`Memorie di una Geisha` di Arthur Golden • Amanti del Crepuscolo
Ci sono voluti ben 10 anni d’intenso studio e di certosina documentazione, affinché Arthur Golden, laureato in storia dell’arte ad Harvard ed esperto in cultura giapponese, arrivasse a pubblicare nel 1997 questo romanzo, un grande best seller, che deve la sua popolarità anche grazie alla trasposizione cinematografica di Rob Marshall.

Il memoriale della geisha Chiyo-Sayuri è il frutto dorato della fantasia dell’autore, che si tramuta in una narrazione fluente e accattivante, una commuovente storia d’amore e di emancipazione, ricca di personaggi memorabili, ben caratterizzati sia caratterialmente che fisicamente -anche se talvolta sfioranti la linea dello stereotipo. Tuttavia, ‘Memorie di una Geisha’ rimane pur sempre un romanzo condotto dalla penna di uno scrittore occidentale, per di più uomo. Nel corso della lettura ci si chiede, infatti, se ciò che Golden ci racconta riguardo al mondo orientale, così differente da quello occidentale, e soprattutto questo mondo tipicamente femminile, possa considerarsi un affresco veritiero.

Riguardo a questo, di grande interesse è il risvolto giudiziario seguito alla pubblicazione del libro. Sarebbe stata Mineko Iwasaki, famosissima geisha negli anni ’60 – ’70, a fornire a Golden innumerevoli particolari della vita comunitaria delle geishe, con la promessa di assoluto riserbo riguardo alle fonti di provenienza; tali particolari sarebbero stati disconosciuti da lei stessa dopo la traduzione del libro in giapponese, tanto da portarla a intentare una causa giudiziaria contro lo stesso Golden, con l’accusa di aver disonorato il mondo delle geishe, avendole dipinte come prostitute di alto bordo vendute al miglior offerente.
Il contenzioso ebbe fine al di fuori dei tribunali con il pagamento di una grossa somma dall’entità sconosciuta. Ciò che purtroppo è certo, è che l’intera vicenda non riuscì a lenire completamente il fastidioso pregiudizio che gli occidentali nutrono per le geishe e, in generale, per la cultura giapponese. Personalmente, non ho riscontrato nel libro elementi talmente offensivi da giustificare un intervento della magistratura e, anzi, mi permetto di dire che, sebbene il romanzo di Arthur Golden non sia il primo libro che parla di geishe, ha il grande merito di riportare la splendida testimonianza di un mondo e di una tradizione che stanno rapidamente e inesorabilmente scomparendo.
La storia di Sayuri ha effettivamente alcune analogie con quella di Mineko. Entrambe furono vendute dai propri genitori ad un okyia ed entrambe sbocciarono in grazia e bellezza, divenendo le geishe più celebri della loro epoca. Tuttavia, la principale e sostanziale differenza è che, mentre la storia di Sayuri è ambientata fra gli anni ’20 e ’40, quella di Mineko risulta molto più attuale e verosimile.

Dalle pagine traspare l’assoluto amore che Golden nutre per la cultura giapponese, con le sue immortali tradizioni e il raffinato estetismo. Un estetismo che diventa feticismo e che si esprime nelle frequenti e minuziose descrizioni dei kimono e della vestizione, del trucco che trasforma il viso in una maschera di porcellana, delle calzature e delle acconciature. Una liturgia ossessiva e inalienabile, che Golden riesce a penetrare con un rispetto e una sensibilità inconsueti.
Dalle pagine del libro emerge anche l’assoluta contraddizione tipica di questo mondo: le geishe, coltissime e accuratissime studiose dell’arte dell’intrattenimento, esperte e feline conoscitrici di uomini, risultano allo stesso tempo legate a una tradizione superstiziosa, che le porta a leggere il proprio oroscopo più volte al giorno e a trascurare le decisioni veramente fondamentali per il proprio futuro, come affermerà Nobu nei confronti di Sayuri.
Golden riesce a scoprire con delicatezza ogni velo che ricopre questo mondo segreto, incappando tuttavia in qualche grossolano errore: una geisha, ad esempio, non si sarebbe mai abbassata ad allacciare le scarpe di un uomo, e anche la descrizione dell’organizzazione dell’okyia non è propriamente corretta. Piccoli particolari, che faranno storcere il naso solo ai più attenti e puntigliosi lettori.

Tuttavia la figura della geisha che traspare da queste pagine, rimane fra le meglio caratterizzate di tutta la più moderna produzione letteraria.
L’ estetica di una geisha deve rappresentare al contempo la fragilità della carne e la forza dello spirito; quando lavora, una geisha deve controllare ogni minimo particolare del proprio essere, ogni gesto, ogni movimento, ogni emozione: perfino la modulazione del respiro, sempre impercettibile, deve essere lieve e leggera o viva e affannosa a seconda delle occasioni. Una geisha è un’opera d’arte, un insieme di gesti, posture e atteggiamenti che la contraddistinguono e che contengono in sé tutte le sfumature di quello che noi occidentali definiamo come “grazia”. Una geisha è la quintessenza della seduzione, la capacità di coniugare spontaneità e artificio, che si elevano in quel grado di raffinatezza sublime tipica di tutta la cultura giapponese.

La sua figura deve essere snella e slanciata, il suo volto pallido come un fiore di ciliego, perfetto e imperscrutabile, emblema dell’onore della propria professione. Le labbra sanguigne devono essere capaci di mostrare tutta una gamma di sorrisi, dal malinconico al brioso, e gli occhi dovranno avere il potere di mettere in ginocchio anche il più rispettabile fra gli uomini. I capelli corvini sempre raccolti in acconciature antigravitazionali, risultano essi stessi emblema del seducente erotismo (momoware) che accompagna la venuta di una geisha. Ai piedi solo sandali okobo e tabi, delle calze di seta, per far intuire la sensualità del corpo che si trova sotto il kimono.
La conversazione di una geisha, sempre brillante ed elegante, non tratta mai temi concreti, ma si svolge in poetiche perifrasi da Settecento francese, condite da battute ironiche e dissacranti.

Tradizionalmente le geishe erano il “barometro dello stile”. Erano loro le depositarie delle ultime tendenze: furono, ad esempio, le prime ad indossare abiti occidentali. Nel corso del tempo, hanno però assunto la posizione diametralmente opposta, ossia sono diventate detentrici della tradizione, tanto da essere elevate a tesori nazionali. Questa dualità storica nel ruolo delle geishe, viene chiaramente dimostrata dalla storia di Sayuri, la cui carriera viene interrotta dalla guerra, ma rinasce in seguito, mancante però dell’ancestrale poesia che albergava in tutta la prima parte del romanzo.
La proverbiale ingenuità di Sayuri nei confronti delle vicende che la riguardano, spesso aspramente criticata, risulta in realtà l’unica vera voce che poteva risultare in grado di penetrare con delicatezza e senza falsi pregiudizi un mondo tanto proibito quanto fragile, che tuttora vive del fascino derivato dai suoi misteri.

Da ‘Memorie di una Geisha ‘emerge la realtà di una condizione femminile che plasma e domina gli stessi personaggi, evidenziandone i tratti caratteriali più nascosti, facendo vibrare corde sepolte, rievocando un’antica sottomissione presente nel codice genetico di ogni donna. E’ proprio per questo fatto che tutte le donne coinvolte nella storia, anche le più negative, risultano care al lettore, proprio perché accomunate da questa dipendenza culturale, che accentua e esaspera le caratteristiche di ognuna.
La presenza eterea di queste ninfe della seduzione, risulta infatti un perfetto schermo per celare l’ambiguità di un’esistenza prigioniera, dettata dalla competizione e dalla crudele selezione naturale. Ecco perché migliori amiche come Zucca e Sayuri si arrecheranno dolore a vicenda e la crudele e bellissima Hatsumomo verrà completamente distrutta dalla paura di due occhi color grigio-azzurro.
La storia di Sayuri segue la metafora del petalo di ciliegio trasportato dal fiume: non era nata per una vita da geisha, ma riesce ad abbandonarsi alla corrente del suo destino, riuscendo sempre a trovare un anfratto da cui filtrare, adattandosi a qualsiasi condizione che la vita arriva ad imporgli.
Sayuri, attraverso le sue parole, riesce perfettamente ad esprimere la tragicità della natura di geisha, “un’artista del mondo che fluttua”: né cortigiane né mogli, vendono la loro abilità, non il loro corpo, portano con sé un mondo di sola bellezza; ma a una geisha non è concesso desiderare, provare dei sentimenti: a una geisha non è concesso di amare.

Lo stoicismo con cui Sayuri lega il suo cuore al destino del Presidente è veramente toccante; è consapevole che una geisha potrà essere sempre e solo una moglie a metà, un’amante del crepuscolo. Eppure, anche se il finale non è così “lieto” come in apparenza può sembrare, Sayuri finalmente sente che per la prima volta non deve più preoccuparsi di quello che sarà di lei, prova l’ingenua e l’irrefrenabile felicità di una bambina che trova le sue preghiere esaudite.
“Dopotutto, queste non sono le memorie di una imperatrice, né di una regina…
sono memorie di un altro tipo”
Credits:
• IMAGE 6: ‘Of the Night: A Dream of you’ by Zhang Jingna©
http://zhangjingna.com/
• IMAGE 7: ‘Sakuran II’ by Zhang Jingna©
http://zhangjingna.com/
AMO <3