In Europe With Woody #1 • `Match Point`
«Chi disse: ‘Preferisco avere fortuna che talento’ percepì l’essenza della vita. […]
[…] A volte in una partita la palla colpisce il nastro
e per un attimo può andare oltre o tornare indietro.
Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince.
Oppure no. E allora si perde.»

Circa trentacinque anni fa, nel 1977, Alvy Singer e Annie Hall si incontravano per la prima volta a New York, durante una partita di tennis; racchette e pallina furono proverbialmente fatali, perché i due si piacquero, si corteggiarono e, finché durò, si misero insieme. Nella loro “partita”, come nella loro relazione, non vi era né un vincitore né un perdente, perché non vi era una volontà di prevaricazione dell’uno sull’altra.
Nel 2005, a Londra, i tempi sono decisamente cambianti. Niente più affetto o rispetto, ma una durezza di cuore quasi disumana, una fragilità e un egoismo che, inevitabilmente, rendono il gioco crudele e spietato. Non vi è più pareggio o costatazione amichevole: c’è qualcuno che vincerà e che alla fine metterà a segno il match point, mentre colui che ricoprirà il ruolo del perdente non avrà la possibilità di una rivincita.
Ambizione senza qualità, delitto senza castigo, drammi e capricci di un mondo nichilista: ‘Match Point’ si apre con il fermo immagine di una pallina, congelata sopra la rete di un campo da tennis, giusto un attimo prima che cada da una parte o dall’altra. Una sequenza iniziale che, per quanto semplice, si brucia nelle retine dello spettatore e che ricorrerà come un mantra per tutta la narrazione, emblema di come fatale sia l’incidenza del caso sulla vita degli uomini.

Sulla soglia della terza età, ben lungi dall’essere al tramonto della via, ogni uomo si trova di fronte a due strade: la prima, quella apparentemente più facile da percorrere, è in discesa e porta al progressivo distacco dalla vita attiva, al riposo, all’indifferenza e poi a una lenta ma inesorabile estinzione; l’altra, invece, è in salita: induce a inerpicarsi ancora con fatica, ma nella convinzione che non si è arrivati a quella meta che, in cuor suo, nessuno vorrebbe raggiungere. Nessuno può essere escluso dal compiere questa difficile scelta, neanche se si è un regista pluripremiato con una sfolgorante carriera alle spalle. Per nostra fortuna, Woody Allen sembra aver scelto la strada giusta e, ben lontano dal ritirarsi dalle scene internazionali, dimostra come, anche dopo aver superato il giro di boa, il cammino da percorrere è ancora lungo e denso di sfide.

Woody Allen inizia così a tessere il proprio omaggio al Vecchio Continente a cui tanto deve: una serie di film ambientati nelle maggiori capitali europee, che vengono rappresentate, descritte e esaltate dal regista, grazie alla sua inconfondibile narrazione e al suo sguardo attento, questa volta solo dietro la macchina da presa. La città che fa da sfondo alle vicende narrate è quindi essa stessa protagonista e contribuisce a plasmare l’atmosfera di tutta la pellicola, fornendo quella dose di malinconia e eleganza o di allegria e folklore che solo l’Europa sa regalare. ‘Match Point’ rappresenta, quindi, il primo passo verso questa nuova direzione.
Niente più Manhattan, ma Londra; niente più jazz, ma la musica lirica come colonna sonora; niente più risate, ma un thrilling d’amore e d’odio, di lotta di classe e di conflitti esistenziali.
Costruito come un omaggio al nichilismo di Dostoevskij e ai chiaroscuri di Hitchcock, ‘Match Point’ è un film che si fonda sul tema della fortuna, su come alcune persone sembrano essere nate sotto una buona stella, baciate dal Fato, e su come tutti noi, in un certo senso, viviamo appesi al fragile filo della sorte. E poi la bellezza, di aspetto e di modi, che finisce inesorabilmente per coprire gli inganni e gli atti più orribili.

L’arrampicatore sociale protagonista del racconto è il bellissimo Jonathan Rhys Meyers, che interpreta Chris Wilton, irlandese di origini popolari, campione di tennis mancato che si ricicla come insegnante. Per il suo fascino, la sua bravura e le sue maniere formalmente perfette, Chris viene assunto in un club aristocratico di Londra dove diventerà il paziente insegnante di tennis di riccastri e annoiati borghesi in cerca di qualche svago. Fra una partita e l’altra vedremo Chris alle prese con la sua nuova vita nella capitale inglese, diviso fra il lavoro e un piccolo appartamento in centro, dove si sistemerà e passerà le serate a leggere ‘Delitto e Castigo’. Attenzione, questo non è particolare insignificante, perché al momento giusto riconosceremo la figura del protagonista del capolavoro russo, Raskolnikov, nelle insospettabili vesti di Chris, in una variazione di intenti e di modi completamente inattesa.

Per ora, più che dalle parti di Dostoevskij, sembra di essere in quelle di Maupassant: Chris, infatti, può essere visto come un novello Bel-Ami con la racchetta, che arriva a incantare e a conquistare un giovanotto dell’alta società, Tom Hewett (Matthew Goode), appassionato di lirica come lui, che lo introdurrà nella sua famiglia. Qui Chris segnerà il suo primo match point: facendosi benvolere, grazie alla sua indiscutibile grazia e alle maniere squisite, riesce a sedurre e a sposare la sorella di Tom, l’ingenua e insipida Chloe (Emily Mortimer), facendosi contemporaneamente amare dall’intera famiglia, tanto che il suocero gli riserverà un posto d’onore nella propria azienda. Per completare questo quadretto idilliaco manca solo il sospiratissimo erede, l’ultimo step per incoronare una scalata sociale esemplare.

Ma, comprensibilmente, non tutto è perfetto come sembra e basta un solo sguardo per far crollare un castello di carte, meraviglioso all’apparenza ma, in realtà, estremamente fragile.
Perciò quando gli occhi del protagonista incrociano quelli altrettanto azzurri della bellissima e pericolosa Nola Rice, l’ambiguità sottile che disturbava l’apparente limpidezza del quadro inizia a diventare palpabile.
Nola Rice è un’aspirante attrice americana, bellissima, bionda e leggermente nevrotica, che possiede la pigra sensualità di una Scarlett Johansson appena ventenne. Nola Rice è la fidanzata di Tom e, al contrario di Chris, sembra trovarsi totalmente fuori posto in quella grande famiglia europea, tanto quanto nella Londra dei templi di lusso, delle macchine costose e delle vetrine scintillanti, che ai suoi occhi appare tanto desiderabile quanto irraggiungibile.
La borghesia ha il sangue blu, mentre quello di Nola come quello di Chris è rosso e passionale, tanto che arriverà a mescolarsi volentieri in maniera clandestina, appena i due rispettivi fidanzatini Hewett si gireranno ad assaporare un drink nel loro salotto con veduta sul Tamigi o s’incanteranno all’Opera ascoltando le arie di Verdi, Bizet o Rossini.
Drammatica e ammaliante, Nola conquista il bel tennista grazie alla sua amarezza e alla sua vulnerabilità; a far crollare Chris saranno anche la sua malizia e le sue forme perfette, ma, alla fine, a condurre le danze saranno gli agi, il lusso e le regole a cui la sua nuova famiglia lo ha abituato.

Woody Allen condisce la sua narrazione con un’ironia amara, a tratti quasi crudele, a dimostrazione di come l’umorismo sia in realtà una sfaccettatura del cinismo: senza dubbio più accessibile e meno spietato, ma, in fondo, frutto della stessa matrice. Non esiste il bene, quindi, come non esiste il male, e per i protagonisti di ‘Match Point’ non c’è neppure una morale che tenga. In fondo, a determinare il tutto, c’è la fortuna: il caso è l’arbitro supremo e inutili saranno gli avvitamenti, le rincorse e le recriminazioni dei vari personaggi, perché il loro destino è in mano alla volontà di una divinità capricciosa che non lascia spazio al libero arbitrio.
Woody Allen, dalla voce narrante dell’introduzione fino al termine del racconto, porterà lo spettatore a vivere tutta la vicenda con gli occhi del personaggio che alla fine si rivelerà il peggiore, Chris Wilton, fino a simpatizzare con lui, a comprendere le sue ragioni e perfino a giustificarlo quando da semplice opportunista si trasformerà in un vero e proprio criminale. I personaggi comprimari appaiono impotenti e ignari ma, in fondo, non molto migliori di lui: nessuno arriverà a sporcarsi le mani o a infrangere la legge ma, con le loro buone maniere e le loro convenienze personali, spingeranno tutti nella stessa direzione.

Il successo di ‘Match Point’ si giova, innanzitutto, dalla pregevole recitazione di tutti gli attori, supportata da dialoghi scritti in apparente stato di grazia, che arricchiscono la forte chimica sensuale dei protagonisti. Scarlett Johansson e Jonathan Rhys Mayers possiedono un talento e un carisma innati: entrambi sono belli, sexy e sono capaci di interpretare personaggi a tutto tondo, in grado di coinvolgere emotivamente il pubblico anche se in realtà compiono atti terribili.
Infatti, anche se Chris finirà per compiere un’azione orribile, il suo fascino porterà la maggior parte degli spettatori quasi a parteggiare per lui e, senza dubbio, a essere indulgenti nei suoi confronti. Egli, in fondo, non è intenzionalmente cattivo: è una persona per bene che, a fronte di una impulsiva decisione sbagliata, arriverà a commettere una serie di azioni sempre più deplorevoli fino all’apoteosi finale.
Woody Allen riesce a rendere in maniera perfetta il contrasto fra la crudeltà degli eventi narrati e la lussuosa piacevolezza dell’ambiente. La Londra che sceglie di descrivere, infatti, è quella stupenda e impeccabile della ricca borghesia, quella delle belle case e degli arredamenti preziosi, dei ristoranti, delle automobili e della dolce vita di giovani che non hanno altra scelta se non quella di amare l’esistenza che gli è stata donata senza alcuno sforzo.

Con maestria d’autore tutti i dettagli, le sfumature psicologiche e ambientali, i concetti di delitto e di castigo vengono fatti perfettamente coincidere da Woody Allen, che infonde nella narrazione anche le sue più proverbiali sfaccettature, quella del pessimista innato e del supremo umorista. Per il resto l’autore si eclissa e lascia agire i propri personaggi indipendenti da qualsiasi giudizio morale, usando solo come sarcastico evidenziatore una colonna sonora lirica che spazia dalle arie de ‘La Traviata’ a quelle di ‘Rigoletto’, da ‘L’Elisir d’Amore’ a ‘Guglielmo Tell’.
L’Opera entra quindi prepotentemente nel film, non solo perché i protagonisti sono mecenati della lirica, la musica che per eccellenza è in grado di descrivere il desiderio, la passione e il sangue, ma anche per ricordarci che, nella sua oscillazione fra Amore e Morte, la vita è in fondo un gigantesco melodramma.
Solenne ma essenziale, colto, raffinato e straziante: ‘Match Point’ riporta Woody Allen alle vette registiche, componendo, come solo lui sa fare, un capolavoro fuori dal tempo.
Bell’articolo, molto utile! Stavo facendo le mie belle letture di post pre-nanna, dove lasciare qualche commento, con la speranza di ritorni sul mio blog, quando ho letto questo articolo! Grazie delle dritte!!!
Articolo interessante e colgo l’occasione per complimentarmi per questo sito! veramente ben fatto e con tanti articoli utili!