`Le Jour des Corneilles` di Jean-Christophe Dessaint • Hymne à l’Amour

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C’è stato un tempo, anni prima dell’avvento dell’era digitale, in cui i lungometraggi animati erano tutti rigorosamente disegnati a mano. I cultori del cinema d’animazione più reazionari, seppur non negando le incredibili potenzialità rappresentate da software e tecnologie di ultima leva, guardano con insanabile nostalgia a quell’epoca, in cui le matite e un lavoro certosino erano in grado di generare veri e propri capolavori; la magia, infatti, risiedeva nel gesto della mano dell’animatore che, con soli pochi tratti, era in grado di dare vita e movimento a una figura duo-dimensionale, diventando fautore di un autentico incantesimo della creatività umana, oggi apparentemente irripetibile in quanto disperso nella notte di pixel voluta dalle principali Major americane. In questo contesto storico, `Le Jour des Corneilles` si pone come obiettivo quello di recuperare la tradizione e dare nuova vita al disegno animato, cercando comunque di distinguersi dai suoi antenati.

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Quello dei bambini è spesso considerato un “cattivo pubblico” e, pertanto, non sempre trattato con riguardo dai creatori di film d’animazione. Il target “film per bambini” sembra portare con sé l’obbligo di dar vita a opere in cui l’ingenuità e la banalità regnano sovrane, a volte ostentate a tal punto da rendere vana e stucchevole la morale che avrebbero il compito di diffondere. `Le Jour des Corneilles`, dal canto suo, rappresenta una bella eccezione a questa regola; non a caso il soggetto scelto da Jean-Christophe Dessaint, al suo esordio registico, è perfettamente adatto a un pubblico di giovani e giovanissimi, anche se originariamente tratto da un romanzo per adulti.

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L’omonimo romanzo di Jean- François Beauchemin affronta questioni estremamente importanti e delicate che, tuttavia, per quanto possano essere complesse, sono di interesse tanto per i bambini quanto per gli adulti. La differenza fra pubblico adulto e pubblico infantile, infatti, sostiene Dessaint, risiede non tanto nel soggetto, ma nel modo in cui si sceglie di raccontarlo. `Le Jour des Corneilles` si pone quindi l’arduo e pregevole compito di veicolare un messaggio potente ed essenziale attraverso un linguaggio adatto a tutte l’età, obiettivo pienamente raggiunto da Amandine Taffin, qui autrice della sua prima sceneggiatura.

`Le Jour des Corneilles` racconta una storia di forti passioni, di terribili sofferenze e di tragedie senza nome, mescolando efficacemente il piano realistico con quello fantastico. A farla da padrona è la natura selvaggia e incontaminata, la bellezza mozzafiato di una foresta e dei suoi abitanti, che diventerà teatro di passioni travolgenti, di momenti di estrema tenerezza e di atti di ignobile crudeltà. Eppure, il fulcro e il motore di tutte le vicende che si dipaneranno sotto il nostro sguardo, sarà rappresentato da un solo elemento, che è anche il più nobile fra tutti i sentimenti: l’amore. Nel corso della pellicola potremmo infatti venire in contatto con i più diversi tipi di amore, da quello paterno e materno a quello filiale, da quello provato per un amico a quello che si trasforma in gratitudine verso il proprio benefattore, da quello cercato a quello negato, da quello desiderato a quello frustrato; protagonisti di tutto questo  due personaggi, un padre e un figlio, due personalità così articolate e commuoventi da lasciare una traccia indelebile nel cuore dello spettatore.

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La regia di Jean- Cristophe Dessaint, seppur alla sua prima esperienza, fa di più che raccontare una semplice storia, in quanto si rivela capace di rendere la pellicola un’efficace e drammatica riflessione sull’insolvibile contrapposizione fra ragione e barbarie. La voce della ragione, in questo caso, viene attribuita contro qualsiasi aspettativa al personaggio che, ad un primo sguardo, sarebbe il meno adatto a darvi corpo: si parla dell’iperattivo, eccitato, curioso e irrefrenabile Fils (Lorànt Deutsch), niente più che un bambino ingenuo e scapestrato, eppure forte della volontà di emanciparsi dalle barbarie che sembra destinato a ereditare, provenienti dal suo disperato e furioso padre, l’orco Courge (Jean Reno).

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Tutto in questa pellicola gioca con l’assurdo e l’inaspettato, capovolgendo i canoni della fiaba e stupendo lo spettatore ad ogni fotogramma. Ne `Le Jour des Corneilles` non è il bosco, il territorio dell’ansia, della minaccia e dell’ignoto per antonomasia, a spaventare il nostro protagonista, ma è inaspettatamente il mondo degli uomini a cui questo cugino francese di Mowgli viene comandato di stare alla larga. E’ così che, ribaltando archetipi e aspettative, il film cerca di trasmettere un’importante lezione di vita senza mai strafare, ma componendo un delicato distillato di intelligenza e sensibilità.

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Nulla è annacquato o edulcorato ne `Le Jour des Corneilles`: la storia è ruvida e spietata come i deserti ghiacciati del Nord e i personaggi a cui dà casa sono derelitti  isolati dal mondo civile. Le inquadrature spaziano nei meandri di una fitta foresta abitata da orchi, creature magiche e bimbi perduti, tutte figure familiari, eppure rielaborate efficacemente da Dessaint che dona al figlio indifeso il ruolo di eroe e paladino della verità e all’orco quello di anima sofferente e tormentata.

Dopo la tragica morte della moglie durante il parto, un uomo di nome Courge rimane completamente solo nella sua capanna nel cuore della foresta, lontano dall’umanità e da qualsiasi forma di vita o di speranza, a eccezione del suo neonato figlio. Resistendo alla tentazione di abbandonare il bambino alle belve della foresta, in quanto apparente fautore della morte della propria amata, Courge decide di tenerlo con sé e di insegnargli a sopravvivere nei meandri di quel mondo selvaggio, rendendolo per sempre estraneo alla civiltà e al contatto con qualunque altro tipo di creatura.

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Courge non è realmente malvagio e non è un divoratore di bambini, seppur tuttavia presenti i tratti dell’orco al completo: forte come un gigante, caccia e uccide gli animali selvatici a mani nude, banchetta con carne fresca ed è capace di abbattere enormi tronchi d’albero durante i suoi frequenti momenti d’ira. Courge è prepotente, autoritario e crudele, eppure viene visto dal figlio come una sorta di semidio a conoscenza di tutti i segreti della natura di cui egli stesso sembra fautore, capace di conversare con il vento e le stelle e, allo stesso tempo, di costruire trappole, di scuoiare le sue prede come se stesse giocando e di misurarsi contro mostri reali ed immaginari.  Lo stesso bambino, appellato dal padre con il solo nome di “Fils” (“Figliolo”), è oggetto di uno spietato percorso di iniziazione che dovrebbe renderlo in grado di emanciparsi e di sopravvivere al crudele mondo selvaggio, e che arriva a comporsi delle prove e delle dimostrazioni più terribili, tanto da portarlo a volte vicino alla morte. Non ci sono parole o gesti d’affetto per il piccolo Fils: il padre è un mostro, un orco, un uomo selvaggio e terribile, nulla di più.

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I bambini e i protagonisti come Fils sono rari nel cinema moderno, nel campo dell’animazione come altrove; innanzitutto, Fils non è certo un bel vedere: rachitico, allampanato, si presenta come una sottospecie di Gollum con solo tre capelli sulla testa, grandi occhi innocenti spalancati al mondo e una voce stridula. La sua immagine non si adatta per niente a quella di un personaggio eroico, non è né visivamente né timbricamente accattivante, eppure tutto è progettato per infondere nello spettatore esattamente questa sensazione.

Per il resto, Fils è un piccolo ribelle a metà strada fra Rousseau e Truffaut, cresciuto, a causa del padre, nella completa ignoranza rispetto al mondo degli uomini e caratterizzato dall’irrefrenabile entusiasmo proprio del bambino selvaggio. A modello del padre, Fils vive la sua vita fra i rami e i cespugli, cacciando come un animale, un vero predatore spietato, silenzioso e senza alcuna remora. La caccia e la raccolta sono il suo gioco, il fruscio delle foglie e il ticchettio ritmico della pioggia la sua colonna sonora, la matrice iridescente del verde il suo colore e la foresta la sua unica casa, un mondo che si presenta ai suoi occhi come meraviglioso e inquietante.

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Nonostante la brutalità dei rapporti con il padre, la solitudine per il piccolo Fils non è completa; capace, infatti, di comunicare con l’Altro Mondo, il ragazzo trova negli spiriti antropomorfi dell’aldilà, dal corpo umano e dalla testa di animale, confidenti e compagni di giochi. La silenziosa calma e la delicata sensibilità degli spiriti della foresta, capaci di assumere dopo la morte la gentilezza e la grazia della Natura, contrastano fortemente con la figura di Courge, padre senza cuore, che impronta l’educazione del proprio figlio al culto della più spietata sopravvivenza  (“La preda è colui che viene mangiato per primo”).

Tuttavia, l’Altro Mondo è l’unica cosa che si trovi al di fuori della portata di Courge che, non a caso, teme e odia profondamente questa realtà a lui invisibile e che immagina come un’orda di demoni aggressivi e spietati, la cui unica ossessione sia quella di rubargli l’anima e la vita. D’altronde, ancora vivida nella sua mente è quella notte di tempesta in cui l’Altro Mondo venne a prendere l’amata moglie, per cui ogni nuovo temporale viene interpretato da Courge come un attacco degli spiriti dei morti, contro i quali non può fare a meno che combattere.

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Attraverso il rapporto fra Courge, Fils e gli spiriti, Jean-François Beauchemin, autore del romanzo, impronta una delicata riflessione tutta metafisica sul rapporto fra i vivi e morti, a volte conflittuale e vissuto con sofferenza profonda, altre volte concepito in maniera pura e serena, scevro da qualsiasi dolore o contaminazione negativa. Non a caso, è proprio questa seconda interpretazione che permette al piccolo Fils di incontrare lo spirito di sua madre, privilegio non concesso al temibile e rancoroso Courge. La madre di Fils è anch’essa uno spirito della foresta, dal corpo di donna e della testa di cerva, che, come una vera mamma, si prende cura del suo bambino, raccoglie le sue confidenze, veglia su di lui e, naturalmente, si preoccupa. Tuttavia, lei nulla può fare per portare consolazione e giustizia nel mondo dei viventi: solo Fils può cambiare il proprio destino e, alla fine, accogliere in sé la verità quando sarà giunto il momento di rivelarla.

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Combinando elementi di Shrek, Truffaut e M. Night Shyamalan, il tema dell’infelicità del ragazzo nel suo ambiente di crescita verrà sfruttato per inserire con successo l’elemento selvaggio nel mondo degli umani. Infatti, dopo che il padre Courge viene gravemente ferito in una caduta, Fils decide di varcare per la prima volta gli accoglienti confini della foresta per cercare aiuto nel mondo degli umani. Nel recarsi al villaggio vicino, Fils non sospetta di star per scoprire il teatro delle vicende passate dei suoi genitori; eppure, sempre inconsapevolmente, sarà proprio lui a rimettere insieme gli elementi della sua storia e a dissotterrare i sentimenti sepolti di suo padre.

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Quando Fils arriva al villaggio, il Dottore (Claude Chabrol) è la prima persona che viene in suo aiuto. Senza curarsi del suo aspetto o della sua provenienza, egli prende il ragazzo sotto la sua ala protettiva e, non impressionato dalle minacce degli abitanti del villaggio che non vogliono avere niente a che fare con l’orco, decide di curare Courge. Occorre riconoscere, però, che il padre di Fils si dimostrerà brillantemente all’altezza della sua temibile reputazione.

Il processo di adattamento di Fils alla civiltà si rivelerà estremamente spassoso: Fils, ad esempio, ignora completamente cosa sia una vasca da bagno o una forchetta, non ha alcun pudore a mostrare le sue nudità e non comprende il significato di soffiarsi il naso; non è a conoscenza perfino dei nomi dei colori e del significato del “piacere” e sarà Manon (Isabelle Carré), la giovane figlia del Dottore, a dover educare quello strano bambino selvaggio a capire cosa significhi l’amicizia e il calore di una casa accogliente.

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Eppure, non tutta la permanenza di Fils a casa del Dottore sarà così idilliaca: gli abitanti del villaggio, infatti, si dimostreranno tutt’altro che amichevoli con quello sporco e selvaggio figlio della foresta, tanto da scacciarlo in malo modo per il suo odore e rifiutandosi di concedergli una qualsiasi confidenza. La peggiore di tutti sarà però la signora Ronce, vecchia e bisbetica zia della madre di Fils, pronta ad intromettersi senza remore negli affari altrui e a cercare di corrompere Manon con una scatola di immondi dolcetti (che in seguito diventeranno l’immondo cibo per i maiali di casa). C’è, infatti, qualcosa di profondamente marcio e inquietante nella vita apparentemente tranquilla di quel villaggio rurale, che troverà il suo climax nella scena in cui i soldati dell’esercito saranno sorpresi a sparare agli uccelli per puro divertimento.

Quando il padre le affida per la prima volta quel disgustoso selvaggio, anche la piccola Manon gli è ostile, oltre ad essere, ovviamente, furiosa. Ben presto, tuttavia, si instaurerà una naturale simpatia fra i due giovani protagonisti, e Manon cambierà idea su quello strano ragazzino senza nome che sconvolgerà la sua noiosa e ripetitiva routine e che le dimostrerà come non occorre essere come gli altri per vivere felicemente la propria vita.

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Piena di buon senso, Manon è una bambina del suo tempo. Sarà apparentemente lei ad aprire Fils alla vita, eppure, quando l’amico le racconterà i particolari del suo strano mondo dove si può parlare ai fantasmi e dove i sentimenti sono oggetti nascosti che si possono prendere, toccare e mettere nella zuppa, Manon a sua volta deciderà di entrarne a farne parte. E’ così che avviene l’incontro fra due mondi diametralmente opposti e la nascita di un rapporto toccante che si svilupperà nel corso del tempo. Sarà attraverso un bacio e una carezza che Fils scoprirà la realtà di quell’emozione speciale chiamata amore, un sentimento che apparentemente accomuna tutti i padri ai propri figli… tranne nel suo caso.

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Appena guarito e furioso per essere stato condotto al villaggio, Courge ritornerà nella foresta e chiamerà il figlio con lui; per il padre la permanenza forzata nel mondo degli umani è un incidente chiuso, ma non per Fils: lui è veramente cambiato. Grazie a Manon e al Dottore, Fils ha scoperto l’amore e per nessuna ragione vuole lasciarlo andare, anzi, decide di impegnarsi per distruggere le barricate che suo padre ha eretto contro il mondo esterno e contro il suo passato, trovando la chiave perduta di quella fortezza inespugnabile. Non avendo ancora pienamente compreso le astrazioni del mondo civile, Fils cercherà quindi di ricondurre l’amore a suo padre, come se fosse un piccolo animaletto smarrito, e, al contempo, scaverà nel suo passato e riporterà alla luce gli elementi della propria storia.

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L’incontro con un piccolo corvo ferito sarà il più vivido segnale di questa metamorfosi. Fino a poco tempo prima, Fils non avrebbe esitato un momento a uccidere definitivamente quell’uccello in difficoltà per farne il suo delizioso pasto; eppure, questa volta, la parole di Manon riecheggiano nella sua mente e Fils manterrà il suo proposito di rimanere fedele all’amore. Inizierà così a curare il piccolo corvo come il Dottore fece con suo padre e instaurerà con lui un codice di linguaggio che lo ricondurrà a Manon. Gli uccelli non conoscono i confini imposti dagli uomini, l’invalicabile frontiera fra foresta e villaggio, e diventeranno così il ponte vivente e indistruttibile fra Fils e Manon.

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I corvi, uccelli nella tradizione associati alla sventura e alla stregoneria, sono anche in questo caso, loro malgrado, associati nella mente di Courge a quel terribile giorno in cui lui e la sua amata furono scacciati dal villaggio. Tuttavia, ne `Le Jour des Corneilles` i corvi non si fermano solo a questo. Solitamente dipinti come emissari della sfortuna che piomba sugli uomini e precipita la loro vita in un tragico ingranaggio di sofferenza e morte, i corvi di Fils decidono che questa volta sarà il contrario. Liberi portatori di speranza e luce, agiranno attivamente per trasformare la tragedia in lieto fine, cambiando il presente e guidando i nostri protagonisti alla felicità e alla riconciliazione.

`Le Jour des Corneilles` risulta nel complesso un film veramente ambizioso, capace di narrare una storia tragica per bambini unendo il naturalismo alla fantasia e la cronaca rurale ai racconti di fantasmi. In maniera limpida ed efficace, l’opera di Dessaint e Beauchemin offre, attraverso lo scorrere delle sue vicende, una visione umanistica della vita, parlando della paura dell’altro, del diverso e dell’incomprensibile, con un’intelligenza veramente rara. Infine, è una meraviglia grafica, la trasmutazione della tradizione pittorica francese nel mondo del cinema.

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La meravigliosa foresta di Courge è il classico bosco delle fiabe, dipinto come un incantevole mondo di fantasia e di eccessi, dominato ora dalla calma più cristallina e subito dopo devastato da tempeste furenti, abitato da animali e spiriti e ornato da luci e colori in grado di togliere il fiato. La foresta è un realtà contemporaneamente infinita e chiusa in se stessa, la cui unica frontiera conosciuta è quella che la separa dal mondo degli uomini; un confine non solo determinato dagli elementi naturali, dagli alberi e dai campi, ma composto prima di tutto da tabù e paure irrazionali che rendono un mondo ermetico all’altro.

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La cura del paesaggio e degli sfondi de `Le Jour des Corneilles` è sorprendente, tanto che possiamo dire di trovarci di fronte a una meraviglia dell’impressionismo. Ogni piano sequenza merita un fermo immagine, tanto da arrivare ad apparire come un quadro, composto da colori così vivaci e da dettagli così ben delineati che si potrebbe pensare di respirare la resina degli alberi, percepire la carezza del vento sulla pelle e scaldarsi sotto i raggi del sole d’autunno. La giornata e l’ambiente de `Le Jour des Corneilles` non riposano mai: dalla primavera all’estate, dall’autunno all’inverno, gli animatori compiono un lavoro eccezionale creando paesaggi in continua trasmutazione, attraverso una superba tavolozza di colori, un’incredibile profondità di campo e giochi di luce estremamente complessi. Entrambi i mondi che vedono lo svolgersi delle vicende, la foresta e il villaggio rurale, sono brillantemente evocati, contribuendo in larga parte a rendere la sensazione di un mondo autentico e pienamente realizzato.

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In questa splendida cornice di finezza impressionista, i personaggi si inseriscono invece in netto contrasto: delineati con umorismo, tenerezza e a volte crudeltà, hanno la semplicità e i colori audaci del cartone animato allo stato puro. Ognuno, inoltre, presenta le proprie imprescindibili caratteristiche individuali: i personaggi femminili sono disegnati con un tratto dolce e raffinato, mentre Fils e Courge sono caratterizzati da contorni più rozzi e definiti. Non a caso, tutto il film gioca nella continua contrapposizione fra il bello e il brutto, l’incantevole e lo spaventoso, attraverso l’incessante avvicendarsi di figure estremamente caratterizzate, come quella dell’orco, della strega e degli spiriti, che percorrono la fantasia del nostro giovane eroe e danno al film uno stile accattivante e unico.

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`Le Jour des Corneills`, in questo modo, utilizza il folklore europeo come punto di riferimento fondamentale e, come tale, ne crea la propria identità. Mentre gran parte dell’azione si svolge in quella che appare, suona e si percepisce come la Francia rurale degli anni ’20 e ’30, l’immagine riesce comunque a elevarsi alla dimensione e al fascino del regno fiabesco senza tempo. Il telaio classico viene poi ricamato con incursioni da animismo fantastico, capace di donare una specifica personalità a luoghi, avvenimenti e oggetti. La tecnica del cinema d’animazione è particolarmente adatta a questo tipo di universo, in quando perfettamente capace di trasformare volti e corpi e di mettere continuamente  in dubbio la loro reale natura. Non a caso, il maestro dell’animazione giapponese, Hayao Miyazaki, ha costruito tutto il proprio immaginario e il proprio successo sulla duplice essenza del mondo visibile e invisibile. Allo stesso modo, Jean-Christophe Dessaint firma il suo primo lungometraggio come una perfetta riflessione sul mondo sciamanico europeo, omaggiando indirettamente il suo collega nipponico.

Tuttavia, classificare questo film come un mero tributo all’opera di Miyazaki è riduttivo, in quanto tante altre contaminazioni si possono intravedere al suo interno: dall’immaginario dei fratelli Grimm ai capolavori di Gustave Dorè, dai paesaggi della tradizione romantica alla poesia visiva di Monet.

A questo punto, è doveroso spendere un’ultima parola sulla colonna sonora e sul doppiaggio.

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Il vivace punteggio musicale di Simon Leclerc tocca note in gran parte familiari, producendo uno sfondo sonoro capace di omaggiare i suoi predecessori e, al contempo, di adottare una voce fresca e una mitologia propria. La musica di Leclerc contribuisce in maniera essenziale alla magia dei luoghi e delle situazioni, determinando in particolare la miscela di minaccia e serenità che permeano la prima parte della storia.

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Per quanto riguarda il doppiaggio, le voci dei protagonisti furono registrate all’inizio del lungo processo di realizzazione del film, che conta ben due anni e mezzo di impegno e duro lavoro. E’ per questo che possiamo sentire emozionati il timbro di Claude Chabrol, maestro della Nouvelle Vogue, venuto a mancare nel settembre del 2010, che incarna con gioia la figura del Dottore impegnato a proteggere il giovane eroe dai pregiudizi degli abitanti del villaggio e, a suo modo, a determinare il suo destino. Oltre a Chabrol, un largo parterre di eccellenza attoriale francese presta la propria voce ai personaggi de `Le Jour de Corneilles`, fra tutti Jean Reno nel ruolo di Courge e Isabelle Carré in quello di Manon.

E’ doveroso, inoltre,  porre l’accento sui gustosissimi dialoghi composti di puro “Quebecisms” (la lingua natale di Beauchemin) punteggiati da spassosi neologismi, con incroci di poetici idiomi e dalla musicalità fiammeggiante e rocciosa, che impreziosiscono ancor di più la già eccellente sceneggiatura.

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E’ così che fra una lacrima e una risata, la storia si muove velocemente verso l’interrogativo chiave di tutta l’opera: potrà mai un terribile padre, uomo o orco che sia, provare vero amore per il proprio figlio? E’ facile, a questo punto, vedere il retroscena simbolico e psicoanalitico di tutte le vicende, che si incarna fra i margini della foresta, che possono diventare anche crudeli vincoli di prigionia, e fra gli inganni della vita, sia essa sociale o da eremita, che portano ogni individuo a rimanere soffocato dai propri pregiudizi e a credere la propria visione di vita migliore delle altre.

Tutto questo background metafisico, unito a una storia molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, poteva generare un completo disastro, verboso e duro da digerire. Invece, la vera qualità che rende questo film un’opera magistrale è la capacità di preservare per tutto il corso delle vicende una dimensione d’azione abilmente fantastica.  A seconda dell’età, quindi, gli spettatori avranno la possibilità di assimilare una duplice interpretazione: una soprannaturale e felice per i più piccoli e un’altra più realistica e drammatica per gli adulti. In tutto questo, `Le Jour des Corneilles` risulta un’opera deliziosa, capace di rappresentare l’esistenza di rapporti familiari non sempre rosei e la difficoltà dei genitori nello scoprire i propri figli, ma anche la realtà della morte, miscelando in dosaggi perfetti umorismo, dramma e pathos, dimostrando come siamo tutti parte di uno stesso universo, fatto di fantasia tanto quanto di crudeltà, e dove l’indifferenza e la tenerezza coesistono e si compendiano strettamente.

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