`Breaking Bad` • «Look on my works, ye mighty, and despair!»

Jesse: «Nah, come on! Man, some straight like you,
giant stick up his ass, all of a sudden at age,
what, sixty, he’s just gonna break bad?».
Walt: «I am awake».[1]
_ `Pilot` (1×01)
Un paio di pantaloni color cachi fluttua liberamente nell’aria, stagliandosi contro il cielo terso del New Mexico. L’indumento indugia per qualche momento sullo schermo, trasportato e gonfiato dal vento, fino a quando un Winnebago in corsa forsennata non sopraggiunge a trascinarlo in mezzo alla polvere. Alla guida del camper c’è un uomo di mezz’età, terrorizzato e seminudo, con indosso nient’altro che un paio di slip bianchi e una maschera antigas; al suo fianco, sul sedile passeggero, un ragazzo giace in stato comatoso, mentre sul retro altri due corpi rotolano inerti a ogni sussulto del veicolo. Il nome del guidatore è Walter Hartwell White – come lui stesso dichiarerà pochi momenti dopo, nell’atto di registrare un messaggio d’addio per la sua famiglia – e sarà necessario tornare indietro di qualche settimana per capire quali circostanze lo abbiano portato ad affrontare questa assurda situazione.
1. GENESIS. «Il rischio più alto che potessimo correre»
Ripercorrendo gli scritti riguardanti la genesi di `Breaking Bad` non è raro imbattersi in riferimenti circa l’affabile gentilezza del suo autore, Vince Gilligan, così come ai suoi modi cortesi e cordiali da vero “gentiluomo del Sud”. Nel pizzetto curato e negli occhiali spessi, infatti, sembra ancora di vedere il volto di quel ragazzo della Virginia che, appena compiuti i vent’anni, aveva deciso di trasferirsi da Richmond a New York per frequentare la facoltà di cinema della città. Risulta dunque assai bizzarro associare l’immagine di quest’uomo, così pacato e perbene, alla mente in grado di produrre alcune delle scene più assurde e disturbanti della storia della tv – come quella in cui un cadavere viene dissolto nell’acido all’interno di una vasca da bagno, con il risultato di sciogliere sia la ceramica che il pavimento sottostante, facendo precipitare l’orrido contenuto di fronte ai protagonisti con tanto di sonoro “splash”. Eppure, a ben vedere, Vince Gilligan non è mai stato nuovo ai territori dell’inquietudine.
La carriera televisiva del giovane Gilligan era iniziata con `X-Files`, la serie creata da Chris Carter e incentrata sulle vicende di due agenti dell’FBI, Fox Mulder e Dana Scully, chiamati a indagare su casi di natura paranormale. A fronte della richiesta del network di produrre stagioni con più di venti episodi, Carter era giunto ben presto a elaborare una soluzione ingegnosa: per metà della sua durata la serie avrebbe puntato su storie auto-conclusive, spesso bizzarre e divertenti, mentre il resto sarebbe stato dedicato alla realizzazione di una mitologia a lungo termine, capace di unire incontri alieni, agenti segreti e teorie del complotto. Per ironia della sorte – considerato che sarebbe diventato un maestro della serialità –, a Vince Gilligan fu affidato il compito di occuparsi proprio degli episodi auto-conclusivi. Il suo approccio alla materia fantascientifica apparve fin da subito particolare, spesso umoristico se non addirittura parodico, pur calato nel contesto di un drama piuttosto cupo. «Non ho mai pensato a me stesso come a una persona particolarmente divertente», avrebbe affermato in seguito. «Tuttavia, quando ho iniziato a scrivere per il cinema, sono finito per orbitare attorno alla commedia […] Ero il classico autore leggero e stravagante da commedia romantica, preoccupato di non riuscire ad adattarsi al clima di `X-Files`».
In seguito, Gilligan fu chiamato a lavorare a un ulteriore spin-off della serie, `The Lone Gunmen`, un progetto fallimentare fin dalle sue premesse. Dopo la prevedibile cancellazione, infatti, il giovane showrunner decise di abbandonare il mondo della serialità televisiva a favore del cinema, per dedicarsi alla stesura di `Hancock`, pellicola incentrata sulle avventure tragicomiche di un supereroe scontroso e alcolizzato. «Non c’è niente di più logorante che fare un lavoro per il quale ti pagano benissimo […] ma che non ti dà la minima certezza se quello a cui stai lavorando verrà realizzato o meno», dirà egli a tal proposito.
Dopo 5 anni di rifiuti e ripensamenti, nel bel mezzo di una delle infinite riscritture del film, Vince Gilligan ebbe un’amichevole conversazione telefonica con lo sceneggiatore Thomas Schnauz, conosciuto nei giorni gloriosi della writers’ room di `X-Files`. Dopo essersi lamentati circa lo stato di stagnazione dell’industria cinematografica, i due amici iniziarono a chiedersi cos’altro potessero fare in virtù delle proprie competenze. «Commessi in un supermercato?», propose ironicamente Gilligan. «Potremmo comprare un camper e costruirci un laboratorio di metanfetamina», ribatté Schnauz, richiamando alla memoria l’impresa compiuta qualche tempo prima da un intraprendete protagonista della cronaca locale. «Qualcosa fece clic nella mia mente», ricorderà in seguito Gilligan. «Capire che cosa fosse quel clic richiese un attimo di acuta curiosità, dal quale emerse un personaggio che era molto simile a me, rispettoso della legge eppure pronto a compiere un atto simile, a installare un laboratorio di metanfetamina sul suo camper e a trasformarsi in un criminale». L’immagine prodotta da quella suggestione fu tanto potente da indurre Gilligan a riattaccare il telefono e a scarabocchiare precipitosamente i primi appunti. Fu così che, nell’arco di pochi minuti, il cuore di `Breaking Bad` venne posto nero su bianco, per l’incredulità totale del suo stesso autore.
Una volta concepita l’idea per una serie tv di successo, lo step successivo è quello di trovare un network abbastanza lungimirante da potervi investire tempo e denaro. Questo divenne l’obiettivo principale di Vince Gilligan che, insieme all’agente Mark Gordon, iniziò a prendere parte a una lunga serie di incontri con i responsabili di vari canali via cavo. Un protagonista di mezz’età invischiato nel commercio di metanfetamina rappresentava un tabù per tutti i network in chiaro, così Gilligan decise di rivolgersi subito a HBO e TNT, senza però ottenere successo. I dirigenti di Showtime, dal canto loro, non lo ricevettero neppure, in quanto già impegnati nella produzione di `Weeds`, una dramedy dai toni oscuri incentrata su una vedova disposta a vendere marijuana pur di pagare i debiti di famiglia. Stando così le cose, l’idea di `Breaking Bad` sembrava essere votata al più completo fallimento. Eppure, c’era ancora qualcuno da interpellare: si trattava dell’AMC, un’emittente televisiva in procinto di cambiare veste e, soprattutto, disposta a gettarsi anima e corpo nel mondo della serialità televisiva.
Fino ai primi anni Duemila, l’AMC si era proposta come una rete di classici cinematografici, con una programmazione incentrata soprattutto sui film dei primi anni Cinquanta. Successivamente, al fine di rimpinguare gli introiti, gli executive si erano convinti ad aprire agli inserzionisti e a puntare su pellicole più recenti, cercando al contempo di diversificare l’offerta. A qualcuno venne dunque in mente di realizzare qualcosa di nuovo, gettandosi in particolare nell’arena della produzione seriale. Non si trattava di un’idea del tutto improvvisata: nell’universo televisivo statunitense, infatti, dato l’altissimo numero di reti diversificate, le serie tv rappresentano lo strumento migliore per costruire l’identità di un canale e fidelizzare quanti più spettatori possibili. Questo, ovviamente, valeva anche per l’AMC, che proprio grazie a due produzioni straordinarie – `Mad Man` e `Breaking Bad` – avrebbe ridefinito il proprio stile, trasformandosi da rete cable secondaria a madrina di due delle serie tv più amate degli ultimi decenni.
Per i dirigenti della AMC la scelta di produrre `Mad Man` era apparsa piuttosto semplice: si trattava, infatti, di una storia in costume dotata di una sorprendete allure hollywoodiana, e forte della scrittura di alcuni degli sceneggiatori dei `Soprano`. `Breaking Bad`, al contrario, presentava tutte le caratteristiche di un azzardo: il suo autore, Vince Gilligan, era un semi-sconosciuto e la trama da lui proposta conteneva una serie di elementi alquanto rischiosi da mettere sullo schermo. Oltre ad essere ambientata nel pieno del “flyover country” – quella parte interna degli Stati Uniti spesso “sorvolata” dall’interesse comune –, la serie aveva infatti per protagonista un cinquantenne bianco, malato di cancro e impegnato nella produzione di metanfetamina, una droga assai poco glamour e priva di illustri precedenti cinematografici. «`Breaking Bad` era, in pratica, il rischio più alto che potessimo correre» ricorderà in seguito il dirigente di rete Rob Sorcher. Eppure, l’idea originale e lo script dettagliatissimo seppero spazzare via ogni perplessità, tanto che a Gilligan fu proposto non solo di partecipare alla produzione, ma anche di dirigere la prima puntata della serie.
Inizialmente, Vince Gilligan aveva pensato di ambientare le vicende di Walter White presso Inland Empire, nella California meridionale, in uno scenario di evidente ispirazione lynchiana. Tuttavia, a causa di alcuni incentivi fiscali, la produzione decise di spostare le riprese ad Albuquerque, nel New Mexico, una circostanza che, con il senno di poi, giunse a rivelarsi provvidenziale. L’atmosfera di `Breaking Bad`, infatti, divenne inscindibile dai paesaggi lunari del Southwest, con i suoi sconfinati deserti, i cieli cristallini e le comunità umane isolate dal resto del mondo. In questo senso, già il pilot riesce a sprofondare lo spettatore in uno scenario da incubo, all’interno di un universo surreale dominato da una violenza brutale e ineluttabile, in cui lo stesso protagonista giunge a precipitare senza freni, guidando a tutta velocità il suo “laboratorio” ambulante di metanfetamina.
A seguito della realizzazione delle prime puntate, il debutto di `Breaking Bad` venne programmato per le 22:00 di domenica 20 gennaio 2008, la stessa sera del match tra New York Giants e Green Bay Packers. Sapendo di dover attrarre un pubblico prevalentemente maschile, i vertici dell’AMC decisero di settare la programmazione in modo che gli spettatori si imbattessero nei pantaloni fluttuanti di Walter White nel corso dello zapping post-partita. Tuttavia, per uno scherzo del destino, proprio quella sera il kicker dei Giants giunse a mancare il field goal che avrebbe decretato la vittoria della sua squadra, rimandando la fine del match ai supplementari. Il calcio vincente fu dunque sferrato alle 22:15, lasciando in eredità al pilot di `Breaking Bad` uno share potenzialmente dimezzato. La notizia venne comunque presa con filosofia dai dirigenti dell’AMC, che sapevano come con un prodotto del genere occorresse avere pazienza.
Da quel momento in poi, anche gli spettatori si sarebbero dovuti armare di una certa dose di stoicismo nel seguire le vicende del professore di chimica Walter White. Questo perché, dopo una prima puntata ricca di avvenimenti, Vince Gilligan decise di rallentare drasticamente il ritmo della storia, dilatando a dismisura i vari step di trasformazione del suo protagonista. «Tutti noi abbiamo visto i grandi momenti di ogni crime story. Io ho voluto mostrare ciò che nessun altro si disturba mai di raccontare». Già a partire dal secondo episodio, infatti, `Breaking Bad` giunge a cambiare veste, abbandonando temporaneamente l’aura thriller e trasformandosi nella narrazione minuziosa di una serie di “fasi intermedie”. «`Breaking Bad` è la storia di una metamorfosi» dirà Gilligan in proposito. «E, come nella vita reale, tutte le metamorfosi sono lente».
2. ANGRY WHITE MAN. La costruzione del personaggio di Walter White
Storicamente la narrazione televisiva è questione di stasi: un personaggio viene presentato in un certo modo e, al netto delle infinite vicende seriali, è portato a rimanere lo stesso, mostrando caratteristiche identiche per anni se non addirittura decenni. Per questo l’idea alla base di `Breaking Bad` spicca fin da subito come un esperimento del tutto inedito, prodromo di risultati sorprendenti oltre che decisamente imprevedibili. In tal senso, Vince Gilligan ha sempre amato sintetizzare la trama della serie come la trasformazione del suo protagonista «da Mr. Chips a Scarface», anticipando così i toni iperbolici e inarrestabili dell’ascesa di Walter White, che da mite professore di liceo sarebbe giunto a toccare vette criminali inaudite. Tuttavia, per rappresentare in maniera credibile un simile percorso di degenerazione occorreva trovare un interprete all’altezza, un attore capace di suscitare nel pubblico tanta empatia quanto ribrezzo, inducendo gli spettatori a parteggiare per lui e, al contempo, a provarne acuto terrore.
Quando nel 2008 fu ingaggiato per interpretare Walter White, Bryan Cranston recitava ormai da 25 anni. Per molto tempo aveva partecipato a piccole produzioni, lavorando con continuità ma in una condizione di sostanziale anonimato, fino a raggiungere la notorietà grazie al ruolo di Hal nella sit-com `Malcolm in the Middle`. La serie tv Fox era stata concepita per ruotare attorno alle vicende dei figli, ma gli autori si erano subito accorti come le risate derivassero innanzitutto dalle figure dei genitori – interpretati rispettivamente da Cranston e da Jane Kaczmarek –, che avevano così iniziato a ricoprire un ruolo sempre più rilevante. Nominato tre volte agli Emmy per la parte, Bryan Cranston si era dunque imposto come un interprete divertentissimo e ben poco vanitoso, tanto da accettare di apparire spesso in mutande o in tenute per nulla lusinghiere. Non fu tuttavia la figura rocambolesca di Hal ad attirare per la prima volta le attenzioni di Gilligan, quanto il ricordo di un vecchio episodio di `X-Files`. Nella puntata `Drive` – scritta nel 1998 dallo stesso Gilligan –, Cranston fu infatti chiamato a ricoprire il ruolo di un ladro d’auto violento e razzista, un uomo per cui era impossibile provare empatia fino al termine delle vicende narrate, quando una rivelazione improvvisa giungeva a stravolgere il giudizio del pubblico. Agli occhi di Gilligan, Walter White doveva instaurare una dinamica molto simile con gli spettatori di `Breaking Bad`, facendo leva sui loro principi morali tanto da indurli a parteggiare per lui, per poi spingerli a odiarlo a fronte di azioni sempre più estreme e deplorevoli.
Ben presto, la scelta di Bryan Cranston si rivelò cruciale non soltanto dal punto di vista attoriale, ma anche riguardo l’aspetto del personaggio da lui interpretato. Come Vince Gilligan ha più volte sottolineato, si devono proprio a Cranston le movenze, lo stile e l’abbigliamento caratteristici di Walter White, sulla base di un processo interpretativo capace di alimentarsi fin dai più minuti dettagli visivi. Secondo la visione di Cranston, infatti, tutto nell’apparenza iniziale di Walt doveva rimandare al rimpianto di non aver mai osato nella vita: egli suggerì dunque alla costumista Kathleen Detoro di optare per un vestiario dai colori freddi e smorti, in cui predominassero le tinte del grigio e del marrone, mentre con la make-up artist Frieda Valenzuela stabilì di farsi crescere un paio di «baffi da impotente», diradati al punto da mostrare la pelle sottostante. L’attore decise infine di ingrassare alcuni chili, in modo che quando Walt si fosse trovato a cucinare metanfetamina in mutande sembrasse tutto fuorché minaccioso.
Un Mr. White ben diverso, tuttavia, era destinato a emergere nel corso del tempo: un uomo portatore di una personalità paranoica e aggressiva, che avrebbe finito per riflettersi anche sul suo aspetto esteriore. Con il procedere della storia, infatti, assistiamo alla trasmutazione anche estetica del protagonista, a partire dai colori del vestiario, che da anonimi diventano sempre più cupi e inquietanti, con un’assoluta predominanza del nero, del rosso e del blu. È interessante notare come tale trasformazione risulti evidente già dal pilot, nel momento in cui Walt si appresta a cucinare la sua prima partita di droga indossando una camicia verde brillante, notoriamente il colore dei soldi, dell’invidia e della brama di potere.
«I did it for me. I liked it. I was good at it»[2]. Dobbiamo aspettare `Felina`, la puntata finale di `Breaking Bad`, per sentire Walter White pronunciare queste parole. Fino ad allora, non importa quante morti e quante rovine abbia lasciato dietro di sé, egli ha continuato a ripetere come tutto ciò che ha fatto è stato per il bene della sua famiglia. Tale asserzione verrà ribadita costantemente nel corso della serie, tanto perdere sempre più di significato, mostrando un uomo intento a ribadire la propria superiorità intellettuale e preoccupato unicamente dell’affermazione egoistica del proprio Io.
L’attestazione di un’insopprimibile volontà di potenza è stata – e continua ad essere – uno degli aspetti portanti dell’«American way-of-life». In tal senso, Walter White rappresenta perfettamente l’immagine del padre di famiglia determinato a riconnettersi al modello del self-made man, arrivando a definire la propria identità attraverso la riconquista del potere e della libertà personale. Ciò che Walter brama, infatti, è il possesso di beni economici, un traguardo da raggiungere attraverso un lavoro che lusinghi le sue abilità professionali – per questo, essendo egli un chimico, l’appagamento più grande è rappresentato dalla possibilità di “provvedere” alla sua famiglia attraverso l’esercizio delle proprie conoscenze scientifiche, capaci oltretutto di garantirgli un certo grado di riconoscimento sociale.
Non è un caso, dunque, se l’arco narrativo di Walter White è stato letto più volte come un percorso improntato all’individualismo neoliberista, oltre che come un capovolgimento del classico archetipo della “redenzione finale”. La presa di coscienza di Walt, infatti, procede in una direzione del tutto opposta all’ammenda derivante dalle proprie azioni deplorevoli, che assumono invece il valore di un risarcimento necessario a fronte di una vita vissuta come ingiusta. I risultati di vent’anni di insegnamento nella scuola pubblica, infatti, sono l’insofferenza per il proprio lavoro e la frustrazione per le possibilità mancate, fattori che contribuiscono a forgiare un sentimento di sconfitta e di mortificazione, destinato a detonare in seguito alla diagnosi di cancro ai polmoni.
Nel celebre saggio `Malattia come metafora`, Susan Sontag definisce il cancro come la patologia della repressione e della “passione insufficiente”, associata ad atteggiamenti di stigma e di repulsione sociale, al punto da essere identificata come l’allegoria del maleper eccellenza. Tali connotazioni sono ravvisabili anche all’interno di `Breaking Bad`, nel momento in cui la diagnosi di tumore ai polmoni viene vista come un estremo atto di ribellione del corpo di Walt. Il cancro del protagonista, infatti, rappresenta la concretizzazione fisica del suo tormento, un “grumo di malvagità” cresciuto al suo interno a conseguenza di una frustrazione troppo a lungo patita, o ancora presente lì da sempre, quasi si trattasse di un’inclinazione naturale resa innocua dal potere inibitorio delle convenzioni sociali.
È proprio l’improvviso manifestarsi della malattia a innescare la scelta di Walt di invischiarsi nel mondo della droga; in questo senso, il cancro costituisce uno dei dispositivi primari della trama, volto innanzitutto a far emergere il lato ambizioso e violento del protagonista. La motivazione economica alla base delle sue azioni, infatti, viene smascherata fin da subito, quando nell’episodio `Grey Matter` (`Materia Grigia`, 1×05) vediamo Walt rigettare con rabbia il denaro offertogli dai suoi ex colleghi, i coniugi Elliot e Gretchen Schwartz, allo scopo di sostenere il costo delle sue cure. La sensazione che il cancro sia utilizzato come un espediente narrativo, inoltre, viene accresciuta dal fatto di non assistere quasi mai a una resa realistica della malattia, così come delle sue conseguenze sul corpo del protagonista; al contrario, essa è destinata a retrocedere in concomitanza con la scalata criminale di Walt, portando a un abbandono quasi totale del tema nel corso della terza e della quarta stagione.
Al di là dell’evoluzione fisica del cancro, tuttavia, a cambiare è anche il modo con cui Walt si riferisce a esso, sebbene costanti rimangano i temi del controllo e della presa di coscienza della propria mortalità. Emblematico, in tal senso, è un passaggio presente nell’episodio `Hermanos` (`Fratelli`, 4×08), in cui il protagonista si trova a interagire con un paziente più giovane di lui e turbato dalla propria recente diagnosi. A questo punto dell’intreccio, Walt è accecato dalla consapevolezza della propria grandezza criminale, ma anche dall’impossibilità di esercitare fino in fondo un controllo sulle dinamiche interne al sistema. Allo stesso modo, il cancro non viene più vissuto come una debolezza bensì come un “memento mori”, ossia come la giustificazione necessaria ad affermare fino in fondo la propria volontà. All’uomo seduto al suo fianco, dunque, Walt rivolge un discorso cosciente e spietato, frutto di una personalità ormai debordante e incapace di sottostare a qualsiasi tipo di restrizione: «Never give up control. Live life on your own terms. […] Every life comes with a death sentence […] But until then, who’s in charge? Me. That’s how I live my life»[3].
CONTINUA A LEGGERE!
PARTE 1.
La genesi di `Breaking Bad` e il personaggio di Walter White
PARTE 2.
L’evoluzione in Heisenberg e il rapporto tra Walt e Jesse
PARTE 3.
I nuovi personaggi e la parabola di Gustavo Fring
PARTE 4.
La caduta del tiranno e la catarsi finale
[1] Jesse: «Andiamo! Uno onesto come te, rigido come se avesse un bastone nel culo, arrivato a quanto, sessant’anni, lascia la retta via?»
Walt: «Mi sono svegliato». – `Pilot` (1×01)
[2] «L’ho fatto per me. Mi piaceva farlo. Ed ero molto bravo». – `Felina` (5×16)
[3] «Mai cedere il controllo. La diriga lei la sua vita. […] Fin dalla nascita abbiamo una condanna a morte […] Ma finché non accade, la mia vita la dirigo… Io. Non ne cedo il controllo». – `Hermanos` (`Fratelli`, 4×08)