Modì e Jeanne • Se sto vicino a te…

 photo TITOLO1-1_zps00dfe1dc.png«Ricordi Via Roma? La luna rideva;
lì ti ho scelto e voluto per me.
Mi guardavi e parlavi dei volti tuoi strani,
degli occhi a cui hai tolto l’età.
Ed ora si scioglie la sera nei pernod, nei café,
nei ricordi che abbiamo di noi.
Per amore tradivi, per esister morivi,
per trovarmi fuggivi fin qua
;
perché Livorno dà gloria soltanto all’esilio
e ai morti la celebrità
»
_Vinicio Capossela, `Modì `

Molto spesso, quando le persone si trovano al cospetto di un quadro o di un qualsiasi altro manufatto d’arte, tendono a considerarlo come un soggetto isolato, dotato di una misteriosa vita a sé stante. Pochi si rendono conto di come, in realtà, un quadro non sia altro che la proiezione psicologica dell’anima di uomo che, come per miracolo, si riscopre artista.

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E’ questa sottile ma imprescindibile consapevolezza che ci porterà a guardare un’opera d’arte con sguardo diverso; ecco che ai nostri occhi ogni pennellata, ogni colore, ogni curva e ogni linea tracciata acquisirà, come per incanto, il significato dello stato d’animo dell’artista al momento della composizione; niente ci apparirà più come dettato dal caso: la scelta di privilegiare un certo tipo di pigmento, quella di utilizzare una vasta gamma di colori invece di un più radicale binomio di bianco e nero, oppure la preferenza nel rappresentare paesaggi invece che figure umane, tutto acquisirà un nuovo e più profondo significato. E’ dunque di grande interesse indagare sulle sfumature più profonde dell’anima di un artista, soprattutto se appassionato e tormentato come Amedeo Modigliani.

I miti destinati a perdurare per l’eternità, molto spesso, sono costretti loro malgrado a vivere la propria vita e la propria fortuna una volta morti. Amedeo Modigliani è uno di questi. Pittore geniale e rivoluzionario, scultore d’eccezione, contemporaneamente  mito eterno e incarnazione di un ossimoro; in se stesso infatti era in grado di coniugare tradizione e avanguardia, passione e disperazione, vita e morte, come pochi altri seppero fare.

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Le realtà di stili esistenziali e artistici opposti si fondono nell’arte di Modì, così come un’ossessione maniacale per il pensiero della morte e dell’oblio eterno, che si accompagna ad altre espressioni di vita, questa volta molto più concreta e terrena, come la sensualità e la carne. E’ dunque di questo che si compone il mito di Modigliani, un grandioso artista ma ancor di più un uomo disposto a logorarsi, fino all’estremo sacrificio, in nome della propria arte e alla ricerca di una perfezione divina, in grado di assorbire a e al contempo di soffocare ogni cosa: affetto, amicizia… e amore.

Approfondendo la vita personale di Modigliani, ci si accorge di come egli rappresenti oggi quasi la caricatura del pittore bohèmien incompreso; se Van Gogh, infatti, era il folle genio per eccellenza, a uno sguardo superficiale Modì può arrivare a rappresentare la quintessenza dell’artista maledetto, tubercolotico e alcolizzato.

Amedeo Modigliani nacque nel porto toscano di Livorno il 12 luglio 1884. Le poche testimonianze a noi pervenute, lo descrivono come un ragazzo sognante e precoce, nonostante fosse il più giovane di quattro figli, appartenente a una famiglia ebrea di coltivati intellettuali di sinistra. Il padre, Flaminio, pare fosse un fallimento nel mondo degli affari e che rimanesse assente per la maggior parte dell’infanzia dei figli; al contrario, la madre Eugenia, era una donna solerte e sensibile che, per far quadrare il bilancio, decise di aprire una scuola privata nella casa di famiglia, occupandosi dell’insegnamento di francese e inglese.

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Sebbene vi siano poche prove che la famiglia Modigliani soffrisse di antisemitismo, vi sono tuttavia numerosi segni di stress e tensioni sottostanti. Una battuta d’arresto finanziaria fece sprofondare la famiglia nell’indigenza, nel 1884, poco prima che il piccolo Amedeo nascesse; successivamente i Modigliani verranno sfrattati e saranno costretti a trasferirsi altrove. Inoltre, una delle sorelle di Eugenia si suiciderà, uno dei fratelli verrà istituzionalizzato per malattia mentale e  il figlio maggiore, Emanuale, una figura importante del Partito Socialista Italiano, verrà imprigionato giovanissimo per le sue idee sovversive e sarà poi costretto alla fuga con l’ascesa al potere di Mussolini.

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Appare quindi evidente come gli attacchi alla salute del piccolo Modì, compresa una grave forma di febbre tifoidea che sfocerà poi in tubercolosi, non fossero casuali ma appartenessero a un disegno più ampio di sofferenza familiare. La sopravvivenza e la fortuna di Amedeo furono entrambi frutto dell’intraprendenza e dell’intelligenza della madre, il vero pilastro della famiglia Modigliani, che gli consentì dopo la malattia di abbandonare completamente gli studi e di dedicarsi al disegno. Eugenia, infatti, amerà il proprio figlio minore in maniera totalizzante, anche di più rispetto ai fratelli, più grandi e non segnati, come lui, da una salute fragile e precaria.

Per riprendersi dalla grave e fiaccante malattia che lo aveva colpito, Modigliani verrà portato in giro per l’Italia dalla madre. Capri, Roma e Firenze gli forniranno una certa misura di conforto sia fisico che psichico, tanto che in quest’ultima deciderà di fermarsi per iscriversi, nel 1902, alla Scuola Libera di Nudo di Giovanni Fattori. E’ proprio qui, infatti, che Modì inizierà ad affinare le tecniche dell’arte pittorica, dedicandosi in particolar modo a un tema che segnerà profondamente la sua produzione: la figura delle donna e il nudo femminile.

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E’ del 1903, invece, il suo trasferimento a Venezia, dove continuerà a studiare presso il Regio Istituto di Belle Arti, sostenuto economicamente dallo zio Amèdèe Farsin. La Venezia di inizio Novecento era una città stimolante e cosmopolita, una delle più importanti capitali mondiali dell’arte, tanto che risale proprio al 1885 l’inaugurazione della Biennale che ben presto diventerà la più importante mostra d’arte internazionale. Venezia era la capitale della pittura e del colore, ma per un giovane artista avido di esperienze il sogno era rappresentato da Parigi. In proposito, Modigliani, a 17 anni, scrisse da Venezia al suo amico Oscar Ghiglia: «Bisogna sempre parlare e procedere in avanti. L’uomo che non è in grado di trovare sempre nuove ambizioni e una nuova personalità dentro di sé… non è un uomo».  Era naturale, quindi, che le sue ambizioni lo portassero in Francia; d’altronde un artista, come Modigliani amava dire, citando Nietzsche, “è un uomo che non ha altra patria in Europa che Parigi!”.

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E’ così che, all’età di soli 21 anni, nel 1906, Modigliani parte per Parigi. Pare di vederlo nel suo scompartimento di seconda classe, con indosso un vestito nero elegantemente su misura e un drammatico mantello dello stesso colore. Anche se impercettibilmente, sembrava più alto del suo metro e 67 centimetri, e si comportava da vero aristocratico. Nella sua valigia portava una consunta edizione di Dante – autore che era incline a recitare a memoria, giorno e notte, a chiunque vi prestasse orecchio – e una piccola riproduzione di un dipinto dell’artista veneziano Vittore Carpaccio, l’immagine di due cortigiane che avrebbe immediatamente attaccato a una parete di una della serie infinita di stanze in affitto che avrebbe abitato a Parigi. Modì aveva inoltre abbastanza soldi, concessi dall’amorevole madre, per mantenersi senza lavorare per un paio di mesi, a patto che fosse stato attento. Ma Modigliani, proverbialmente, non era mai stato un ragazzo particolarmente “oculato”.

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Ed eccolo lì, finalmente, a Parigi! Per iniziare, decise di sostare per breve tempo in un albergo del centro; tuttavia, esauriti e scialacquati i soldi della madre, sarà presto costretto a trasferirsi a Montmartre e, dopo ancora, a Montparnasse, per eccellenza il quartiere degli artisti. Grazie alle origini francesi della madre, Modigliani era in grado di parlare  fluentemente la lingua parigina, per cui ambientarsi non costituirà per lui un gran problema e, ancor meno, fare nuove conoscenze. Molti, di Modigliani, furono anche gli incontri celebri. A dir la verità, a quell’epoca a Parigi era una vera rarità non conoscere qualche “pezzo grosso” dell’arte.

Ben presto Modigliani scoprì l’opera di Renoir, Degas, Gauguin e, tra i più giovani e più radicali, Matisse e Picasso. Cézanne, in particolare, arrivò ad affascinarlo: pare che pronunciasse “admirable!” ogni volta che il nome di Cézanne venisse menzionato, per poi tirare fuori dalla tasca una riproduzione del `Ragazzo con giubbotto rosso` e baciarla.  Non è un caso, quindi, che le prime opere a firma di Modì fossero cupe e introspettive, influenzate dalla tecnica pittorica degli Impressionisti e, ovviamente, dall’arte di Cézanne e Toulouse-Lautrec.

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Fu a Parigi che Modigliani iniziò ad assumere rapidamente la posa del fiammeggiante artista bohémien: era solito a frequentare i luoghi di ritrovo degli artisti di Montmartre e Montparnasse, indossando una brillante sciarpa di seta attorno al collo al posto della cravatta, e presentandosi con il soprannome di Modì, un gioco di parole fra il proprio cognome e l’espressione francese di `peintre maudit`(`pittore maledetto`).  L’artista russo Chaim Soutine divenne suo grande amico, mentre Maurice Utrillo, ricordato in seguito per le sue raffigurazioni di Montmartre, era il suo compagno di bevute preferito. Modigliani divenne amico anche di Picasso, anche se non faceva parte direttamente della sua cerchia. Picasso, che all’epoca manteneva l’aspetto di un miserabile operaio con i suoi abiti rattoppati e i suoi maglioni da pescatore, sembrava ammirare più il guardaroba di Modigliani che i suoi quadri, tanto che, in necessità di una tela, un volta dipingerà sopra un lavoro dell’amico appena acquistato. Modì, da parte sua, riconosceva il genio del pittore spagnolo, ma sosteneva senza diritto di replica che il talento artistico non pregiudicava il vestirsi decentemente.

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Tuttavia, per quanto riguarda la carriera pittorica, Modigliani stentava ad emergere. Il primo patrono che riconobbe il suo talento fu un giovane chirurgo e aspirante commerciate, Paul Alexandre, che gestiva una comunità artistica a basso costo in un fatiscente appartamento parigino in Rue du Delta. Modigliani iniziò a dipingere su commissione, consegnando le proprie opere ad Alexandre che pagava una tela 10 o al massimo 20 franchi e un bozzetto 20 centesimi. Non era molto, ma all’artista fu promesso di essere rimborsato appena i dipinti avessero ottenuto una maggiore quotazione. Modì dipingerà due ritratti del suo committente, uno più convenzionale, nella tipica posa con la mano sinistra su un fianco, e un altro, tratteggiato questa volta a memoria, dove Alexandre verrà rappresentato con uno stile più caratteristico al Modigliani che oggi conosciamo, con pennellate rapide, viso allungato e i tipici occhi vacui che diverranno il suo marchio di fabbrica.

Modigliani, nel 1907 e nel 1908, riuscì a far partecipare sette dei suoi acquerelli ad olio a due mostre parigine, ma, nonostante questo, continuò ad attirare poca attenzione. A eccezione di Paul Alexandre, nessuno sembrava interessato alla sua arte. Amareggiato, abbandonò temporaneamente il mondo della pittura per dedicarsi invece alla scultura su pietra, ispirato dal proprio vicino di casa, lo scultore rumeno Constantin Brancusi. Modì riteneva che scultori come Rodin e i suoi seguaci avessero danneggiato l’arte della scultura, facendo affidamento alla terra e al fango, mentre il vero artista doveva scavare direttamente la pietra. Iniziò quindi a scolpire  lui stesso e per farlo si ritrovò a rubare pezzi di calcare dai cantieri.

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Nonostante la polvere scaturita dalla pietra indebolisse ulteriormente i suoi già fragili polmoni, Modigliani diede vita a una serie di incisioni di grandi teste di pietra stilizzate, caratterizzate da nasi incredibilmente lunghi e bocche increspate, un mix inedito che combinava la prima scultura rinascimentale al misticismo esotico dei monoliti dell’Isola di Pasqua. L’influenza dell’arte tribale, in particolare quella africana, che spopolava nella Parigi di inizio secolo, influenzò fortemente Modì nella sua arte scultorea, tanto da riuscire a coniugarla con altri elementi della sua cultura più tradizionale, come l’arte della Grecia arcaica e l’attitudine iconica di quella Bizantina.

Purtroppo, le teste scolpite da Modigliani erano semplicemente troppo bizzarre per attirare degli acquirenti, così finirono relegate al ruolo di candelabri nel caotico studio del loro creatore.
Nonostante il mancato successo, la scultura aiutò l’artista a riflettere sull’opportunità di semplificare le forme e su come fosse possibile mostrare l’essenza di una cosa con i mezzi più semplici possibili. Grazie a questo, infatti, Modì ritornò a dedicarsi alla pittura con energia e fiducia rinnovate.

Nel 1916, Modigliani fece amicizia con un piccolo trafficante d’arte di nome Leopold Zborowski, emigrante polacco e aspirante poeta, che si accordò con l’artista per una regolare produzione mensile di dipinti in cambio di una piccola indennità. Come parte della transizione, Zborowski diede all’artista una scorta di cibo, di colori per dipingere, uno studio in cui lavorare e perfino il carbone per riscaldarlo. Il carbone, in particolare, si rivelerà di proverbiale importanza per il gelido inverno del 1917, quando, sotto l’incoraggiamento di Zborowski, Modigliani dipingerà una serie di nudi di grandi dimensioni che ancora oggi vengono ricordati fra le opere più indelebili dell’artista.

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I nudi femminili di Modigliani rappresentavano donne provocanti e lascive, che mostravano con orgoglio le loro sinuose e abbondanti forme. A differenza del corpo, il volto era stilizzato, trattato in maniera completamente diversa rispetto alla restante parte del dipinto, come se Modigliani volesse staccare la raffigurazione della testa dal resto della composizione. La particolarità più interessante di queste rappresentazioni, tuttavia, era la presenza di peli pubici, una totale novità nella tradizione artistica occidentale, per la quale i nudi dovevano essere privi di qualsivoglia peluria per indurre l’idea di una rappresentazione pura e idealizzata. Per questo e per la posa delle modelle, i nudi di Modigliani vennero considerati pornografici, tanto da essere rimossi da diverse esposizioni; tuttavia, la loro supposta oscenità divenne paradossalmente celebre, tanto da diventare parte integrante del mito dell’artista.

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Che Modigliani, per gran parte della sua vita, fosse meglio conosciuto come personaggio che come pittore è ormai noto. Ancora 40 anni dopo la sua morte, la figlia Jeanne, durante un lungo percorso di ricerca per riabilitare la figura artistica del padre, fu costretta a fronteggiare i numerosi pregiudizi che ancora offuscavano la sua figura, sia quelli di coloro che quasi svenivano al ricordo dei suoi soavi modi sofisticati, sia quelli di molti altri che, invece, lo ritenevano un buffone insopportabile e un noioso ubriacone guastafeste.

D’altronde, Modigliani non faceva nulla per mantenere un contegno sobrio e riservato, tanto che ben presto la sua vita parigina si riempì d’eccessi. Modì, per combattere la malattia e la depressione, iniziò a consumare dosi di alcol e droga in quantità sempre più massicce e non si tirò indietro allo sperpero di denaro e al totale smarrimento che gli venivano proposti da quella affascinante città stregata dal vizio. Si racconta di come Modì non fosse mai privo di una scatoletta contenente una certa quantità di hashish e del fatto che venne definito dal pittore tedesco Ludwing Meidner come “l’ultimo vero bohèmien”.

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A parere di numerosi storici, Modigliani iniziò deliberatamente ad erigere uno schermo fatto di fumo, di droga e di lussuria sfrenata, per nascondere il suo vero segreto, la tubercolosi, all’epoca considerata una malattia tabù – come in seguito sarà l’AIDS -, trasmessa, si pensava, attraverso la contaminazione di lenzuola sporche e da una vita vissuta nello squallore. Mentre alcuni lo additano ancora oggi come un inguaribile e squattrinato donnaiolo, molti storici sono concordi nel ritenere come l’alcol e le droghe fossero l’unico mezzo tramite il quale Modì, in qualche modo, era in grado di continuare a funzionare, un necessario anestetico in grado di lenire i dolori del corpo e dell’anima.

Fu questo il periodo eroico della vita di Modigliani, un uomo che sapeva di star per morire ed era conseguentemente consapevole che l’unico modo per sconfiggere e ingannare la morte era vivere tutto e subito, tanto da tentare di comprimere innumerevoli vite in una sola. Modì dipingeva costantemente, instancabile, fra colpi di tosse, ubriacature e esperimenti con le droghe; nel frattempo, tentava di soddisfare la sua irrefrenabile lussuria, sintomo di una solitudine troppo a lungo coltivata, con un’infinita serie di donne, le stesse che, nude e immodeste, ora ci guardano dai suoi dipinti con lunghi e vuoti occhi a mandorla.

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Ogni giorno vissuto da Modigliani era pari a quattordici anni di struggimento, di orge e di tragedia per un uomo comune, sottoposto alla tripla maledizione della malattia, del fallimento e della povertà. Si soleva dire che il sole, quando splendeva, fosse l’unica cosa pulita capace di penetrare nella sua stanza, per il resto completamente squallida e grigia; grigie erano le coperte del letto, così come gli asciugamani appesi sopra la vasca da bagno sbrecciata, e come i muri, divorati dall’umidità, scrostati e macchiati come lebbrosi di pietra.

Eppure, nonostante tutto, Modigliani era amato, soprattutto dalle donne. Pare che generò un numero imprecisato di figli illegittimi, anche se la sua prima relazione duratura e degna di nota fu quella incredibilmente burrascosa con la scrittrice Beatrice Hastings (pseudonimo di Emily Alice Haigh), un rapporto eccezionalmente feroce che durò solo un paio di anni.

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La convivenza fra Modì e Beatrice fu caratterizzata da una profonda passione, pari solo alla violenza con cui si trattavano; molte sono le storie che si sprecano su di loro, come ad esempio quella che vuole Beatrice scaraventata fuori da una finestra dal suo amato, oppure quella in cui Modigliani corse sconvolto da un amico pittore per confidargli che la compagna gli aveva morso i testicoli.

Beatrice Hastings è entrata nella leggenda come una vera e propria femme fatale, eccentrica, autoritaria e seducente. Secondo alcuni fu lei a gettare Modigliani nell’abisso dell’alcolismo e della tossicodipendenza; per altri, invece, cercò di frenarlo e di trovargli committenze di lavoro. Poco importa che bella, raffinata e ricca, si divertisse a sfoggiare strani capelli o a portare con sé cestini contenenti anatre vive: Beatrice fu la prima donna importante nella vita di Modigliani e non solo, come le altre, un’amante o una modella.

Tuttavia, non sarà lei a passare alla storia come la compagna di vita, il vero grande amore di Amedeo Modigliani. Beatrice, infatti, presto se ne andrà, stanca degli eccessi e dell’insuccesso dell’amante, ma il suo posto verrà presto ricoperto da una donna degna di portare questo nome: Jeanne Hébuterne. Delle numerose donne che erano entrate e uscite dalla vita di Modì, Jeanne fu l’ultima ma, senza alcun dubbio, la più importante, tanto da diventare anche la sua musa privilegiata, ritratta in una ventina di quadri e in altri innumerevoli disegni. Il loro amore fu intenso, malsano e, ahimè, destinato a sfociare in tragedia.

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Quando Modì vide per la prima volta Jeanne Hébuterne era il 1917 e lei era una promettente studentessa d’arte di soli 19 anni. Fu amore a prima vista, tanto che, dopo una fugace presentazione, Jeanne acconsentì a diventare immediatamente la sua amante. Tuttavia, la loro relazione non avrebbe avuto vita facile, dato che, fin dal principio, venne fortemente osteggiata dai coniugi Hébuterne: la madre, casalinga e bigotta, e il padre, un contabile, non tolleravano che la loro unica figlia femmina frequentasse quello strano ebreo italiano, spiantato, di 14 anni più vecchio di lei e dalla fama di donnaiolo, tossicodipendente e alcolizzato. Jeanne, tuttavia, non demordeva e, anche a costo di essere ripudiata, continuava a frequentare il suo amato Modì. Il perbenismo e l’ipocrisia dei genitori, tuttavia, non perdonarono il suo amore: presto venne cacciata di casa e abbandonata al suo destino.

Jeanne e Modì iniziarono così a vivere insieme all’insegna della povertà e dell’arte, in una fatiscente abitazione in Rue de la Grande-Chaumiere, dove passavano le loro giornate a dipingere l’uno di fronte all’altra. Ma chi era questa giovane ragazza che era stata in grado di stregare il cuore di un artista così irrefrenabile e appassionato?

Per molto tempo, nulla si seppe dell’identità della misteriosa Jeanne Hébuterne, fino a quando nel 2000, dopo ben 80 anni, i discendenti delle due famiglie decisero di rivelare i particolari di una vicenda che per lungo tempo avevano tentato di insabbiare, in quando considerata profondamente vergognosa e imbarazzante.

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Nata a Parigi il 16  aprile 1898, Jeanne Hébuterne appariva l’incarnazione vivente della bellezza che Modì aveva per lungo tempo ricercato e coltivato nella sua arte: affascinante come la protagonista di un quadro preraffaelita, con capelli color cioccolato – spesso acconciati in due lunghissime trecce -, gli occhi di un azzurro chiarissimo e la pelle bianca come la neve, si guadagnò per questo contrasto di colori il soprannome di `Noix de Coco` (`Noce di Cocco`). Anche Jeanne era una pittrice, di rara delicatezza e sensibilità, in grado di trasmettere attraverso la sua pittura cristallina il suo incantevole e fragile mondo interiore.

Al contrario di Modì, che non ambiva a dipingere paesaggi, Jeanne amava ritrarre il suo piccolo mondo fatto di incanto e di quotidianità, come ciò che vedeva fuori dalla finestra o gli interni della casa di Montparnasse. Tuttavia, per la sua incredibile timidezza e pudore, gli amici di Modì la consideravano una ragazza strana, poco brillante e insignificante; d’altronde, Jeanne era così introversa che Hanka, la moglie di Zborowski, affermò di non aver mai sentito la sua voce. In realtà, altre a una riservatezza naturale, Jeanne si ritrovava appena ventenne scaraventata in mondo di personalità più grandi di lei, molto spesso spavalde, sboccate ed esuberanti, quelle di coloro che sarebbero diventati i nuovi protagonisti dell’Arte Moderna, per cui non è difficile capire il suo smarrimento e la sua soggezione.

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Modì stesso, inoltre, non le risparmiava crucci e tensioni, spesso dovute all’eccessivo abuso che egli continuava a fare di alcol e di droghe. Eppure Jeanne non si ribellava, non insorgeva neppure quando veniva maltrattata in pubblico, quando veniva trascinata per un braccio o quando le venivano tirate le trecce da quell’uomo che, da amante affettuoso, improvvisamente si trasformava in un pazzo collerico. A Jeanne non importava di quanti schiaffi o di quanti insulti prendeva, perché lei era innamorata del suo Modì, tanto da rimanergli accanto per tutto il resto della sua vita.

Nel 1918, con Parigi sotto i bombardamenti tedeschi, Jeanne incinta e un Modì dalla salute sempre più precaria, Zborowski prenderà le redini della situazione e organizzerà un rifugio artistico per i due amanti in Provenza, dove rimarranno per quasi un anno. Fu un periodo di nuovo splendore per Modigliani, segnato dalla nascita di sua figlia, che verrà chiamata con il nome della madre, e da nuove e sempre più audaci composizioni pittoriche.

Il 31 maggio 1919, finita la guerra, Modì era di nuovo a Parigi. Un mese dopo fu raggiunto da Jeanne con la bambina, che gli rivelò di essere nuovamente incinta. La gioia per la nuova gravidanza fu però minata dalla ritrovata precarietà della loro esistenza, vissuta sempre più in mezzo agli stenti e segnata da una malattia ormai inguaribile; nonostante tutto, però, l’amore fra Jeanne e Modì non si spense, anzi, si fece sempre più intenso e appassionato: Jeanne continuava a dipingere e lo stesso faceva il suo amato, che la ritrasse in una serie di ritratti fra i più suggestivi da lui mai composti.

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Agli inizi del nuovo anno, tuttavia, le condizioni di salute di Modì peggiorarono drasticamente. Una notte, uscito per la solita serata di bagordi con gli amici, fu ritrovato svenuto per strada e venne portato a casa ubriaco e con la febbre altissima. Jeanne era completamente sola a fronteggiare quella situazione, ma non demorse, assistendo il suo uomo per una settimana, accanto al suo letto, senza mai muoversi, nonostante fosse fiaccata dalla gravidanza e indebolita dai morsi della fame e dal freddo di quella stanza priva di riscaldamento. Ormai preda del “delirium tremens”, pochi giorni dopo Modigliani venne ricoverato, in coma e in condizioni disperate; morì dopo soli due giorni, senza aver mai ripreso conoscenza, e le ultime parole che  pronunciò nel deliro furono “Mia cara, cara Italia”.

Jeanne era disperata. Era ormai entrata nel nono mese di gravidanza ed era sola, abbandonata da tutti e, soprattutto, dal suo amatissimo Modì. Il dolore per la perdita del suo unico grande amore fu troppo: ventiquattro ore dopo la morte di Modigliani, Jeanne Hébuterne si suiciderà, insieme al bambino che teneva nel grembo, buttandosi dalla finestra di casa al quinto piano.

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Jeanne verrà sepolta alle 8:00 del mattino in una fredda giornata di gennaio, senza che nessuno fosse a conoscenza del suo funerale; la famiglia, vergognandosi profondamente della vita e della fine indecorosa della figlia, la seppellirà al Bagneux, un piccolo cimitero di periferia. Pare, addirittura, che inizialmente i genitori rifiutassero di riconoscere il cadavere e fu solo grazie al fratello André, che agì in segreto, che la ragazza poté conquistarsi quell’anonima e desolata sepoltura.

Il giorno prima, verso le due del pomeriggio, si erano svolti, invece, i funerali del suo amato Modigliani, a cui parteciparono una grande folla di amici e seguaci, quasi tutti artisti: pittori, intellettuali e poeti. Modì fu inumato nel cimitero di Père Lachaise e dovettero passare ben otto anni prima che Jeanne fosse diseppellita e spostata – come era suo desiderio – accanto alla tomba del suo amato e padre della sua unica figlia. Gli epitaffi dei due amanti, ancora oggi, ne sottolineano la differenza di ruoli sociali attribuiti all’epoca: per Modigliani gli amici scrissero “Colpito dalla morte del momento della gloria”, mentre per lei fu dedicato solo un anonimo “Devota compagna fino all’estremo sacrificio”.

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Uno dei numerosi paradossi della carriera e della figura di Modigliani è che, nonostante fosse costantemente torturato dalla malattia e da una vita fondamentalmente ingiusta, fu in grado di produrre in modo perlopiù sereno un consistente corpus di opere. Jean Cocteau, amico e estimatore di Modì, circa 40 anni dopo la loro conversazione in un caffè parigino, scrisse come “Montparnasse chiamò Modigliani, il genio più semplice e più nobile di quell’età eroica”. Eppure, per lungo tempo, i volumi di storia dell’arte stentarono a parlare di lui. Il suo lavoro, oggi visto come un fondamentale punto di passaggio fra la pittura classica italiana e l’avant-garde del Modernismo, era a quanto pare troppo difficile da incasellare in un canone preciso del XX secolo e la sua vita tragica, per lungo tempo, contribuì ad oscurare i suoi successi come grandioso artista.

Modigliani fu una vera e propria anomalia per la sua epoca. Mentre la maggior parte dei pittori del tempo sentiva il dovere di incasellarsi in uno dei nuovi movimenti artistici – Fauvismo, Futurismo, Dadaismo e via dicendo -, Modì rimase sempre alieno a questa abitudine; d’altronde, il fatto di dipingere esclusivamente ritratti era molto insolito, se non totalmente unico, per la sua epoca. Ma Modigliani era felice di distinguersi e riteneva che un’artista automaticamente perdesse di credibilità nel momento in cui sentisse il bisogno di fregiarsi con un’etichetta.

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E’ così che Modigliani, con le sue linee nitide, le curve morbide dei suoi nudi e il fascino misterioso delle sue figure dal lungo collo e dagli occhi privi di anima, diede avvio a una nuova corrente pittorica che lo vede come unico e sublime interprete.

Modigliani, in breve, dipingeva le persone: questa rapida definizione è in grado di riassumere gran parte della produzione dell’artista, che fece dei suoi colli da cigno, degli occhi di giada e delle bocche scolpite in un’infinita espressione di tristezza, il proprio marchio di fabbrica.
Se Picasso rese il mondo una “fabbrica di orologi” e fece di se stesso “un celestiale orologiaio”, Modigliani costruì un sorprendente album di ritratti delle personalità artistiche del suo tempo e del piccolo mondo di persone che vivevano intorno a lui. Modì dipingeva scultori, come Brancusi e Laurens; poeti, come Cendras e Cocteau; altri pittori, come Soutine e Kisling; gli uomini e le donne eleganti che vedeva uscire dall’Operà; ma anche portinai, cameriere, musicisti di strada, bambini dei vicini e, in particolare, le sue amiche e le sue amanti. Sembrava posseduto dal profondo e insaziabile desiderio di ritrarre chiunque intorno a lui e, in questo modo, di renderlo immortale.

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La maggior parte delle figure dipinte da Modigliani emanano un infinito senso di solitudine, isolamento e nostalgia, riflettendo l’introspettiva natura del loro artista. Le loro posture, composte, con le mani incrociate spesso sul ventre o che delicatamente sfiorano il viso, suggeriscono un atteggiamento di sottomissione e un’attitudine all’autodifesa, come se fossero circondate da forze profondamente ostili. Sembrano tutti bambini feriti – anche se alcuni di questi bambini possiedono barba e capelli grigi – come se il loro mondo fosse un enorme asilo gestito da adulti molto scortesi. Lo spoglio e fumoso fondale su cui tali figure si stagliano, invece, si erge a simbolo del nebuloso mondo fatto di alcol, droghe e indefinita nostalgia in cui Modì era costretto a vivere.

Nonostante tutto, le donne di Modigliani si ergono maestose e orgogliose, solide come monoliti ancestrali, gli occhi profondi e imperscrutabili come quelli di un idolo, che resiste imperterrito agli attacchi degli elementi e al trascorrere dei secoli; i suoi uomini, invece, sono come divinità azteche o di qualche altra civiltà perduta: distaccati, immutabili ed eterni. Modigliani simboleggiava attraverso le sue donne l’archetipo materno, una figura che doveva essere amata e rispettata, mentre gli uomini erano guardiani di un passato perduto, per cui la morte non poteva e non doveva esistere.

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Una delle più suggestive caratteristiche dei ritratti di Modigliani è il lunghissimo e delicato collo. Secondo una lettura psicologica, quando un artista dimostra un ossessivo interesse per i colli nei suoi dipinti, rivela come sia preoccupato del conflitto fra i suoi impulsi fisici e le limitazioni che la mente razionale impone sopra di essi; il collo, infatti, per antonomasia è l’organo che divide la vita intellettuale – incentrata nella testa – dalle forze istintive che albergano nel resto del corpo.

A conferma di questa ipotesi, le teste dei soggetti di Modigliani sono storte e deformate. La testa è il simbolo dell’ego, la sede di tutti i nostri poteri sociali e intellettuali e, soprattutto, del nostro autocontrollo. Quando un soggetto perde il controllo su se stesso, di solito compensa questa mancanza ingigantendo e alterando le teste nei suoi quadri.

Gli occhi semichiusi e nebulosi dei dipinti di Modigliani, invece, secondo alcune interpretazioni, indicano una certa dose di immaturità emozionale; sono occhi che guardano il mondo senza realmente vederlo, eccettuando una sottile percezione di un insieme di stimoli esterni e incontrollabili. Attraverso gli occhi semichiusi e apparentemente privi di un’anima, l’artista raffigura così la distanza che percepisce fra il proprio Io e la realtà esterna, impostagli dalla malattia, dalle droghe e dall’alcolismo; d’altra parte, gli stessi occhi rappresentano il desiderio di lasciare il mondo con le sue sofferenze fuori dalla propria sensibilità, concentrandosi unicamente su se stessi e sull’ossessione del proprio corpo malato che non si è in grado di controllare.

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Attraverso la sua pittura e la sua vita, Modigliani diede libero sfogo ai propri istinti fino a quando non concluse la sua vita bruciando nel fuoco della sua stessa dannazione, anche se non permise mai alle tragedie della sua vita di intaccare la purezza e la bellezza dei suoi quadri.

La scelta di rappresentare esclusivamente figure umane, è un chiaro indizio di come Amedeo Modigliani nutrisse un segreto e indomabile terrore nei confronti della solitudine; i suoi nudi, allo stesso modo, indicavano il suo tentativo di fuga per mezzo della carnalità e della lussuria. L’ossessione di rendere immortali i suoi soggetti, impartendo ad essi le sembianze di idoli senza età, rivela come il suo più grande desiderio fosse trascendere i limiti imposti ai comuni mortali, di cui si sentiva disperatamente parte integrante.

Le figure di Modigliani, ancora oggi, sembrano al di là della morte e di qualsiasi sofferenza, perché egli stesso li aveva trasformati in ideali scultorei con l’unico potere che deteneva nelle sue mani: quello della pittura. E l’ancestrale serenità e la malinconica calma che imprimeva nei suoi dipinti, era l’ultimo estremo e disperato tentativo di un uomo realizzare il sogno di pace che mai poté ottenere nella sua tormentata e dannata vita.

«Ma io sto vicino a te,
in silenzio accanto a te;
stai vicino a me,
questa notte e domani… se puoi
»

Comments
13 Responses to “Modì e Jeanne • Se sto vicino a te…”
  1. RigelGrace ha detto:

    Credits:
    • IMAGE 2: `Ritratto di una donna in un Black Tie` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 9: `Ritratto di Paul Alexander` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 10: `Head` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 11: `Nudo sul divano` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 15: `Nudo seduto sul divano (Beatrice Hastings)` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 16: `Jeanne Hébuterne con cappello` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 21: `Ritratto di signora Van Muyden` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 22: `Donna rossa` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 23: `Donna dagli occhi azzurri` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 24: `Ritratto di Leopold Zborowski` by Amedeo Modigliani©
    • IMAGE 25: `Ritratto di Jeanne Hébuterne (1918)` by Amedeo Modigliani©

  2. Curi ha detto:

    involontariament avevo cominciato a leggere il post cantando, poi mi sono ricordato che era la canzone di capossela che conoscevo ! bellissimo post

  3. lunatraigiunchi ha detto:

    Bellissimo articolo e blog. Io ti seguo.

  4. beloved86 ha detto:

    Mi si è spezzato il cuore a leggere questa storia.

  5. Silvia ha detto:

    Complimenti!!! Un articolo fatto molto bene… sei davvero molto brava a scrivere. Ti seguirò

  6. Paola ha detto:

    Ho pubblicato questo bellissimo articolo sulla mia pagina FB..lo trovo fantastico. Spero senza offesa…

  7. Anonimo ha detto:

    Mah… bigottismo…perbenismo e ipocrisia… mi sembrano giudizi piuttosto superficiali… vorrei vedere voi al posto dei genitori di Jeanne! Un tantino di preoccupazione l’avreste avuta anche voi… o no?!?

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