`Il Ritratto di Dorian Gray` di Oscar Wilde • Ritratto di un dolore
«Come il ritratto di un dolore
un viso senza cuore.»
Hamlet – William Shakespeare

Cosa veramente guadagna un uomo conquistando la vita eterna, ma perdendo la propria anima?
A partire dalla nascita, ad ogni individuo viene concesso di vivere la propria esistenza nella maniera che più gli aggrada: qualche forza superiore gli dona la facoltà del libero arbitrio, che lo porta ad agire per tutta la vita secondo i principi dettati dalla propria coscienza o dal proprio istinto, per poi arrivare a sfociare nella più o meno prematura morte, il momento in cui è costretto a pagare il prezzo delle azioni commesse.
In generale, la vita è troppo breve per preoccuparsi di ogni singola scelta e farsi carico di tutti gli sbagli, eppure un solo madornale errore può determinare uno scotto straordinariamente oneroso; infatti, anche se la mente può riuscire ad ignorare ciò che si è commesso, la coscienza, al contrario, non dimentica nulla. Tuttavia, nonostante ci si prodighi per agire nella giusta direzione, a volte non si può fare a meno di cedere alle tentazioni. In fondo, secondo il proverbio, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Come ci ricorda Oscar Wilde nella sua straordinaria opera, in alcuni momenti la passione per il peccato arriva a dominare a tal punto una persona che ogni fibra, ogni cellula del suo corpo e ogni neurone del suo cervello sembrano votati ad essa. Uomini e donne arrivano a compromettere a tal punto la propria volontà, tanto da dirigersi deliberatamente, quasi senza avvedersene, verso una terrificante fine. Sono stregati, automi racchiusi in un involucro di carne, privi di qualsiasi libertà di scegliere: la loro coscienza è languida e agonizzante, attiva al solo scopo di «conferire alla rivolta il suo fascino e alla disobbedienza il suo incanto».
Quando quella vibrante stella del mattino, quel sublime spirito dagli occhi lucenti di nome Dorian Gray, precipita come un angelo ribelle dal cielo notturno, è molto lontano anche solo dall’immaginare come questo sia il tremendo destino che gli spetta.

«Un sogno di forma in giorni di pensiero», questo è il modo in cui Basil Hallward descrive Dorian Gray all’amico Henry Wotton, per la prima volta, al cospetto del suo ritratto non ancora terminato. Lord Wotton non può fare a meno di rimanere incantato dalle sublimi fattezze del giovane rappresentato, un Adone fatto di avorio e di petali di rosa, un Narciso nel fulgore della propria grazia, una creatura bellissima e pura, qualcosa di sovrannaturale, al limite dell’essenza umana. «Il tuo giovane e misterioso amico, il cui nome non mi hai mai rivelato, ma il cui ritratto mi affascina davvero, […] dovrebbe essere sempre qui d’inverno, quando non abbiamo fiori da ammirare, e anche d’estate, quando desideriamo qualcosa che rinfreschi la nostra intelligenza.»
Come dargli torto? Nel viso e nella presenza di Dorian Gray dimoravano tutto il candore dell’innocenza, con la sua purezza illibata, e la passione di una giovinezza non ancora compromessa: possedeva la bellezza conservata per noi dai marmi greci, come se fosse rimasto incontaminato dal mondo e dalle brutture che l’esistenza può recare con sé.
Eppure la vita di Dorian Gray non era sempre stata semplice, anzi, la storia della sua nascita possedeva la stessa suggestione di una strana favola d’amore: una donna bellissima rovinata da una folle passione, un crimine orribile, un’agonia solitaria e poi un figlio nato dal dolore; ed, ancora, la madre portata via dalla morte e il bambino lasciato nelle grinfie di un vecchio, un tiranno privo tanto carità quanto d’amore.
Tutto questo, secondo Lord Henry, contribuiva ad inquadrare il giovane e a renderlo più perfetto; d’altronde, dietro la venuta al mondo di una tale creatura, doveva esserci qualche cosa di veramente tragico: «l’universo deve travagliare perché un fiorellino possa nascere».

A partire dal primo incontro fra il pittore e l’esteta, la personalità di quest’ultimo inizierà ad esercitare una straordinaria influenza sul primo. Dorian Gray rappresenta per il giovane artista un modo alternativo di guardare la vita e una nuova originalità artistica, che si manifesta a Basil improvvisamente, come una folgorazione, alla stregua di un silenzioso spirito dei boschi profondi che, quasi senza avvedersene, arriva a rivelarsi alla luce del sole, stregando chiunque abbia l’ardore di posare lo sguardo su di esso.

Dominato nell’anima, nella mente e nelle azioni, Basil arriverà ad adorare il suo giovane modello, «l’incarnazione visibile di quell’ideale invisibile la cui memoria perseguita molti artisti come un sogno squisito» , giungendo a considerarlo l’ombra in vesti umane di un’idea di platonica memoria, probabile archetipo di qualche altra forma ancora più perfetta.
Ma in un’adorazione di tale portata vi è un pericolo, che trova il proprio nido ideale sia nella paura di perdere l’oggetto idolatrato come in quella di mantenerlo. Ed è qui che entra in scena Lord Henry Wotton, l’input e il suggello della dannazione del giovane Dorian.
Per Henry Wotton vivisezionare era un’attitudine naturale e la vita umana era, in fondo, l’unica cosa degna di essere investigata, nella sua essenza fatta di piacere e dolore, di peccato e redenzione. Per questo, trovandosi di fronte a un corpo incontaminato e a un’anima verginale come quella di Dorian Gray, non è in grado di resistere alla tremenda eccitazione di esercitarvi la propria influenza, di proiettare la propria personalità dentro quella forma graziosa e di osservare l’effetto che avrebbe sortito.
Convogliare la propria natura in un’altra è un’arte sottile e maliziosa che Henry Wotton sembrava non aver alcuna difficoltà ad esercitare.

Con poche parole, Lord Henry, nei riflessi di un pomeriggio di primavera, sconvolge e trasforma per sempre lo spirito di Dorian Gray; gli consiglia di far fruttare la sua giovinezza con ogni mezzo, lo ammonisce di non dilapidare l’oro dei suoi giorni stando ad ascoltare i noiosi, o cercando di rimediare a un fallimento senza speranza, o regalando la sua vita agli ignoranti, ai dozzinali, ai volgari. Nulla deve perdersi di quella creatura sublime, che deve essere assurta allo status di simbolo vivente, quello di un nuovo Edonismo: il mondo deve appartenere a quel ragazzo, anche solo per una stagione! Ma per Dorian Gray il tempo stringe: i palpiti appassionati dei suoi diciassette anni in un decennio saranno destinati ad essere convertiti in membra indebolite e in sensi logori e quell’indole gioiosa ad assumere la pateticità di uno spirito fantoccio, troppo spaventato dal tempo anche solo per dedicarsi alla memoria delle vecchie passioni. Ed allora tutto finirà: al mondo vi era posto unicamente per la bellezza e per la giovinezza.

Per Dorian Gray l’adorazione dei sensi era stata fino a quel momento qualcosa di astratto e pertanto subdolo, allettante ma ignobile; non aveva mai compreso che la vera natura delle passioni conduce al piacere e al bello e, improvvisamente, le parole di Henry Wotton lo allarmano e gli fanno percepire l’urgenza di creare una nuova spiritualità, con l’istinto della bellezza come tratto distintivo, in grado di riscattare l’umanità intera, resa animalesca e primitiva dalle sofferenze e dalle privazioni. L’unico scopo di questa nuova dottrina sarebbe stata l’esperienza stessa e non il suo frutto, dolce o amaro a seconda dei casi; l’uomo avrebbe abbandonato l’ascetismo e si sarebbe concentrato sui singoli momenti della vita, perché, come aveva profetizzato Lord Henry, questa in un attimo sarebbe potuta svanire, lasciando il suo posto solo ad una parvenza di esistenza.
Ecco che agli occhi del lettore, in questa presa di coscienza, si concretizza la seduzione di uno spirito puro e la sua iniziazione diabolica, in cui un maestro cinico e mortale, Henry Wotton, trascina Dorian sulla via della perdizione, facendone il proprio discepolo e la propria vittima.
Lord Henry mina direttamente al cuore dell’innocenza di Dorian Gray e instilla così nel giovane un folle desiderio di conoscenza: il pericolo arriva a deliziarlo, conducendolo alla convinzione che ogni aspetto della vita, per venire appreso, deve essere sperimentato direttamente sulla pelle; il sentimento della propria bellezza sovviene a Dorian come una rivelazione, quando gli era rimasto sconosciuto fino a quel momento: ora è in grado vedere in maniera palpabile l’ombra della propria avvenenza e trarre da essa profitto, con tutte le conseguenze del caso.

Con l’avanzare degli anni e della storia, il giovane sembrerà destinato ad affascinare qualunque persona verrà posta dal destino sul suo passaggio: molti arriveranno a vedere in lui l’incarnazione del tipo umano da tutti sognato, coniugante in se stesso sia la cultura dello studioso che la passione dell’uomo di mondo. Dorian Gray arriverà ad appartenere a quella schiera di individui perennemente votati alla grazia e tenterà di rendersi perfetto adorando la bellezza; si rivelerà un esteta e, in quanto tale, assumerà come principio regolatore della propria vita -e, di conseguenza, della coscienza- non i valori morali, il bene o il male, il giusto o l’ingiusto, ma esclusivamente il bello.

Vivrà costantemente la propria vita alla ricerca delle sensazioni più rare e squisite, circondandosi di qualsiasi tesoro prezioso in grado di adattarsi alla sua bellezza, diventando un collezionista di quadri, stoffe, gioielli, strumenti musicali e libri antichi. Proverà orrore per la volgarità e la banalità che molto spesso accompagneranno il popolo dei salotti che si ritroverà a frequentare e, per questo, si auto-collocherà aldilà della morale comune, in una sfera di assoluta eccezionalità rispetto agli uomini da lui ritenuti mediocri. Ogni atto della propria vita arriverà a sublimarsi da materiale ad artistico ed Arte e Vita finiranno per compenetrarsi a vicenda, fino a migliorarsi, a perfezionarsi e, in ultima istanza, a confondersi totalmente.
Il passaggio dall’ignara ingenuità dell’infanzia alla maliziosa consapevolezza di essere diverso dai propri simili, segnerà per Dorian Gray l’inizio di una nuova esistenza, dominata da quella fatalità che sembra accompagnare ogni distinzione fisica ed intellettuale e che pare perseguitare senza tregua tutti i grandi protagonisti della Storia dell’uomo. «Noi tutti soffriremmo per quello che gli dèi ci hanno dato. Soffriremo terribilmente.»

Il simbolo di tutto questo sarà assurto da un quadro, un ritratto per la precisione, quello che con tale devozione Basil Hallward aveva dipinto per lui. Al cospetto del suo ritratto, Dorian Gray sarà in grado di percepire l’ineluttabilità di una sorte incombete e in esso deciderà di rimettere il segreto della propria vita. Il suo stesso volto dipinto arriverà ad osservarlo con crudeltà, quasi per deriderlo: tempo qualche anno e l’oro dei suoi capelli si sarebbe inaridito nel grigio della vecchiaia, gli occhi avrebbero perso qualsiasi lucentezza e il rosa delle sue guance si sarebbe avvizzito in un pallore mortale. Un incredibile senso di disperazione accompagnerà questa nuova terrificante presa di coscienza, fino al punto di assumere i contorni di una logorante compassione per se stesso.
Incatenato al ticchettante scorrere del tempo, ogni mattina Dorian Gray si sarebbe seduto davanti al quadro, meravigliandosi e innamorandosi della propria bellezza improntata su una tela, mentre uno specchio gli avrebbe mostrato il vero se stesso, condannato ad assumere le sembianze una creatura spregevole, tanto mostruosa da meritare di essere nascosta dalla luce del sole e lasciata morire chiusa a chiave in una stanza.

Così il folle desiderio di sottrarsi al dolore di una giovinezza destinata ad estinguersi per sempre, arriverà ad abbandonare il suo fautore per impregnarsi nella pittura, intrecciandosi con ogni singola sfumatura delle tempere, capovolgendo il destino come solo il più bieco patto col demonio sarebbe stato in grado di fare. Per sempre splendido, per sempre ammirato, Dorian Gray avrebbe riconosciuto nel quadro il più magico degli specchi: seguendo la propria mente nei luoghi più segreti, il ritratto, che per primo gli aveva rivelato la bellezza del suo corpo, ora gli avrebbe svelato la sua anima.

Quando per il Dorian Gray dipinto sarebbe venuto l’inverno, il suo alter ego di carne avrebbe recato con sé una primavera eterna; quando il sangue sarebbe defluito dal viso del quadro, portandosi via l’incanto della giovinezza, il vero Dorian Gray avrebbe mantenuto qualsiasi fiore della sua bellezza; forte e invincibile come un dio greco, e, soprattutto, immortale.
Il dado è tratto: giovinezza eterna, passione infinita, piaceri segreti, gioie sfrenate e vizi ancor più sfrenati, saranno a Dorian Gray concessi: il ritratto porterà il peso della sua vergogna; ad ogni peccato commesso, una macchia indelebile deturperà il se stesso dipinto e questo, mutato o no, sarà per lui l’emblema visibile della coscienza.
Da qui ha inizio il degrado vertiginoso di Dorian Gray, sempre più innamorato della bellezza e sempre più interessato alla rovina della propria anima. In questo vortice di perdizione, il lettore accompagnerà Dorian in ogni suo passo, dai salotti sfavillanti ai più sordidi quartieri di una grigia mostruosa Londra, in una girandola di uomini e donne spregevoli, vizi travolgenti, splendidi peccati e morti innocenti.

Quella in cui ci troviamo immersi è la Londra del XIX secolo, la Londra del lusso più opulento e della miseria più sfrenata, la Londra delle fumerie d’oppio, dove si può comprare l’oblio, e dei bugigattoli dell’orrore, dove la vergogna delle colpe trascorse può essere cancellata con la follia di nuovi peccati. In questa realtà marcescente si muove sinuosa la splendida figura di Dorian Gray, portando con sé la propria vita senza anima e il peso di una coscienza ripugnate, coperta da un panneggio e rinchiusa nel buio di una stanza polverosa.

Non vi sarà redenzione: come ci ricorda Oscar Wilde, nella prefazione all’Opera, «ogni eccesso, così come ogni rinunzia, reca il proprio castigo». Lord Henry Wotton, spettatore della commedia, ne rimarrà ferito più profondamente che se ne avesse preso parte; il pittore Basil Hallward, fautore di vanità e idolatria, morirà per mano stessa dell’oggetto da lui venerato; Dorian Gray, che abbandona lo spirito per il piacere, assassinando la propria coscienza, ucciderà anche sé stesso.

Il Ritratto di Dorian Gray è un’Opera meravigliosa: con squisite perifrasi dal suono delicato, tutti i peccati del mondo passano in rassegna, in una sfilata terrificante e silenziosa. Lo stile è quello inconfondibile e curiosamente prezioso di Wilde, contemporaneamente vivido e oscuro, intriso tanto di grazia quanto di disperazione. La vita dei sensi, tramite la sua penna, diventa filosofia mistica ed è difficile comprendere se ciò che si legge sia frutto delle fantasie estatiche di un qualche santo o delle confessioni morbose di un peccatore. Pagine intrise dell’odore dolciastro dell’oppio e del delicato profumo delle rose, pagine monotone e musicali, uno spartito fatto di nenie ancestrali e ritornelli elaborati, pagine che parlano di amore e ombre, di fantasticherie e di malattie sognanti.
Oscar Wilde mette tutto se stesso in questa opera e al lettore non resta che adagiarsi ed osservare rapito l’eccezionale ferrea logica delle passioni, la variopinta e commossa vita dell’intelletto e seguire entrambi, in un vortice di eventi, fino a giungere nel punto in cui tutto si ritrova, si riunisce e poi svanisce.
«Dicono che i grandi eventi dell’umanità si svolgono nello spirito.
Ed è nello spirito, solo nello spirito, che si commettono i grandi peccati dell’umanità.»