci sarebbe alcuna storia da poter raccontare.

Sono i dubbi per la mancanza di una sostanziale dote, per la differenza di classe e per una famiglia bizzarra, espressi in modo sincero ma decisamente indelicato, che fanno scattare quello che è il rifiuto più fulminante della letteratura di tutti i tempi. Ferita nella vanità e con ogni possibile romanticismo ridotto a brandelli, Lizzy fa nuovamente prevalere il proprio Io, che mai e poi mai potrà essere calpestato da un uomo arrogante. Per Elizabeth, Darcy non merita un semplice rifiuto: la sua insultante proposta lo colloca all’ultimo posto fra gli uomini sulla faccia della Terra. Sopraffatta dallo sdegno e dai propri pregiudizi, Lizzy manda all’aria qualsiasi cautela e mortifica Darcy con poche parole ben scelte; d’altronde, tutto le sarebbe possibile, tranne sposare un uomo che non sia in grado né di amare né di rispettare.

Tuttavia, anche un’eroina è umana e, come tale, a Lizzy crolla il mondo addosso al momento di ripensare con calma al suo rifiuto. Quelle parole così dure, espresse quasi senza pensare, non saranno state un errore madornale? Darcy si meritava veramente di essere trattato in quel modo? Potrà mai perdonarle quei giudizi pronunciati d’istinto solo nell’intento di ferirlo? Il risultato di tutte queste domande è che Lizzy finisce irrimediabilmente per vergognarsi di se stessa, considerandosi cieca, ingiusta, avventata, schiacciata dai suoi stessi pregiudizi. Eppure, anche in questo caso, non possiamo fare a meno di amarla: un’Elizabeth che ragiona ad alta voce è ancora più affascinante di una Lizzy ribelle e coraggiosa, proprio perché i dubbi che si pone sono straordinariamente e terribilmente veri.

Nonostante tutto, però, sarebbe troppo facile per Lizzy abbandonarsi alla tristezza e al rimpianto o rassegnarsi alla spettacolare disfatta del suo orgoglio; Lizzy, infatti, è una straordinaria eroina d’azione: sempre intenta ad analizzare i suoi pensieri e i suoi comportamenti, considera la propria parte negli eventi e riconosce i suoi errori. Mai Elizabeth Bennet è in grado di risplendere così tanto come quando è chiamata ad essere veramente coraggiosa, ovvero non nel momento di pronunciare parole avventate, ma quando, posta di fronte ai propri difetti e alle proprie manchevolezze, trova la forza necessaria per non chiudere gli occhi e non tirarsi indietro. E’ dunque tempo di cambiare, di mettere in dubbio le proprie convinzioni e di ricominciare da capo, ritornando sui propri passi.

Nuova presa di coscienza e nuovi propositi: quando inaspettatamente Lizzy incontra Darcy, durante la sua vacanza nel Derbyshire, i suoi occhi risplendono già di una luce diversa. E’ qui che, nella scena probabilmente più famosa di `Orgoglio e Pregiudizio` , si concretizza la possibilità di varcare i confini sociali, anche in un’epoca estremamente rigida e formale come il Settecento inglese. E’ come se in questo punto, tramite la delicatissima metafora spaziale di un ponte attraversato e di un incontro fortuito, Jane Austen tentasse di trasmetterci la possibilità che un sentimento potente come l’amore possa essere in grado di superare qualsiasi limite imposto dall’esterno e di riempire finalmente uno spazio vuoto, unificando temperamenti e ceti sociali differenti.
Non è un caso, infatti, che molti lettori ritengano come questo episodio segni la fine ideale di `Orgoglio e Pregiudizio`: gli orizzonti dei personaggi sono mutati, Elizabeth ha abbandonato i propri pregiudizi e Darcy ha messo da parte il proprio orgoglio; si è ottenuto infine un nuovo equilibrio, secondo nuove leggi e nuovi sentimenti. Insomma, per avere il loro legittimo lieto fine, Lizzy e Darcy devono essere disposti ad accettare tutti gli aspetti dei rispettivi Io, orgoglio e pregiudizi annessi, imparando prima di tutto a guardarsi dentro. Estremamente significativo, inoltre, sarà constatare come Lizzy non riuscirà ad innamorarsi fino a quando non sarà disposta, a sua volta, a ricevere amore tanto quanto a donarlo.

La fine del romanzo e della storia sono in grado di creare un senso di pace e luminosità che mai, oltre a Jane Austen, nessuno scrittore è stato in grado nuovamente di ricreare; sembra che nulla possa più andare storto, che ogni personaggio abbia raggiunto la propria realizzazione ideale e che ogni cosa sia stata risolta senza problemi. La stessa autrice arrivò a domandarsi, in maniera estremamente lucida e autocritica, se il suo romanzo non fosse «un po’ troppo chiaro e luminoso e brillante» e se la sua «gaiezza e la sua epigrammaticità» non necessitassero di un contraltare in grado di spezzare quella luminosità uniforme. In realtà, ad un’attenta analisi, `Orgoglio e Pregiudizio` è tutto fuorché un romanzo leggero e superficiale, privo di qualsiasi elemento di serietà o riflessione: `Orgoglio e Pregiudizio` rappresenta infatti la perenne sfida all’oppressione, imposta dalla società e dai condizionamenti esterni, un programma in grado di creare una complessità di fondo capace di trasparire delicatamente attraverso la patina superficialmente luccicante.

Il nucleo di `Orgoglio e Pregiudizio` è molto più di una semplice storia d’amore: è la rappresentazione di un’eroina capace di sottoporsi a una spietata analisi interiore, con un contorno di umiliazioni familiari ed errori fatali che, tuttavia, non impediscono il raggiungimento del meritato lieto fine. Il romanzo è quindi un continuo dispiegarsi di energie e posizioni in conflitto fra loro, perfettamente esplicate già nella dualità del titolo. La demitizzazione e lo stravolgimento dell’Orgoglio dei suoi personaggi suggerisce chiaramente quale fu il motivo per cui Jane Austen decise di renderlo uno dei temi portanti del romanzo, legandolo contemporaneamente al Pregiudizio, di cui spesso ne è l’attributo o la diretta conseguenza. D’altronde, i meccanismi capaci di alimentare entrambi questi sentimenti sono fondamentali nel comprendere l’avvicendarsi delle passioni umane: come le prime impressioni, anche le idee si rinvigoriscono a vicenda, in un ciclo continuo, dove l’Orgoglio è capace di rinforzarsi proprio grazie ai Pregiudizi da lui stesso generati.
In conseguenza di ciò, Jane Austen non è mai tenera con i suoi personaggi, soprattutto con Lizzy, tanto da donarle forza e debolezza in parti uguali. No, Lizzy non è mai perfetta, e i suoi pregiudizi sono parte essenziale di lei, proprio come la spavalderia che le permette di percorrere cinque chilometri a piedi nel fango, infischiandosene dei malevoli giudizi delle sue involontarie ospiti, o come la sfacciataggine che la rende in grado di contraddire la tronfia Lady Catherine de Bourgh per difendere se stessa e il suo amore.

Jane Austen sapeva fin troppo bene che l’Io è una realtà estremamente difficile da definire e in continuo mutamento: dopotutto, nessuno come lei era specializzato in prese di coscienze a sorpresa da parte di eroine imperfette ma altrettanto determinate! Elizabeth Bennet sa perfettamente che rifiutare Mr Collins e poi di nuovo Darcy significherà per lei, probabilmente, non sposarsi mai più; eppure, lo fa lo stesso. Nonostante chiunque attorno a lei impazzisca al solo pensiero dell’amore e del matrimonio più conveniente, Lizzy non finge mai di partecipare al gioco. Insomma, anche se non avesse avuto il lieto fine sperato, sicuramente Lizzy ci avrebbe lasciato una sensazione di assoluta felicità: sicura di sé e dotata di amor proprio, non le sarebbe servito un uomo per essere una persona completa. Eppure, nonostante tutto, pur non rinunciando ai propri ideali, Elizabeth un uomo da amare alla fine ce l’avrà.

Come la sua figlia di carta più famosa Jane Austen non riuscì mai ad accettare passivamente una società fondamentalmente ingiusta, che pretendeva sotto ogni aspetto che le donne reprimessero opinioni e talenti in favore di frivole e inconsistenti “doti femminili”. La conseguente decisione di non sposarsi, quindi, per la scrittrice significò probabilmente rinunciare al lieto fine che invariabilmente regalava alle sue eroine, ma non certo a godersi la vita! Romanziera in un’epoca in cui a una donna “per bene” veniva unicamente richiesto di nascondersi e di non cercare mai alcun riconoscimento pubblico, Jane Austen osò immaginare di vivere un’esistenza scandita dai propri traguardi professionali, invece che dalle relazioni sentimentali. Come scrittrice e come donna tracciò una via che in ogni aspetto arrivava a rispecchiare la vocazione più profonda della vera eroina: analizzare se stessi con sincerità, affrontare la società e le ingiustizie con sfrontatezza, riderne, e non conformarsi mai alle pretese altrui. Tale atteggiamento probabilmente la poneva in aperto contrasto con ciò che chiunque si sarebbe aspettato da lei, eppure Jane era più che felice di correre il rischio di perdere l’approvazione degli altri per amore della propria integrità.

Dobbiamo combattere per preservare il nostro Io, è da lì che veniamo. Imperfette o meno, noi siamo le uniche costanti delle nostre vite e, spesso, nei momenti di difficoltà e di amarezza, siamo anche gli unici posti in cui possiamo ritornare. Come alla signorina Jane Austen, ad ognuno di noi viene richiesto di crearci il nostro legittimo posto nella vita, in armonia con le persone che siamo e non con ciò che chiunque altro si aspetta da noi; proteggiamo dunque la nostra integrità e non scendiamo mai a patti con chi vuole vederci conformati alla società, tristi, gretti e insoddisfatti: solo così, infatti, potremmo dire di essere veramente liberi.
Ciao (:
A proposito di letteratura preromantica, hai visto che la Fazi ha pubblicato un libro di Charlotte Bronte? Si chiama Villette. Lo leggerai? (:
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