`Ceremonials` di Florence + The Machine • Shake it out!
«The grass was so green against my new clothes,
and I did cartwheels in your honour,
dancing on tiptoes
my own secret Ceremonials»
Affrontare la stesura di un secondo album non è mai semplice: ci si deve dimostrare all’altezza delle premesse, soddisfacendo pubblico e critica, e occorre confermare il proprio posto fra le stelle del firmamento musicale, per non essere così classificati al rango di semplici meteore. Il “fatidico secondo album” è il disco della conferma, del “o la va, o la spacca”, e, nel volubile mercato discografico, oggi più che in passato, per molti artisti rappresenta un vero e proprio traguardo.

La prova del secondo album è proprio quello che Florence con la sua Machine si trova ad affrontare, a distanza di due anni canonici dal primo ‘Lungs’, partito in sordina per poi toccare i vertici delle classifiche, diventando fucina di singoli e collezionando premi a profusione.
Dopo il successo planetario di ‘Lungs’, alla giovane Florence Welch viene proposto di trasferirsi negli Stati Uniti: lì potrebbe studiare da vicino i grandi fenomeni del pop e, magari, conoscere qualche produttore in grado di confezionare un secondo album in grado non solo di bissare il successo dell’esordio, ma, addirittura, di superarlo. Florence però declina l’offerta. Determinata a rimanere fedele a se stessa e alla sua musica, chiede nuovamente l’aiuto dell’amico e produttore Paul Epworth e si mette all’opera in un piccolo studio di registrazione londinese. L’obiettivo? Dimostrare che il successo del suo esordio non è stato solo fortuna e confezionare un secondo album più maturo, più grande e più dark, una vera e propria “cerimonia” di consacrazione alla propria carriera. Ed è così che negli Abbey Road Studios nasce ‘Ceremonials’.
Florence is a machine.
Se ‘Lungs’ era un disco votato all’ironia e al divertimento, ‘Ceremonials’ è invece un’opera molto più cupa e intimista, nella quale Florence viviseziona e analizza le sue paure più viscerali, per poi esorcizzarle in forma musicale, forte di una notevole maturazione artistica e personale.

Dopo aver sperimentato diversi stili, l’artista ventiseienne dai capelli rosso fuoco decide di improntare la propria carriera sull’alternative rock e sul garage-pop, rileggendo tutto in chiave spirituale e mistica. Detta così, il risultato sembrerebbe al limite dell’incomprensibile, ma, fidatevi, la bella Florence sa quello che fa; non a caso la sua musica vale tre milioni di dischi venduti e 12 mesi nelle classifiche internazionali, un risultato non male per una ragazza borghese che aveva deciso di abbandonare la scuola d’arte per scrivere canzoni nella sua camera da letto di Camberwell.

Florence Welch sembra uscita direttamente dal XIX secolo, una creatura dei boschi sorpresa a danzare a piedi nudi con fate e spiriti in una radura al chiaro di luna. Il paragone non è eccessivamente azzardato, in quanto Florence stessa dichiarò come uno dei suoi passatempi preferiti da bambina fosse quello di ballare nei corridoi dei supermercati: come non vederla quindi come una fata del ventunesimo secolo, illuminata non più dalla luna ma da neon artificiali!
Florence Welch è algida e elegante, ipnotica e sensuale, ma anche incredibilmente diretta e potente. Accompagnata da una bellezza degna di un dipinto di Dante Gabriel Rossetti, Florence sembra muoversi perfettamente, quasi camminando in punta di piedi, in un genere musicale che valorizza completamente la sua straordinaria voce, a tratti lirica, a tratti soul, con una potenza evocativa e spirituale in grado di commuovere.
Incredibilmente versatile, la vocalità di Florence Welch è in continua evoluzione , tanto da abbandonare gli accenti più frenetici e fanciulleschi delle prime canzoni, per sviluppare una sfumatura più matura, consapevole e profonda allo stesso tempo. Florence non è più una bambina spaventata, ma una donna matura.
Lei sta giocando con le ragazze grandi, ora.
‘Ceremonials’ è un album a tratti delicato e a tratti monumentale, circondato da una sorta di magica sacralità. E la “cerimonia” in questione potrebbe essere tanto un esorcismo quanto un’incoronazione.

Le influenze gotiche e preraffaellite a cui Florence Welch ispira la propria immagine e i propri testi permeano l’intero album, che si rivela un efficace mix di questi fattori. Secondo una classificazione fatta dalla stessa autrice, ‘Ceremonials’ si colloca nell’ambito del “chamber soul”, neologismo che descrive un’inedita ma felicissima unione fra il soul (che in alcuni brani raggiunge sfumature gospel da messe afroamericane) e la chamber music (musica da camera).
Le canzoni, scritte tutte dalla Welch, sono sofisticate e maestose: si passa da ballate turbolente a melodie celtiche, da ritmi tribali ad arpe scintillanti, da cori gregoriani a lunghi lamenti eterei degni di una banshee. Nella versione standard, le 12 canzoni che compongono ‘Ceremonials’ possono tutte essere elette a potenziali singoli, in quanto forti di una capacità comunicativa immediata, completamente compiuta all’interno del singolo brano. La vera forza del disco, tuttavia, risulta essere ancora una volta nell’insieme.
Florence Welch lancia il suo secondo album con una congiunzione: “And I had a dream…”, come se sapesse già di possedere la nostra attenzione e la nostra fiducia e volesse raccogliere le file di una conversazione già iniziata. O, perché no, farci una confessione.

Il brano di apertura, ‘Only if for a night’, inaugura le danze con impalpabili arpe, per poi procedere con tamburi e profondi cori nel ritornello, ammaliando l’ascoltatore con suoni sorprendenti e con il linguaggio poetico tipico della cantautrice. Florence affermò in un’intervista come la fonte di ispirazione per la canzone fosse stata un proprio sogno, nel quale le apparve il fantasma della nonna, morta suicida quando lei era ancora una bambina. Florence Welch stava attraversando un periodo particolarmente buio della propria esistenza, segnato dalla depressione, e l’apparizione della nonna l’aiutò ad affrontare i propri problemi e a combattere per ritrovare la propria serenità.
‘Only if for a night’ è, in sintesi, un pezzo potente ed efficace, che riassume in sé tutte le migliori caratteristiche dell’universo di ‘Ceremonials’, grazie anche a una linea melodica incisiva e raffinita. E siamo solo all’inizio.

Il secondo brano, ‘Shake it out’, che suona ottimista e triste allo stesso tempo, costituisce ufficialmente il biglietto di ingresso per Florence nell’olimpo abitato da dive quali Kate Bush e Tori Amos.
Scritto dalla Welch dopo una sbornia, è un inno potentissimo che invita ognuno di noi a scrollarsi di dosso tutti i rimpianti, i sensi di colpa, le paure e i ricordi che ci perseguitano e che tolgono grazia al nostro cuore. Efficacissimo il ritornello, una danza frenetica che impone di scatenarsi e di abbandonare tutte le proprie ritrosie, perché è veramente difficile ballare con un demone sulle spalle. ‘Shake it out’ è forse uno dei pezzi più pregevoli dell’intero disco, una gemma che brilla incontrastata sul resto dell’opera, un gioco continuo di contrasti e chiaro-scuri che lascia letteralmente basiti.

‘What the water gave me’, al contrario, è un lungo sussurro, la colonna sonora di una moderna cerimonia sacra, che nel ritornello assume le sembianze del mantra. Ancora una volta arpe e cori celestiali si alzano alti, accompagnati da una base ritmica molto new wave. Il titolo della canzone è un omaggio a un dipinto di Frida Kahlo, mentre il tema principale è quello del suicidio di Virginia Woolf, che si lasciò annegare nel fiume Ouse con le tasche piene di sassi. L’elemento portante del pezzo è quindi l’acqua e il fascino delle cose sommerse, una fonte di ispirazione ricorrente nelle canzoni di Florence Welch.
Infatti, giusto per rimanere in tema, il brano successivo, ‘Never let me go’, tratta l’esperienza dell’annegamento e può essere quindi classificato come un seguito ideale di ‘What the water gave me’. Florence descrive la sensazione provata nell’affondare e nell’adagiarsi sul fondo del mare, in maniera rilassante ed evocativa. Al contempo, però, vi è una nota inquietante che riverbera nell’intero pezzo, un brivido gelido che ci riporta alla realtà e ci fa capire che è di morte ciò di cui, in fondo, stiamo parlando. La delicata voce di Florence, accompagnata inizialmente solo da un piano, si integra completamente con i battiti cardiaci simulati del ritornello, aprendosi in quella che forse è una delle linee melodiche più belle dell’intero album.

Florence Welch continua a coltivare il proprio immaginario onirico anche in ‘Heartlines’ e ‘Spectrum’, rispettivamente la nona e la decima canzone dell’album. ‘Heartlines’ è una cavalcata tambureggiante, un ritmo tribale che ricorda Bjork, ispirato a immagini mentali di sirene in lotta contro pirati; ‘Heartlines’ è l’esortazione a seguire il proprio destino (letteralmente, “le linee della vita” sui palmi delle mani), senza piani prestabiliti, con il solo scopo di vivere le proprie passioni e i propri amori. Florence abbraccia quindi l’avventura e il pericolo, suggerendo una destinazione reciproca fra lei e l’ascoltatore cantando “your heart is the only place that I call home”.
“Spectrum”, invece, è una canzone che descrive alla perfezione l’esperienza di illuminazione spirituale, paragonandola ad un risveglio planetario. Florence arriva ad avere fra le proprie braccia l’Oceano, un universo in cui tutti gli uomini sono fratelli e sorelle con il compito di guarire, aiutarsi e risvegliarsi a vicenda, aumentando le vibrazioni dell’umanità per l’ascensione in arrivo.
Ancora molte sono le canzoni degne di nota in ‘Ceremonials’; come non citare, per esempio, il soul rovente di ‘Lover to Lover’ o l’onirica ‘Breaking Down’? Una menzione speciale va in particolare alla preghiera innamorata di ‘No Light, No Light’ e alla litania spiritica ‘Seven Devils’: due brani molto diversi fra loro, ma entrambi di rara bellezza.

In perfetto accordo con il nome di cui si fregia, la Machine funziona alla perfezione, come un organismo unico, fornendo una colonna sonora epica, degna di una cantante purosangue come Florence Welch, in cui sono impegnati fra loro ritmo, melodia e testi che definire poetici è eufemistico, dove nevrosi e insicurezze si manifestano nelle ombre inquietanti e impalpabili di spiriti e diavoli.
Volendo fare un confronto, potremmo accostare la musica di Florence + The Machine alla new wave dei Joy Division o al post-punk dei Siouxsie and the Banshees, mentre è doveroso il richiamo a Bjork: come accade con l’artista islandese, infatti, anche ascoltando Florence Welch spesso e volentieri ci si dimentica di tutto il mondo circostante, rimanendo sospesi in un limbo, un cosmo caleidoscopico tanto affascinante quanto inquietante.
In ‘Ceremonials’ c’è tutto: c’è la luce e c’è l’ombra, amore e morte, spirito e corpo, canzoni che parlano di ascesa e altre di caduta. Florence Welch ci guida attraverso fiabeschi paesaggi onirici, catapultandoci nei drammi della vita con rabbia e bellezza, con una voce delicata e vellutata e allo stesso tempo in grado di ferire come una spada abilmente brandita. Viscerale, crudo, appassionato: neppure questi aggettivi mi sembrano sufficienti per descrivere le infinite sfaccettature di questa opera.
Non resta quindi che ringraziare silenziosamente la madrina di tale capolavoro e osservare questa brillante ascesa degna dei grandi artisti. Perché Florence Welch ballerà pure con le fate, ma è perfettamente consapevole di ciò che è in grado di regalare.