BEYOND THE WALL #1 | A Song of Ice and Fire’s Review | Book 1 • `A Game of Thrones` di George R. R. Martin
«La mente ha bisogno dei libri quanto una spada ha bisogno della pietra per affilarla.
Per questo, Jon Snow, io leggo così tanto.»
~ Tyrion Lannister, `A Game of Thrones`

Scegliere di raccontare una storia lunga, complessa, animata da una varietà infinita di personaggi così come di punti di vista differenti, è tutt’altro che semplice. Più di tutto, risulta difficile farlo per centinaia e centinaia di pagine, prestando attenzione a mantenere sempre saldo l’interesse del lettore e desto il suo senso dell’orientamento. John Ronald Reuel Tolkien fu fra i primi autori del Novecento a cimentarsi in una simile impresa, meritandosi per questo il titolo di “padre dell’opera fantasy moderna”, il genere che per eccellenza è in grado di adattarsi a tale tipo di narrazione. Agli stilemi più classici del genere, come il viaggio dell’eroe o l’ancestrale conflitto fra Bene e Male, Tolkien decise infatti di anteporre la descrizione di un mondo complesso, dotato di una storia secolare alle spalle, così ricco di ambienti, popoli e tradizioni da richiedere un vero e proprio studio al fine di comprenderlo pienamente. Evocando immagini potenti, creando personaggi memorabili e descrivendo battaglie e banchetti con la dovizia dei narratori più geniali, Tolkien seppe entrare nella storia della letteratura occidentale, fondando di fatto un nuovo canone e nobilitando un genere ormai da lungo tempo dimenticato.

Molti decenni più tardi, quando George Raymond Richard Martin iniziò a scrivere `Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco` – la saga fantasy che tutto il mondo avrebbe poi conosciuto come `Il Trono di Spade`, grazie alla fortunatissima trasposizione televisiva dell’HBO – fu proprio all’opera di Tolkien che decise di guardare. Come il Maestro inglese, infatti, anche Martin scelse di ambientare la propria storia in una terra fantastica e sconosciuta, popolata da personaggi variegati alle prese con il proprio destino, a cui integrò una trama politica e sociale in grado di disvelare i pericoli del potere e le conseguenze di un suo esercizio sconsiderato. Al pari dell’Anello di Sauron, infatti, il Trono di Spade incarna il simbolo immanente della sete di dominio, un feticcio in grado di indurre gli uomini a rubare, mentire, tradire e uccidere, nel nome di un’ambizione che, se illegittima, può solo condurre alla dannazione dell’anima.
Fin dal principio, la profonda passione per l’opera tolkieniana divenne per George R.R. Martin una primaria fonte di ispirazione, a cui decise di rendere omaggio disseminando le proprie `Cronache` di tributi e citazioni. Fra i tanti esempi possibili, si possono citare le invincibili spade in acciaio di Valyria, che ricordano molto da vicino le armi forgiate dagli elfi, così come i Primi Uomini di Westeros appaiono l’equivalente dei Numenoreani di Arda; la stessa celebre Barriera riporta alla memoria del lettore più avvertito i cancelli di Minas Tirith, eretti allo stesso modo per arrestare l’avanzata dell’Oscurità verso il mondo degli uomini. Anche la peculiare passione di Tolkien per la creazione di nuove lingue, così come per gli stratagemmi in grado di legare ogni nuovo romanzo ai precedenti, costituirono un punto di riferimento fondamentale per l’opera di Martin. Fu tuttavia alla rivoluzione stilistica del `Signore degli Anelli` ciò a cui l’autore statunitense decise innanzitutto di guardare, ovvero alla capacità di Tolkien di organizzare con coerenza un universo vastissimo e complesso, descrivendo con minuzia le vicende di numerosi personaggi e determinando un equilibrio pressoché perfetto fra narrazione e descrizione.

A tal proposito, per gestire un’enorme mole di materiale all’interno di una storia tesa tutto sommato alla verosimiglianza, è necessario istituire fin da subito delle direttive chiare e ben precise. E’ così che il mondo di Martin appare innanzitutto suddiviso in una serie di nobili Casate, ciascuna dotata di un proprio stemma e di un proprio motto identificativo, dalle quali giunge poi a dipanarsi un macrocosmo inesauribile di gerarchie e discendenze, di relazioni e rivalità, a loro volta profondamente influenzate dal territorio e dalle condizioni climatiche di appartenenza. Gli Stark, i Lannister, i Targaryen e i Baratheon, tuttavia, non sono che la punta dell’iceberg della creazione di Martin: a re, lord e cavalieri, arrivano infatti ad associarsi i personaggi del popolo – servi, prostitute, religiosi e mercenari -, tutti dotati di una propria personalità oltre che di peculiari credenze, superstizioni ed usanze.

Da questo punto di vista, la prima e più importante fonte di ispirazione per la creazione della terra di Westeros – e per le sue dinamiche tipicamente medievali – è stata senza dubbio la Storia, quella per eccellenza, quella che affonda le radici nel nostro mondo. Tutto ciò che incontriamo nel corso della narrazione, infatti, dai costumi agli armamenti, dal cibo alla medicina, ha precisi legami fattuali con il nostro mondo, rielaborati e riadattati da Martin in funzione del proprio universo. Per quanto riguarda lo scheletro degli eventi, invece, il rimando più immediato è alla Guerra delle Due Rose, il sanguinoso conflitto civile che sconvolse l’Inghilterra fra il 1455 e il 1485, quando per ben trent’anni i due opposti schieramenti dei Lancaster e degli York si contesero il trono reale.

E’ così che, partendo dalle vicende storiche per lui più appassionanti, George R.R. Martin è stato in grado di assimilare, rielaborare e ricostruire buona parte della nostra realtà nella sua opera, circostanza resa evidente non solo per quanto riguarda i popoli o i singoli personaggi, ma anche e soprattutto per i luoghi. A tal proposito, memorizzare la geografia dei due grandi continenti in cui si svolgono le vicende, Westeros e Essos, non è particolarmente complesso, ma è d’altra parte fondamentale al fine di comprendere pienamente la narrazione. Le varie Casate, infatti, hanno la propria origine in un particolare ambiente e le alleanze fra le maggiori famiglie nobili sono spesso dettate da fattori puramente territoriali. La geografia, allo stesso modo, ci permette di valutare la portata degli spostamenti dei personaggi, di determinare le loro strategie di guerra così come il tipo di difese impiegate; alcuni castelli, ad esempio, come Nido dell’Aquila, appaiono virtualmente inespugnabili proprio a causa della loro posizione, mentre altri ancora, come la Fortezza Rossa di Approdo del Re, risultano significativamente più difficili da proteggere in caso di un attacco dal mare. Una preliminare osservazione della mappa elaborata da Martin, dunque, risulta estremamente utile al fine di comprendere la natura delle dinamiche e delle rivalità in gioco.

Prima dell’unificazione dei Sette Regni sotto il dominio di Aegon “Il Conquistatore” Targaryen, il continente di Westeros appariva governato da re e lord fortemente indipendenti fra loro. Fu infatti in seguito alla Guerra di Conquista, circa trecento anni prima dell’inizio della nostra saga, che i Sette Regni divennero nove regioni amministrative, al cui governo vennero riconfermate gran parte delle antiche dinastie; esse, tuttavia, furono costrette a rinunciare a gran parte della propria libertà e ad inchinarsi al dominio di Approdo del Re, la nuova capitale sulla costa est, nella cui immane Fortezza Rossa i Re sedevano sul Trono di Spade.

Ancora oggi, dunque, antiche e potentissime famiglie esercitano il proprio diritto di governo sui principali territori del continente: partendo dalle Terre dell’Ovest, ad esempio, esse si trovano sotto la giurisdizione dei Lannister di Castel Granito, mentre le montagne e la Valle dell’Est dipendono parimenti dagli Arryn di Nido dell’Aquila; fra le due antiche dinastie vi sono poi i Tully di Delta delle Acque, chiamati allo stesso modo a presiedere le fertili terre dei fiumi. Proseguendo verso sud, invece, troviamo l’Altopiano, la seconda più vasta regione dei Sette Regni: prevalentemente pianeggiate e collinare, cosparsa di villaggi e città, essa risulta controllata dalla Casa Tyrell di Alto Giardino. Tale lussureggiante territorio, tuttavia, si trova a confinare con due dei regni più aspri e inospitali di tutta Westeros: le Terre della Tempesta, le cui coste flagellate dal mare sono difese dai Baratheon di Capo Tempesta, e Dorne, la regione più meridionale del continente, oltre che la più calda in assoluto. Il popolo dorniano, indomito e orgoglioso, si differenzia profondamente dalle altre genti dell’Ovest, sia da un punto di vista culturale che etnico: cibo, aspetto fisico e stili architettonici richiamano infatti le culture mediterranee di greci e turchi, mentre per gli altri regni il riferimento diretto è ai popoli dell’Europa occidentale.

Eppure, non è a Sud ma a settentrione che inizialmente Martin decide i condurre i propri lettori. E’ così che giungiamo al cospetto delle selvagge terre del Nord, la più vasta regione dei Sette Regni, grande quasi quanto la somma di tutti gli altri territori: un’area scarsamente popolata, con piccole fortezze e villaggi disseminati nel cuore di lande inesplorate, circondate da foreste lussureggianti e montagne innevate. A dominare il Nord vi sono gli Stark di Grande Inverno, discendenti diretti dei Primi Uomini, una stirpe orgogliosa, tenace ed onesta, quasi ostile alle comodità e al lusso offerti delle fertili terre del Sud. Il motto di Casa Stark, “L’inverno sta arrivando”, è in questo senso quanto mai peculiare: si tratta di un avvertimento, di un richiamo costante alle armi e ad una stoica filosofia del sacrificio, che ora più che mai sembra essere necessaria. I lunghi e caldi anni dell’Estate, infatti, stanno volgendo al termine, e molto presto le privazioni del freddo e dell’oscuro inverno caleranno su tutti i popoli di Westeros. E’ dunque necessario stare allerta, ergersi attenti ai posti di combattimento, poiché sarà necessaria ogni singola risorsa, ogni minuscolo frammento di forza fisica e spirituale per poter sopravvivere alla tempesta in arrivo.

Ormai da secoli gli Stark presiedono le terre del Nord, vigilando sull’intero reame dalle loro cupe fortezze innevate. Non è dunque un caso se, secondo la leggenda, fu proprio uno degli antichi signori di Grande Inverno, Brandon il Costruttore, a costruire ai confini del mondo conosciuto la Barriera, l’immane muraglia di ghiaccio e pietra destinata a difendere i regni degli uomini dalle oscure presenze al di là delle lande ghiacciate. Direttamente ispirata al celebre Vallo di Adriano, la Barriera è ancora all’epoca della nostra storia custodita dai Guardiani della Notte, un ordine militare di uomini stoici e devoti, i quali, scegliendo deliberatamente di rinunciare a qualsiasi tipo di avere, titolo o discendenza, giungono a consacrare la propria vita in difesa del reame. Parte di una confraternita un tempo venerata e rispettata, i Guardiani della Notte appaiono ora vilipesi e ignorati, poiché il lungo trascorrere dei secoli ha portato sovrani e popolo a dimenticare i pericoli celati nel cuore della Lunga Notte. Per cercare dunque di rimediare alla carenza di volontari, la Corona ha deciso di inviare periodicamente al Nord canaglie, criminali e avanzi di galera, dando loro la possibilità di una condanna alternativa e, allo stesso tempo, fornendo alla Barriera nuove leve da addestrare, al prezzo tuttavia di un indebolimento dello spirito e della lealtà dei Guardiani stessi.

Centinaia di anni sono così trascorsi dall’impresa di Brandon il Costruttore, millenni in cui più nulla è riuscito a scalfire la gigantesca muraglia ghiacciata; eppure qualcosa, negli ultimi tempi, sembra essere sul punto di cambiare. Strani eventi, infatti, si stanno verificando al di là della Barriera, al punto che il Lord Comandante dei Guardiani della Notte, Jeor Mormont, si ritrova a temere seriamente per la propria sicurezza e per quella dei suoi uomini. Egli decide dunque di inviare ser Waymar Royce, giovane rampollo di un’antica Casata, e altri due Guardiani nella Foresta Stregata, per essere i suoi occhi e per poter rintracciare gli altri ranger scomparsi. Un pattugliamento di questo tipo, d’altronde, non è cosa insolita per l’ Ordine, incaricato innanzitutto di vigilare sulle attività dei Bruti, i popoli barbari delle terre selvagge. In questo caso, tuttavia, la situazione sembra essere molto diversa: il gruppo di ser Waymar, infatti, ha solo iniziato ad addentrarsi in quei territori ostili, quando il giovane Will giunge ad imbattersi in un accampamento disseminato di corpi orribilmente mutilati.

Davanti a tale atroce visione, storie vecchie come il mondo iniziano ad attraversare la mente del giovane ranger, storie aventi a che fare con gli Estranei, le mostruose ed inarrestabili creature che dominarono la Lunga Notte, l’inverno più rigido, lungo e oscuro mai conosciuto dai popoli di Westeros. Durante quel gelo che durò un’intera generazione, infatti, il sole nascose il proprio viso per anni e anni: molti bambini si trovarono così a nascere, vivere e morire in tenebre senza fine, mentre anche i re finivano per congelare nei propri castelli come gli animali nelle stalle. Fu allora che i demoni bianchi scesero dal Nord: essi odiavano il ferro, il fuoco e tutte le creature nelle cui vene scorresse sangue caldo; cavalcando pallidi destrieri nella loro furia devastarono fortini e città, smantellarono eserciti e armate, per poi nutrirsi della carne dei nemici sconfitti. I Primi Uomini, insieme ai leggendari Figli della Foresta, riuscirono dopo una lunga guerra a confinarli nelle lande dell’estremo Nord, erigendo la Barriera al fine di proteggere il popolo dei Sette Regni dalla loro minaccia. Da quel momento in poi, il Muro divenne per Westeros non solo un confine fisico, l’estrema frontiera del mondo conosciuto, ma anche la linea di demarcazione fra il mondo tangibile, reale e ordinario, e quello oscuro dell’inconscio, della paura primordiale e del terrore della morte.
Ottomila anni sono così trascorsi da quei giorni, millenni in cui gli uomini dell’Occidente hanno vissuto sempre al riparo della Barriera di ghiaccio; ma ora, come Will inizia a rendersi conto prima di morire, osservando un paio di occhi fiammeggianti di una malvagia luce azzurra, essi saranno di nuovo costretti a fare i conti con quel gelido orrore, e ad affrontare il più grande pericolo mai conosciuto prima di allora.

Permettendo al lettore di lanciare un lungo sguardo iniziale agli eventi oltre la Barriera, Martin arriva a stabilire una prima sconcertante corrispondenza con ciò che, nel frattempo, sta accadendo nel reame degli uomini. I paralleli di certo sono preoccupati, dal momento che già nel primo capitolo assistiamo ad una morte, quella di Gared, uno dei Guardiani della Notte facenti parte della missione di Waymar Royce e l’unico ad essere sopravvissuto all’attacco degli Estranei. In qualità di disertore, tuttavia, egli ha disonorato se stesso e la sua confraternita, ed è compito del signore di Grande Inverno ristabilire la giustizia, decretando la sua morte per decapitazione. Lord Eddard Stark è d’altronde l’erede di una dinastia di uomini austeri, votati all’onore e al rispetto della parola data: non può graziare quell’uomo, così come non può credere alle sue farneticanti giustificazioni. Da migliaia d’anni gli Estranei non mostrano più il loro volto e, anzi, forse non sono mai esistiti. Quel Guardiano della Notte è solo un folle, niente di più.

«E’ possibile che un uomo che ha paura possa anche essere coraggioso?», chiede il piccolo Bran al lord suo padre, subito dopo averlo osservato giustiziare il disertore. E’ attraverso i suoi occhi, infatti, che il lettore ha avuto modo di osservare l’intera scena, secondo quell’alternanza di punti di vista che da questo momento in poi caratterizzerà l’intera narrazione. Martin sceglie infatti di non presentare la storia dalla prospettiva di un narratore onnisciente, ma di determinare una serie di personaggi riferimento attraverso i quali riflettere tutti gli eventi. In questo modo, egli non arriva mai a porre vincoli artificiali ai suoi caratteri, permettendo loro di osservare, commentare e partecipare alla scena nel modo in cui le proprie coscienze lo determinano. Tutti gli eventi narrati appariranno dunque sempre filtrati attraverso una comprensione limitata e parziale, riservando al lettore il compito di istituire una scala di valori in base alla quale interpretare l’intera vicenda.
Fin dal principio, tuttavia, sarà piuttosto semplice constatare come alcuni punti di vista risultino più salienti di altri: questo è proprio il caso di Bran che, come gli eventi in seguito riveleranno, appare dotato di una visione d’insieme capace di trascendere le normali capacità umane. Non è un caso, infatti, se sarà proprio dalla sua prospettiva che il lettore avrà modo di assistere anche ad un’altra scena fondamentale del romanzo: quattro pagine cruciali non solo per la trama complessiva, ma anche per i caratteri e le relazioni che molti personaggi andranno in seguito a sviluppare.
«Sul gruppo dei cavalieri scese il silenzio. I loro sguardi rimasero fissi sul rostro. Nessuno osò aprire bocca. Bran percepì la loro paura, anche se non ne capì la causa».

Bran è un bambino di soli sette anni ed è del tutto comprensibile che, dal suo punto di vista, sia quanto mai complesso comprendere il significato di ciò che sta osservando, di quel rostro di cervo conficcato nella gola di una gigantesca meta-lupa morta. Neppure suo padre, lord Eddard, sembra capire pienamente tutte le implicazioni del caso, ma è indubbio che un brivido freddo scorra ora lungo la sua schiena: sono infatti duecento anni che non si vede un meta-lupo a sud della Barriera e quell’inaspettato ritrovamento ha tutta l’aria di un cattivo presagio. Osservando più attentamente, però, Bran nota qualcosa: quell’abominio, quell’enorme bestia divorata dai vermi e con gli occhi spenti dalla morte, infatti, non è sola; cinque cuccioli le stanno accanto, gli occhi ancora chiusi, intenti ad emettere tenui lamenti tristi nel tentativo di bere ancora un po’ di latte.
«Ucciderli è un atto di misericordia», esclama lo stalliere Hullen, considerando inammissibile che dei meta-lupi vivi, per quanto totalmente indifesi, si trovino così vicino a Grande Inverno. Per Bran questa decisione è tuttavia inaccettabile: stringendo con forza uno dei piccoli, inizia dunque ad opporsi alla volontà di quegli adulti spietati, gli occhi colmi di lacrime, fino a quando uno dei suoi fratelli non decide di giungere in suo aiuto. «Erano destinati ad averli», dichiara il bastardo Jon Snow, affrontando perentoriamente gli uomini di suo padre. «Lord Stark: ci sono cinque cuccioli. Tre maschi, due femmine[…] Tu hai cinque nobili figli. Tre maschi, due femmine. E il meta-lupo è il simbolo della Casa Stark».

Nel complesso, c’è molto da ammirare in questa breve e intensa scena: la compassione di un padre, ad esempio, che sceglie di risparmiare delle creature indifese per donarle ai suoi figli; ma anche le innate qualità di leadership dei due ragazzi maggiori, Robb e Jon, nel sostenere con vigore la propria decisione. E’ grazie a loro, infatti, che ciascuno dei giovani eredi di casa Stark riceverà in custodia un proprio meta-lupo, con il quale arriverà fin da subito a sviluppare un legame profondissimo, capace di andare ben al di là del semplice affetto nutrito per un animale domestico. I meta-lupi, infatti, diventeranno ben presto dei veri e propri numi tutelari per i loro giovani padroni, vegliando sul loro destino in virtù di una connessione spirituale prima ancora che affettiva, circostanza che Martin metterà in evidenza fin dalla scelta dei loro nomi.

Partendo dal primogenito Robb, vediamo come egli scelga di chiamare il proprio meta-lupo Vento Grigio: il più fiero fra i cuccioli trovati nella foresta, l’animale arriverà infatti ad assisterlo fin sui campi di battaglia, aiutandolo a conseguire la vittoria e infondendo un terrore ancestrale nelle file dei suoi nemici. Per quanto riguarda le due ragazze, invece, la delicata Sansa nominerà la sua lupa Lady, simbolo della propria primigenia innocenza, così come la selvaggia Arya chiamerà il suo animale Nymeria, un nome da regina guerriera, da fiera e indomita conquistatrice. Dal canto suo, Bran impiegherà molto tempo a trovare un nome adatto al proprio meta-lupo, scegliendo infine Estate, una parola di speranza e di luce, indispensabile per quando il freddo inverno giungerà a ricoprire ogni cosa; Rickon, invece, il più piccolo fra gli Stark, preferirà il poco lusinghiero appellativo di Cagnaccio, nome profetico per quello che sarà il suo destino di bambino abbandonato e dimenticato. Infine vi è Spettro, il sesto cucciolo albino, che solo all’ultimo momento Jon troverà nella neve. A differenza dei fratelli, il piccolo meta-lupo appare molto diverso: ha la pelliccia candida, mentre il resto della cucciolata è scura, e i suoi occhi rossi sono ben aperti, mentre quelli degli altri sono chiusi. Allo stesso modo, Jon Snow è il solo figlio bastardo di Eddard Stark e, come il suo animale, ben presto dimostrerà di possedere una visione assolutamente peculiare per un ragazzo della sua età.

La tessitura simbolica insita nell’incontro con la meta-lupa morta è quanto mai suggestiva, al punto da rendere possibile un’ ulteriore esegesi. Se da una parte, infatti, i sei cuccioli orfani sono facilmente associabili ai sei figli Stark, dall’altra più complessa è l’identificazione della madre uccisa. L’interpretazione più ovvia sembrerebbe puntare senza dubbio a lord Eddard, signore di Grande Inverno e, come ben presto il lettore scoprirà, futuro Cavaliere del Re. L’uomo che per anni ha infatti ricoperto la carica, Jon Arryn, è morto in circostanze misteriose, portando re Robert a volersi recare a Grande Inverno per proporre l’incarico al suo vecchio amico d’infanzia. Eddard Stark sarà così costretto a trasferirsi ad Approdo del Re e a confrontarsi con la sua corte spietata, un vero e proprio concentrato di veleni e arcana imperii indistricabili, un covo di serpi mortali in perenne conflitto per la conquista del potere. E’ dunque quanto mai inquietante considerare da questa prospettiva la morte della meta-lupa: forse il viaggio al sud sarà nefasto per gli Stark? Grande Inverno cadrà? Oppure sarà solo Ned a non fare più ritorno? Nulla è certo, se non che il futuro dei nostri protagonisti è destinato a cambiare per sempre.

Fin dall’arrivo dell’entourage reale a Grande Inverno, un’evidente discrepanza giunge a colpire il lettore più attento: è risaputo infatti come Robert, prima di essere re, sia innanzitutto un Baratheon di Capo Tempesta, il cui stemma caratteristico è un cervo nero su sfondo giallo; è dunque assai bizzarro constatare come siano invece i leoni dorati dei Lannister, la Casata della regina, a dominare su gran parte dei vessilli e sulle vesti dei principi ereditari. Si tratta di un dettaglio infinitesimale, eppure, come spesso accade in Martin, quanto mai rivelatore: ci comunica infatti come qualcosa di profondamente sbagliato stia avvenendo a corte e come la regina Cersei, donna bellissima e influente, sia stata capace di acquisire nel tempo sempre maggiore autonomia, infiltrando membri della propria famiglia nei posti di potere ed emancipandosi con forza dalla figura del marito.
A differenza degli Stark, che Martin ci permette di conoscere nel dettaglio fin dalle prime pagine, i membri di casa Lannister appaiono assai più misteriosi: essi, infatti, ci vengono presentati progressivamente dall’autore e in gran parte tramite la prospettiva di altri personaggi, da cui apprendiamo la loro natura di famiglia potentissima e rispettata, ma anche odiata e invidiata da nobiltà e popolo. Il leone loro emblema, d’altronde, è un chiaro simbolo di maestà e di forza, uno stemma perfetto per una stirpe di guerrieri indomiti e coraggiosi, ma anche di personalità dispotiche e arroganti. Allo stesso modo, i rapporti che li legano sembrano celare fin da subito qualche cosa di sbagliato, di malsano e di innaturale, circostanza che sarà ben presto destinata a venire alla luce.

Da questo punto di vista, Cersei Lannister rappresenta alla perfezione lo spirito della propria Casata: manipolatrice ambiziosa e senza scrupoli, apparentemente priva di qualsiasi pietà o sentimento umano, la splendida regina è tuttavia anche portatrice di una fragilità non comune a nessuno degli Stark. Unica donna in una famiglia di uomini, infatti, Cersei è stata educata fin dall’infanzia al culto del dominio, di un potere che è possibile ottenere solo con dimostrazioni di forza e crudeltà, e mai abbastanza grande e sicuro da poter essere mantenuto. Se da una parte ella sembra dunque agire unicamente per vendetta o per malvagità, dall’altra è evidente come sia la paura il vero motore delle sue azioni. Cersei è disposta a tutto pur di salvaguardare se stessa e le persone che ama, in particolare i suoi figli, poiché Cersei è sì una regina, ma è prima di tutto madre. Ella si dimostra così capace di grande spirito di sacrificio, arrivando a donarsi completamente alla propria prole e, in generale, a chiunque ritenga meritevole delle proprie attenzioni… Anche se si tratta di qualcuno che dovrebbe amare in modo molto diverso.
A tal proposito, il rapporto fra Cersei e Jaime, il fratello gemello, è estremamente complesso e solo in parte esplorato nel primo romanzo della saga. Martin sceglie comunque di rivelare l’incesto che li lega fin dalle prime pagine, lasciandocelo intuire attraverso gli occhi di Bran, il quale si troverà suo malgrado a sorprenderli in un amplesso proibito. Questa circostanza costerà assai cara al bambino, che verrà infatti scaraventato giù dal torrione di Grande Inverno dallo stesso Jaime, nel tentativo di farlo tacere per sempre; nonostante la terribile caduta, Bran riuscirà tuttavia a sopravvivere, al prezzo però di rimanere paralizzato per sempre.

Arrivati a questo punto della storia, risulta doveroso constatare come sia assai complesso riassumere in poche righe un racconto articolato e stratificato quale `Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco`, volendone anche solo tracciare le premesse fondamentali. Esorbitante è infatti la quantità di personaggi chiamati in causa dall’autore, una schiera infinita di caratteri e di comparse, numerosa al punto da rendere necessaria la presenza di un’appendice al termine di ogni volume per ricordare l’appartenenza di ogni nome a una determinata Casata o sfera d’influenza. Sono d’altronde loro, i personaggi, la vera ragione del successo della saga di Martin, e sono sempre loro a far sì che la gamma delle emozioni rappresentate sia tanto vasta e verosimile. Martin, infatti, si adopera per cesellare ciascuno dei suoi caratteri in maniera certosina, donandogli ogni volta un’identità, una storia e uno specifico obiettivo da raggiungere, arrivando di conseguenza ad implementare incredibilmente il processo di identificazione del lettore. Avremo così modo di incontrare cavalieri indomiti e valorosi, legati ai propri ideali al punto da difenderli con la vita, al pari di cortigiani ipocriti e spietati, disposti a tutto pur di ottenere il potere. Vi saranno fanciulle ingenue, fatalmente soggiogate dai loro stessi sogni, e altre ancora determinate a lottare per il proprio destino. E, di nuovo, cattivi così cattivi da turbare i sonni del lettore, personaggi tanto spaventosi da far tremare interi reami, guerrieri intrepidi, ribelli anticonformisti, servi astuti e mercenari spietati. Ciò che si presenterà davanti al lettore, in breve, sarà una vera e propria parata di identità uniche e di personalità peculiari, tutte diverse e perfettamente rappresentate, abitanti un mondo vastissimo che, per quanto riguarda le pulsioni e i sentimenti umani, di fantasy ha davvero ben poco.

Nonostante l’innegabile impegno profuso da Martin nella definizione di tutti i caratteri, vi è tuttavia una categoria dotata senza dubbio di un’introspezione privilegiata. Volendone dare una definizione, si potrebbe parlare in proposito di “grotteschi”: si tratta infatti di una serie di personaggi ritenuti in qualche modo inadatti alla vita sociale, poiché rappresentanti una regressione rispetto all’ordine naturale delle cose. Fra essi, ad esempio, possiamo annoverare Jon Snow, l’unico bastardo in una famiglia di alta nobiltà, oppure Daenerys Targaryen, la principessa vagabonda, nata sotto l’ombra dell’esilio e costretta dal fratello Viserys a un matrimonio combinato. Anche Arya Stark può essere inclusa in questa cerchia, a causa della propria ferma volontà a non sottostare al destino che l’attende; o ancora Bran, che dopo la caduta si risveglia storpio e abbandonato, privato per sempre del proprio sogno di diventare cavaliere.

“Grotteschi” sono dunque i giovani, i bastardi, i reietti, in breve tutti coloro che si ritrovano ad essere perseguitati a causa della propria razza, del proprio sesso o di handicap fisici. Eppure, allo stesso tempo, sono questi i personaggi prescelti da Martin per essere i veri protagonisti della saga, gli unici dotati di un punto di vista compiuto sul mondo intorno a loro. Ascoltando e apprendendo, infatti, i cosiddetti “grotteschi” mostrano di possedere una visione alternativa della realtà, diventando consapevoli tanto dei limiti quanto delle possibilità che li circondano. In virtù dello svantaggio iniziale, essi si ritrovano dunque a dover far leva su qualità diverse da quelle dalla maggioranza, rivelandosi così capaci di virtù e talenti inaspettati.
Primo rappresentate e più strenuo difensore della categoria dei “grotteschi” è senza alcun dubbio Tyrion Lannister, ultimogenito di Castel Granito e fratello minore di Jamie e Cersei. Tyrion è di fatto uno dei personaggi centrali della storia di Martin, oltre che l’unico membro della sua famiglia ad essere – per ora – dotato di un proprio autonomo punto di vista. Tyrion è però, soprattutto, un nano, e questa è la prima cosa che chiunque arriva a notare della sua persona.

Non c’è davvero nulla di buono nell’essere l’erede di una delle Casate più potenti dei Setti Regni e, allo stesso tempo, portatore di una disabilità fisica così evidente. Tyrion, in questo senso, è un vero e proprio paradosso vivente e Martin non manca mai di ricordarcelo, descrivendo spesso e volentieri la sua difficoltà nel far imporre la propria voce, così come nel camminare o nel districarsi in un mondo fatto su misura per gente alta il doppio di lui. Il Mezzuomo, il Folletto: sono questi gli appellativi con cui anche il popolo è solito a chiamarlo, e persino sua sorella e suo padre sembrano considerarlo nient’altro che un mostriciattolo petulante. Dal canto suo, Tyrion è perfettamente consapevole della propria condizione, avendo dovuto fare i conti fin dall’infanzia con il disprezzo e la derisione negli occhi di chi lo guardava; allo stesso tempo, però, egli ha saputo volgere tale circostanza a proprio favore, arrivando a maturare una visione della realtà completamente diversa da quella della maggioranza.
Se tuo padre è l’uomo più potente dei Sette Regni,di certo la gente non si aspetterebbe di vederti orinare dall’alto della Barriera, così come di frequentare i bordelli più malfamati della Strada del Re: eppure Tyrion fa tutto questo. Allo stesso modo, mentre è del tutto normale vedere un Lannister vittorioso ad un torneo, assai meno comune è incontrarlo con qualche tomo polveroso fra le mani. A tal proposito, Tyrion è dell’opinione che esistano cose di gran lunga più importanti dell’onore e del rispetto – leggere o inseguire prostitute, per esempio – come del fatto che l’arroganza o il denaro non siano necessariamente l’unica soluzione ai problemi.

Per queste e per molte altre ragioni, il piccolo lord è senza dubbio una compagnia assai divertente con cui passare una serata, seppure talvolta decisamente insolente. Egli sembra infatti avere la fastidiosa capacità di mettere in ridicolo tutti i paradossi del pensiero altrui, senza peraltro dimostrare alcuna remora nel condividere le proprie osservazioni. Il peculiare umorismo di Tyrion, tuttavia, non sembra limitarsi ai meri motteggi di spirito, arrivando spesso e volentieri a celare un significato ben più profondo. E’ così che, nel corso delle sue avventure, il giovane Lannister si dimostrerà in grado di analizzare la realtà con grande acume, cogliendone ironicamente ogni contrasto e idiosincrasia, per poi rielaborarla e volgerla a proprio favore. Basti pensare al successo ottenuto nella Valle di Arryn, dove egli giungerà a sfruttare l’assurdo sistema giudiziario dei Sette Regni a suo pro; oppure alla manipolazione a cui poco dopo sottoporrà i barbari delle montagne, ottenendo il loro servizio incondizionato a patto di assecondarne le ambizioni.

Vi saranno occasioni, tuttavia, in cui Tyrion deciderà di utilizzare la propria intelligenza per fini assai più nobili della mera sopravvivenza personale, mettendo in campo concetti quali l’autodeterminazione e il talento individuali. Secondo il Folletto, infatti, è la vita stessa ad essere fondata su una serie inesauribile di contraddizioni e contrasti, fra i quali l’uomo rappresenta senza dubbio l’eccezione più peculiare, essendo l’unica creatura dotata di una propria sensibilità e autocoscienza. Pertanto, nessun condizionamento esterno potrà mai essere abbastanza forte da ostacolare le proprie scelte personali, così come nessun difetto fisico potrà mai definire la vera natura di qualcosa. Sarà proprio questo il motivo per cui, ad un certo punto, egli deciderà di aiutare Bran Stark, offrendogli in dono il progetto di un sella speciale per permettergli di cavalcare di nuovo. «Nel mio cuore c’è un debole per storpi, bastardi e cose spezzate», si giustificherà di fronte al fratello Robb, sospettoso nei confronti di un gesto così altruista da parte di un Lannister. A ben vedere, infatti, Tyrion decide di aiutare Bran non tanto per un mero tornaconto personale, quanto unicamente per permettere ad una piccola “cosa spezzata” di essere di nuovo uguale a tutti gli altri. Ed è qui che risiede la vera grandezza del personaggio, quell’autenticità disinteressata in grado di renderlo un vero outsider in una società come quella di Westeros, basata per il resto su valori vuoti ed esteriori quali il nome di nascita, il possesso di denaro o la potenza militare.
Oltre a Bran, tuttavia, vi sarà anche un altro membro di casa Stark a cui Tyrion, più di ogni altro, darà un aiuto decisivo; si tratta, in proposito, di un ulteriore degno rappresentate della categoria dei “grotteschi”, oltre che di uno dei protagonisti assoluti dell’intera saga: l’aspirante Guardiano della Notte Jon Snow. [Continua a pagina 2 – Clicca qui!]
FINALMENTE *-*