Mark Ryden • Welcome to the Silent Circus!

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E’ ormai risaputo: l’assurdo, il miracoloso e lo stravagante sono fattori che, nel bene e nel male, affascinano la mente umana fino ai limiti dell’irrazionalità. Pensate, ad esempio, a quel buon uomo che nel Novembre 2004 decise di comprare su eBay, per 28mila dollari, un toast sul quale 10 anni prima la griglia aveva “miracolosamente” impresso il volto della Vergine Maria; senza dubbio un trionfo per l’amabile signora che incassò l’assegno, un risultato che avrebbe scatenato l’invidia di personalità del calibro di Marcel Duchamp e Damien Hirst! Ma cosa c’entra Mark Ryden con questa storia?

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Beh, tanto per cominciare, Mark Ryden ha un occhio decisamente acuto per l’assurdamente miracoloso, il grottesco e il soprannaturale; nel suo mondo, per fare qualche esempio, è normale trovare un direttore d’orchestra con la testa a forma di zucca che dirige una bizzarra accozzaglia di bambini, di cani dal volto demoniaco e di uccelli giganti, mentre Gesù Cristo spunta da un orologio a cucù e un Abramo Lincoln in miniatura accompagna una bambina nella sua lettura; e che dire di quella Biancaneve, rappresentata come un’odalisca in età prepuberale, che languidamente posa insieme a un coniglietto rosa in equilibrio su una bistecca, mentre sullo sfondo emerge dalla foschia un paesaggio preistorico?

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L’arte, si sa, riflette sempre più spesso il personalissimo universo dell’artista: un mondo a metà fra il fittizio e il reale, intessuto di pura estasi emotiva, attraverso il quale il genio creatore è in grado di esprimere i propri sentimenti, avvalendosi di simboli, colori, metafore e illusioni. Lo spettatore viene così coinvolto da questo universo alternativo, da questa realtà a cui non appartiene ed è ben felice di entrare a far parte di quel “sogno”, così accuratamente ideato e plasmato.

In particolare, l’immaginifico mondo di Mark Ryden, appartiene al limbo del nostalgico e dell’inquietante,  e percorre quella sottile linea che separa il criptico dal cliché. Sedotto dalle superfici infinitamente dettagliate e al contempo purissime come vetro, lo spettatore arriva così a confrontarsi direttamente con l’innocenza dell’infanzia e i recessi più misteriosi della propria anima; una sottile inquietudine attraversa le opere di Mark Ryden, un impalpabile fremito di oscurità in grado di disvelare i particolari più tenebrosi dell’esistenza nascosti sotto uno strato di patinata cultura kitsch.

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Uno dei pochissimi ritratti rintracciabili di Mark Ryden è una fotografia in bianco e nero, dove l’artista posa nello studio davanti ad un suo dipinto, pennello e tavolozza in mano, il piglio dell’esteta e l’eleganza di un gentiluomo del XIX secolo; Ryden, in verità, non appartiene propriamente all’epoca vittoriana- sebbene nutra per essa una spasmodica venerazione -, ma può essere considerato a tutti gli effetti un figlio del nostro tempo.

Mark Ryden nasce, infatti, nel 1963, in Oregon, un anno cruciale per la storia del mondo: di lì a poco, il presidente Kennedy sarà assassinato e l’America perderà definitivamente la propria innocenza. Non è forse un caso, quindi, che una delle caratteristiche più notevoli della pittura di Ryden sia una nostalgia morbosa per il mondo e l’arte del passato; lo dimostra, ad esempio, la sua attenzione maniacale per i dettagli: prendersi il tempo per lavorare sui più minimi particolari del proprio lavoro è infatti un lusso che pochi possono permettersi all’interno dell’irrefrenabile cultura contemporanea.

D’altra parte, l’aspetto artigianale fu considerato estraneo al mondo dell’arte per gran parte del XX secolo. Quest’erosione nella fede nelle tradizione artigiana iniziò con il rifiuto degli impressionisti ai canoni accademici della bellezza e della pratica pittorica, raggiungendo il culmine con la corrente dadaista, quando gli artisti conclusero che, dopo le atrocità della Prima Guerra Mondiale, occorreva respingere per principio tutti i valori che caratterizzavano il passato della civiltà europea.

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Mark Ryden, al contrario, riabbraccia coraggiosamente l’antica vocazione artigianale della tradizione europea, applicandola sia nella composizione dei propri quadri che nella costruzione delle rispettive cornici. Non è raro, infatti, che Ryden privilegi uno stile antico, quasi barocco, per incorniciare le sue opere, tanto da compiere perfino un viaggio in Thailandia solo per imparare l’arte dell’intaglio.

Nato inizialmente come illustratore, Mark Ryden imparò successivamente a dipingere in acrilico, per poi consacrarsi definitivamente alla pittura ad olio; il suo uso raffinato del colore e il gusto per la miniatura, infatti, sono un chiaro tributo all’arte fiamminga, in particolare a quella di Hieronymus Bosch e di Antoon van Dyck.

Ma che cosa rende i dipinti di Mark Ryden così coinvolgenti?
Il punto cruciale, a parere di molti, è la strategia tipicamente surrealista di combinare immagini apparentemente non correlate fra loro per comporre scene che mai potranno vedersi nella realtà. Il maestro in questo senso fu Salvador Dalì, il quale affermò che la scelta dei soggetti da rappresentare nei suoi dipinti era per la maggior parte casuale e non coinvolgeva alcun pensiero conscio di sorta. Allo stesso modo, Mark Ryden si basa sull’irrazionale per poi sviluppare un significato intuitivo nella sua combinazione di materia, cercando tuttavia di mantenere sempre un contatto con il proprio tempo; non è un caso quindi che l’enorme quantità di informazioni a più livelli presente in ogni suo singolo quadro contribuisca sostanzialmente all’impatto visivo della sua arte.

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Tuttavia, per Mark Ryden il mistero che i suoi dipinti suscitano è ben più importante del messaggio; anzi, a volte il mistero stesso risulta essere il messaggio! Interrogato sul simbolismo e sul significato dei propri quadri, ricchi di allegorie provenienti da testi alchemici, icone, parole in lingue straniere e numerologia, Ryden rimane volutamente oscuro. Preferisce che il suo racconto rimanga criptico, in modo da evocare nell’osservatore un senso di meraviglia e di curiosità, piuttosto che produrre un lavoro che possa essere rapidamente decifrato da chiunque. E infatti, mentre la sua maestria tecnica è fuori discussione, ciò che spinge maggiormente le persone a reagire in modo viscerale alla sua arte è la volontà di rapportarsi con il suo folle immaginario, per poi comprenderlo e, in un certo senso, entrarne a far parte come ospiti privilegiati.

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Nessuna favola merita di essere chiamata tale se, oltre a meravigliare, non spaventa un po’. Ryden, tuttavia, non sembra trovarsi a proprio agio con il lato oscuro tradizionalmente inteso, incarnato nelle figure dei soliti orchi, troll o streghe malvagie, e decide quindi di utilizzare una cifra rappresentativa decisamente più subdola e sottile. Mark Ryden non celebra il male, ma presenta la propria arte come un’elaborata sciarada volta a raffigurare il lato più feroce della vita, mascherando il tutto con un soffice involucro di infanzia e purezza. L’artista focalizza il proprio sguardo su tutto ciò che all’apparenza può presentarsi come dolce o brillante, idealizza l’innocenza, e al contempo lascia trasparire senza fatica un’ombra che tormenta la sua nostalgia, un’inquietudine che rende ogni figura ambigua e sinistra.

Nel rappresentare questo continuo binomio fra il sogno bucolico dell’infanzia e la sottile insinuazione della morte, Ryden si ispira all’arte grottesca legata alla tradizione del Carnevale, quello tardo medievale, nato con lo scopo di celebrare i fasti degli ultimi giorni prima della sobrietà della Quaresima. In un clima di baldoria e di impertinenza verso le autorità, con le sue maschere, i mostri, i giochi, i lazzi e le processioni, il Carnevale accosta infiniti binomi: spirituale e materiale, buono e cattivo, giovane e vecchio, maschio e femmina, identità comune e alter ego mascherato. Mark Ryden mescola tutti questi elementi e trasforma il proprio spettatore in un prigioniero, richiamandone la meraviglia e la risata e, al contempo, innescandone l’ansia.

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I dipinti di Mark Ryden devono tanto ai surrealisti quanto alle strategie di mercato che regolano la pubblicità e sono in grado di rappresentare un mondo che, come in un film horror, siamo curiosi d’ammirare e, al contempo, felici di non farne parte. Ryden mitiga tutto con un sottile velo di ironia che non necessariamente nasconde una critica: ciò che è oscuro, quindi, viene illuminato dalla potenza della luce solare, ciò che è morboso pulsa irrefrenabilmente di vita e ciò che è perverso è addolcito da un’innocenza tale che arriva ad apparire come il solo frutto della nostra mente. Sì, Mark Ryden ci invita in un mattatoio travestito da manicomio, ma che in realtà è anche un luna-park, in cui le distorsioni della carne e della mente sono la nostra maggiore fonte di divertimento.

E’ così che ci lasciamo incantare da questo girotondo psichedelico di api, coniglietti e  altri inquietanti animaletti ghignati, numerologia e idoli religiosi, fluidi corporei e tonnellate di occhi spalancati. Raffigurare personaggi con occhi enormi alla Margaret Keane è un sottile trucco per stuzzicare il narcisismo dello spettatore, che si sente osservato e quindi, in qualche modo, privilegiato e autorizzato ad entrare a far parte di quell’universo che lo invita espressamente; tuttavia, mentre gli sguardi dei personaggi di Margaret Keane rappresentano delle vittime, quelli di Ryden mostrano la natura di creature ambigue e consapevoli di esserlo.

Mark Ryden utilizza i bambini come protagonisti per i propri quadri in quanto individui in grado di nutrire ancora legami molto forti con il mondo dell’anima; il dolore, la paura e l’ansia sono quindi mediati da figure di ragazzini, che in piccoli dettagli esternano il lato più oscuro dello spirito umano: c’è una svastica sulla camicetta rosa del bimbo sul triciclo, mentre è una frusta quella che un’altra bambina tiene in mano, per non parlare della diafana fanciulla vestita di carne!

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In mezzo a tutto il rosa, ai coniglietti e alle api, inoltre, la figura di Abraham Lincoln continua a spuntare nei dipinti di Ryden; sì, proprio il vecchio Abe, l’autodidatta nato nei boschi del Kentucky, che fu prima traghettatore, poi magazziniere, e poi ancora postino, geometra, avvocato, politico e infine presidente degli Stati Uniti; Lincoln, come tutti sapranno, guidò l’America attraverso la sua prova più difficile, la emancipò dalla schiavitù, governò con onestà e rigore fino a quando l’attore John Wilkes Booth gli sparò alla nuca, al terzo atto della commedia ‘Our American Cousin’ al Teatro Ford di Washington. In breve, più un’icona che un essere umano. Mark Ryden sembra ossessionato dalla figura di Lincoln, dall’aura di pura leggenda che lo circonda e che lo eleva a una condizione super-umana, ma soprattutto dal meccanismo che gli permette ancora oggi di esercitare il proprio fascino imperituro.

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Ryden è infatti totalmente ammaliato dall’attrattiva derivante da sistemi e strutture, tanto che confessa che, se non fosse stato un artista, avrebbe potuto benissimo ricoprire il ruolo di ingegnere o di matematico. Che si tratti di fama, di meccanica quantistica, di medicina o della Cabala, attraverso i suoi dipinti Ryden propone una riflessione sulle strutture e sui simboli e sul modo in cui essi sono in grado di interagire fra loro.

Mark Ryden sembra di fatto convinto che vi sia una cosmologia in grado di spiegare il tutto e come questa spiegazione sia stata  una costante nel corso dei secoli, finendo per essere naturalmente codificata nella cultura di ogni epoca. I riferimenti all’idolatria e al mondo spirituale, infatti, abbondano in tutti i suoi dipinti, un vero e proprio atto di coraggio in una cultura moderna scettica e nichilista; Ryden evita di essere dogmatico, ma ci suggerisce come piccoli frammenti di verità si possano trovare in un’inesauribile varietà di fonti.

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La religione occupa un ruolo fondamentale della poetica di Ryden, che guarda in particolar modo a un Cattolicesimo moderno e per certi versi “dissacrante”, rappresentando, ad esempio, un giovane e avvenente Gesù seduto ad un piano insieme a tre zuccherose coriste o mentre conduce l’arca della salvezza tra morbide nuvole di zucchero filato, traghettando “stars” di famosi marchi pubblicitari americani come l’omino Michelin o il bimbo sorridente che pubblicizza i Donuts.

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Il sangue e la carne, inoltre, elevati a simbolo delle transitorietà e della mercificazione di una società al limite del collasso, si rincorrono fra colori glassati, tramutandosi in palloncini, abiti e elementi naturali, evidenziando l’ossimoro esistenziale di un mondo malato che nasconde la propria infermità dietro un’apparenza dolce e infantile.

Mark Ryden sembra avere un punto di vista privilegiato e inquietante sui nostri desideri e sui nostri incubi, insieme a una rara capacità per la condivisione che gli permette di mettere a nudo, in tutta la loro magnificenza, le sue esplorazioni in questo mondo fantastico. Il suo processo artistico sembra una sorta di lucido sogno ad occhi aperti, una meditazione su un nulla su cui si può liberamente scaricare l’esorbitanza di mezzi di un tempo sovraccarico; il vuoto prende le sembianze, quindi, di un mondo invisibile, composto con la logicità e la coerenza di cui solo una mente razionale votata alla fantasia è capace.

Mark Ryden non cerca di spiegare i suoi dipinti, perché, probabilmente, non è neppure in grado di farlo. E’ semplicemente un visionario, una mente matematica inspiegabilmente affascinata dall’illogico, in grado però di tradurre in arte le sincronicità e le prospettive che legano il nostro bizzarro e imperfetto mondo caotico.

Comments
4 Responses to “Mark Ryden • Welcome to the Silent Circus!”
  1. RigelGrace ha detto:

    Credits:
    • HEADER IMAGE: `Awakening the Moon` by Mark Ryden©
    • TITLE IMAGES: `Incarnation` e `Yoshi` by Mark Ryden©
    • IMAGE 1: `The Pumpkin President` by Mark Ryden©
    • IMAGE 2: `Snow White` by Mark Ryden©
    • IMAGE 3: Portrait of Mark Ryden©
    • IMAGE 4: `The Tree of Life` by Mark Ryden©
    • IMAGE 5: `The Meat Train` by Mark Ryden©
    • IMAGE 6: `Virgin and Child` by Mark Ryden©
    • IMAGE 7: `Saint Barbie` by Mark Ryden©
    • IMAGE 8: `Grotto of the Old Mass` by Mark Ryden©
    • IMAGE 9: `Allegory of the Four Elements` by Mark Ryden©
    • IMAGE 10: `The Piano Player` by Mark Ryden©
    • IMAGE 11: `The Grinder` by Mark Ryden©

  2. alegbr ha detto:

    che meraviglia questi quadri, ricordano antichi mondi di antiche fantasie, e anche le copertine dei dischi dei Genesis anni 70.

    un saluto

    alex

  3. Hassan ha detto:

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