`Alta Fedeltà` di Nick Hornby • Got to get you of my mind
Cos’è nata prima, la musica o la sofferenza?
Si ascolta musica perché si soffre, o si soffre perché si ascolta musica?
Si scrivono canzoni come antidoto al dolore o, invece, per scolpirne una celebrazione?

Riguardo a tutte queste domande, Nick Hornby e il suo protagonista sembrano non avere dubbi. Spesso ci si preoccupa per tutto ciò che possa influenzare i ragazzini: videogiochi, televisione e fumetti, infatti, sono frequentemente visti come veicoli per messaggi immorali e profondamente deleteri, capaci di crescere i giovani figli della società moderna nel culto della violenza e della depravazione. E, allora, perché nessuno sembra apparentemente preoccuparsi della musica? Perché nessuno si chiede cosa possa provocare una normale canzone pop nella labile mente di un ragazzino nel pieno ribollire della pubertà?
Cuori spezzati, abbandoni, dolore, sofferenza, perdita: la storia della musica pop e rock trasuda canzoni e ballate che non fanno altro che decantare quanto crudele e struggente sia la vita. Immaginate, quindi, di ascoltare per giorni, mesi e anni pezzi come `Only love can break your heart` di Neil Young e ` The speed of the sound of the loneliness ` di John Prine; o, ancora, `Don’t let me be misunderstood` di Nina Simone e `I just don’t know what to do with myself` dei White Stripes. Come può tutto questo non lasciare un segno?

D’altronde, collezionare dischi e singoli è una pratica piuttosto delicata, non certo paragonabile a quella di un amatore di francobolli o di modellini d’auto. Raccogliere, classificare e conservare album e vinili significa, infatti, collezionare mondi che, di volta in volta, possono essere più belli, più eccitanti e più colorati della vita reale, ma anche più violenti, più crudeli o più pericolosi; in un raccoglitore di dischi sono stipate molte più realtà di quelle semplicemente costituite da parole e note: c’è la storia, la geografia, la poesia, la filosofia, la metafisica e tutte quelle belle cose che dovrebbero insegnare nelle scuole. Insomma, essere un collezionista di musica è una cosa meravigliosa, ma anche estremamente rischiosa.

Sembra, infatti, che chiunque decida di mettere qualsiasi cosa procuri emozioni al primo posto nella propria vita – e, in questo campo, la musica è in pole position –, non riuscirà mai definitivamente a chiarire le propria sfera amorosa. Ci sarà sempre qualcosa che andrà storto, qualcosa che non sarà come lo si aspettava, qualcosa messo nel posto sbagliato che, alla fine, farà crollare il castello di carte e lo obbligherà a ricominciare tutto da capo. Forse, assorbire emozioni dalla mattina alla sera non è così sano; forse, ascoltare musica, leggere libri e guardare film, provoca la malsana tentazione a protendersi verso un apice, tanto da non riuscire mai ad accontentarsi e, quindi, a sentirsi appagati. Sembra che chi viva di emozioni non possa ambire al giusto mezzo di aristotelica memoria: bisogna per forza sentirsi o disperati o al settimo cielo, o distrutti o completamente realizzati. E questo è piuttosto difficile da raggiungere in una relazione che sia, al contempo, stabile e solida. Rob Fleming lo sa bene. E, forse, anche Nick Hornby.

Leggere `Alta Fedeltà` è come ascoltare un grande singolo: basta l’incipit per capire di trovarsi di fronte a qualcosa di grandioso; senza contare che, una volta finito, si muore dalla voglia di risentirlo di nuovo! Perché `Alta Fedeltà` è capace di farti sentire giovane e adulto, è in grado di farti riflettere e farti commuovere e, come se non bastasse, di stamparti uno stupido sorriso sulla faccia per tutto il tempo. C’è chi lo considera un buon libro di intrattenimento, chi un colpaccio dell’editoria e chi lo eleva a classico contemporaneo. Probabilmente, è tutte e tre le cose insieme.

`Alta Fedeltà` è il ritratto di una generazione e di un modo di vivere, ma, soprattutto, un chiaro esempio su come la musica (e il cinema, i libri e l’arte) possano influire sulle nostre relazioni e sulla nostra intera esistenza. Apparentemente, un viaggio letterario attraverso il territorio della vita reale potrebbe sembrare banale o, ancora peggio, deprimente; ma non nel caso di `Alta Fedeltà`.
In altre mani, probabilmente, questa storia sarebbe potuta andare ad ingrossare le file di quei romanzi dal contenuto pseudo-psicanalitico, dove l’io narrante è l’ennesimo pietoso personaggio maschile incapace di prendere alcuna decisione nella vita e terrorizzato da qualsiasi manifestazione del sesso femminile. Ma, come già detto, non è questo il caso. Hornby, infatti, è uno scrittore fantastico e `Alta Fedeltà` è un libro assolutamente affascinante, oltre ad essere una lettura terribilmente brillante, tanto da portare più volte il lettore a ridere di gusto sulle sue pagine. Hornby, per fortuna, non ha pretese di becero intellettualismo o di stucchevole divulgazione: l’unica cosa a cui mira è di scrivere un racconto che possa avere una portata “universale”, ovvero in cui chiunque possa riconoscere un frammento del proprio essere o della propria biografia. E, da questo punto di vista, `Alta Fedeltà` è assolutamente un libro pop, e nel miglior modo possibile!

Fin dall’inizio delle vicende il lettore si trova completamente catturato dall’universo interiore di Robert Fleming, proprietario di un negozio di dischi nella periferia londinese, un tugurio angusto e stipato, perennemente sull’orlo del fallimento. Rob ha 35 anni suonati, vive in un appartamento sommerso da cassette e vinili polverosi e passa le sue giornate fra il negozio e le compilation da registrare. Fin dal principio si capisce che c’è qualcosa di piuttosto strano in Rob, che sembra trovare l’unica ragione e gioia di vita nella musica; Rob è un persona malinconica, a tratti quasi patetica, e ancora profondamente immatura: fatica a camminare sulle proprie gambe, ha una folle paura delle relazioni durature ed è portato per istinto a giudicare le persone in base ai loro gusti musicali.
Descritto così, Rob Fleming sembrerebbe uno scherzo della natura, un disastro ambulante. Ma, pensandoci bene, quanti di voi non riconoscono almeno una parte di se stessi nella sua personalità? Quante ragazze non hanno avuto un fidanzato come lui e quanti ragazzi non possono annoverare fra i propri amici qualcuno capace di identificare il senso della propria vita in un testo di Al Green o in un cambio d’accordo di Bruce Springsteen?

Attraverso un flusso di coscienza impetuoso e inarrestabile, Hornby ci offre uno sguardo disinvolto e profondamente ironico sul suo protagonista. Rob Fleming non è altro che un giovane eroe imperfetto, che osserviamo annaspare verso la propria virilità: eterno bambino, re degli immaturi, sarcastico, amaro, terrorizzato dal futuro e dal dolore, tanto che, per non ricevere altre porte in faccia, preferisce rimanere ancorato al suo piccolo mondo polveroso, fatto di locandine e canzoni pop.

Lui stesso si descrive come pigro, scansafatiche e a volte decisamente delirante, soprattutto quando colto da uno dei suoi caratteristici raptus da elenco-maker compulsivo, dimostrando di essere brutalmente onesto con se stesso e a volte capace di intuizioni terribilmente incisive ed autentiche. Rob brancola, cade, sbatte la testa, si barcamena in una vita che non è semplice per nessuno e che non è affatto così edulcorata come a volte vorremmo che fosse. Come tutti noi, Rob procede per tentativi, prova, si sbaglia, ritorna sui suoi passi e scombina tutte le carte della sua esistenza, ed è proprio il fatto che sia così profondamente umano e, dunque, imperfetto, a farcelo amare fin dalla prima pagina.
Rob pensa fondamentalmente di essere un mediocre e si atteggia come tale; di aspetto è passabile, altezza media, fisico asciutto, vestiario essenziale e una vaga somiglianza con Peter Gabriel. Vota laburista, compra un sacco di telefilm in cassetta, è approssimativamente d’accordo con quanto dicono le femministe e ha una cultura musicale piuttosto invidiabile. Insomma, il segreto del “successo” di Rob Fleming è di raccogliere in un insieme compatto una gran quantità di “medietà”; parrebbe che ce ne fossero milioni come lui e, invece, non è così. Perché potranno esserci un sacco di tipi che leggono, che hanno gusti musicali impeccabili o un’ironia prorompente, però, di certo, sarebbero anche brutti o grassi, oppure potrebbero bere, drogarsi, guidare veloci o menare le mani. Insomma, la sintesi che Rob arriva a formulare è che se piace alle donne non è per le virtù che è in grado di vantare, ma per i vizi che non possiede.

Nonostante questo, però, Rob si ritrova da anni bloccato al Championship Vinyl, il negozio di dischi di seconda mano di cui è proprietario, e condivide le sue giornate lavorative con Barry e Dick, colleghi e amici al contempo, due irrecuperabili sociopatici traboccanti di manie e stranezze assortite.
La descrizione che Nick Hornby ci regala del negozio di Rob, dei suoi dipendenti e dei clienti è uno dei brani più esilaranti dell’intero libro. Hornby, infatti, conosce e ama gli snob musicali e ne descrive con affetto e inarrestabile humor le caratteristiche , le ossessioni e le stramberie. Come una persona che ha speso tempo e denaro a volontà in negozi della risma del Championship Vinyl, Hornby ne riesce a ricreare perfettamente l’atmosfera, tanto da farci percepire il puzzo di umido, fumo rancido e copertine plastificate e a dipingere perfettamente le sensazioni che si possono provare in un locale stretto, squallido e sporco che, tuttavia, si presenta come un vero paradiso per gli appassionati musicali; in fondo, “solo i fan di Phil Collins amano i negozi dall’aria pulita e salubre come un quartiere residenziale di periferia”!

La svolta determinante nelle vicende di Rob è il momento in cui la sua ragazza, Laura – avvocato brillante, dalla carriera in ascesa, con cui ha condiviso quasi tre anni della sua vita -, decide di lasciarlo per un altro, spingendolo in una sorta di tracollo esistenziale. E’ così che Rob si trova all’improvviso ad affrontare la proverbiale “crisi di mezz’età” che, apparentemente, sembra descrivere lo stato d’animo di qualsiasi individuo maschile oltre i 30, ma che nel suo caso corrisponde al fatidico momento in cui ogni uomo deve trovare il coraggio di diventare adulto, abbandonando la propria attitudine adolescenziale troppo a lungo rinviata.
Così Rob fa quello che ogni uomo farebbe: riorganizzare la propria collezione di dischi. Dopo l’ordine alfabetico e il periodo storico, questa volta tocca classificarli in ordine d’acquisto e di tracciare quindi una sorta di autobiografia a suon di lp. L’operazione porta Rob a riflettere sul suo passato, nel tentativo di capire cosa c’è di sbagliato in lui e, di conseguenza, a riordinare, allo stesso modo che con i dischi, i suoi rapporti con le donne, quasi come se questo tipo di categorizzazione fosse l’unico modo per accedere alle sue emozioni più recondite.

E’ così che Rob compila la Top5 delle più memorabili fregature di tutti i tempi, che lo porterà a chiedersi se quelle relazioni, terminate tutte senza eccezioni con un rifiuto dalla parte femminile, non fossero solo un terribile replay di quelle precedenti. Il lettore si trova così a ripercorrere insieme a Rob le figure delle donne che nel corso di tutta la sua esistenza l’hanno ferito maggiormente; si parte quindi da Alison Ashworth, con la quale a soli 13 anni ebbe una relazione della durata di ben sei ore, riassunta memorabilmente in “Primo incontro: giardinetti, sigaretta, pomiciata. Secondo incontro: idem. Terzo incontro: idem. Quarto incontro: scaricato”, fino a Charlie Nicholson, troppo bella, troppo spigliata, troppo emancipata e troppo troppo stronza per poter stare con lui. E, infine, arriva Laura, la donna apparentemente perfetta e, forse, quella amata di più, che però ha deciso di fuggire da lui e di tradirlo con il vicino del piano di sopra, un disgustoso individuo fatto di capelli lunghi, salopette e musica etnica.

Ripercorrendo la sua storia sentimentale, Rob decide così di emanciparsi dal passato e dal dolore, decidendo di rincontrare tutti i suoi vecchi amori e di parlagli, di chiedergli se lo hanno perdonato quando li ha maltrattati e del perché, alla fine, hanno deciso di lasciarlo. Il viaggio che Rob decide di percorrere non è certo semplice o a portata di mano e, anzi, potrebbe rivelarsi un fiasco completo; la speranza, però, è quella di trovare un modo per abbandonare i dubbi, i rimpianti e tutta quella amarezza, e ricavare da queste esperienze solo sensazioni soffici e nostalgiche, in modo che non possano più ferire, ma, al contrario, aiutarlo a ripartire.
In una prosa senza soluzione di continuità, Nick Hornby sfoggia tutto il proprio energico umorismo componendo un pezzo esilarante dopo l’altro, inanellando gli spassosi monologhi di Rob, impegnato a ruminare sulle donne e sulle sue esperienze affettive, per poi lasciarsi andare in riflessioni più profonde e articolate sulla vita, sul fallimento, sulla morte e sulla difficoltà nel trovare il proprio posto nel mondo.

`Alta Fedeltà` impreziosisce una trama tutto sommato semplice con situazioni complesse e momenti di vera epifania, alternando dolore e gioia, lacrime e risate, addentrandosi in territori delicati e complessi e, tramite essi, componendo un inno alla vita vera in tutte le sue sfaccettature. Anche l’io narrante Rob, di volta in volta, è in grado di dimostrarsi caldo o cinico, brillante o fragile, spiritoso o indifendibile, come tutti noi possiamo sperimentare di essere nella nostra quotidianità. E’ infatti raro che un libro così divertente e a tratti canzonatorio possa celare un’ombra di così autentica realtà. Sarà naturale, quindi, per la maggior parte di noi, sentire riverberare attraverso la prosa acustica di Hornby gli accordi ossessivi delle esperienze passate, per poi individuare, inequivocabilmente, la chiave in grado di liberare il nostro cuore.
Ciò che più colpisce leggendo questo romanzo per la prima volta, è l’eccezionale capacità di Hornby nell’osservare il comportamento umano e nel tradurlo perfettamente sulla pagine. Hornby si dimostra così un raffinato analista, capace di catturare con la sua penna la solitudine e la puerilità della vita adulta, percorrendo costantemente e con successo la sottile linea che separa l’ironia dalla tristezza e la speranza dalla disperazione.

`Alta Fedeltà` non celebra solo il mondo dei collezionisti di dischi e delle garage band londinesi, ma è un romanzo che parla di persone vere, uomini e donne sommersi dalla confusione caratteristica della mezz’età, ragazzine e ragazzini cresciuti troppo in fretta e ritrovatisi intrappolati in corpi di adulti, improvvisamente coscienti di come il mondo reale sia molto peggiore e crudele di quanto si sarebbero aspettati, senza più pomiciate al parco o letti a castello in cui dormire.
Nick Hornby non si basa sulla cultura pop per dare vita ai propri personaggi, ma la utilizza, invece, per creare un ricco sfondo ironico intorno a loro, e per farci poi comprendere come ognuno di noi sia molto più della somma totale dei propri gusti musicali o cinematografici, come alla fine capirà anche il suo protagonista.

In definitiva, l’Hornby letterato compone un racconto dolorosamente onesto sull’umiliazione, sugli scivoloni e sui piccoli e grandi ostacoli che tutti, prima o poi, arriveranno ad incontrare nel loro percorso di vita. Illustrando con sagacia e intuito i piccoli particolari dell’esistenza, che, alla fine, sono quelli che contano, Hornby compone un imperdibile scorcio nella mentalità del maschio medio, riuscendo ad essere chiassoso, triste, luminoso e sciocco al contempo. Insomma, possiamo affermare che Nick Hornby sia stato il felice creatore di uno dei più rari prodotti letterari: un romanzo scanzonato, in grado di far ridere di cuore e di riflettere, senza essere stupido, volgare o banale, ma celebrando la più sana e travolgente letteratura contemporanea.
Amo il libro e amo il film. Con le ottime playlist suggerite! (: Scelta perfetta come recensione, brava Rigel come sempre!
Personalmente ho amato più il libro che il film, anche se devo dire di aver trovato il lavoro di Stephen Frears molto accurato e molto fedele all’opera originale. E poi John Cusack nei panni di Rob è veramente perfetto! :D L’unica cosa che mi ha fatto storcere il naso è l’aver spostato tutte le vicende da Londra a Chicago… Non ne ho capito il senso, anche perché la scrittura di Hornby è a tal punto intrisa di humor e accenti inglesi che mi sembra un controsenso voler spostare tutto in ambiente americano.
Sono d’accordo, la prima cosa che ho pensato quando ho notato lo spostamento di location è stata “americanata…” , però poi mi hanno consolato le buone prestazioni degli attori (:
Un’altra cosa che non ho proprio capito è perché Marie LaSalle, che nel libro descrivono come somigliante a Susan Dey, nel film è interpretata da un’attrice afroamericana, per quella strana convenzione “politacally correct” per cui in ogni film americano che si rispetti ci deve essere per forza un personaggio di colore o uno asiatico, ancora meglio se entrambi :P Poi il cambio di cognome di Rob, da Fleming e Gordon… Insomma, io non sono una di quelle reazionarie fanatiche che vogliono assolutamente che il film sia fedele in ogni virgola al libro originale. So che il cinema è un’altra forma d’arte e che, pertanto, ha esigenze diverse; e poi è sempre divertente e istruttivo vedere come la mente di un regista o di uno sceneggiatore sia in grado di adattare un’opera scritta da qualcun altro al proprio immaginario personale. Però quando i cambiamenti sono così ingiustificati e fini a se stessi… Meh. Non li capisco molto!
hahaha il “meh” è impagabile! :D scherzi a parte, possiamo considerarla una trasposizione in un altro luogo con attori che possono andare bene in quel ruolo e non stonano troppo se non hai letto il libro (a parte john che effettivamente lo interpreta bene, ma diamo credito anche a jack black e all’altro perché siamo buoni (: )
O, beh, d’accordissimo! :D Barry e Dick sono fantastici… Anche l’attrice che interpreta Laura mi piace davvero molto. Quando ride è davvero adorabile ❤
L’ha ribloggato su Appunti Scomodie ha commentato:
Una recensione coi controcazzi.